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www.ildialogo.org Preti-sposati a convegno,di Perin Nadir Giuseppe

Preti-sposati a convegno

di Perin Nadir Giuseppe

Contributo, focalizzato sul rapporto tra il  sacramento del matrimonio e il sacramento dell’ordine, nei due codici di Diritto : quella della Chiesa Cattolica di rito Latino (CIC) e quello della Chiesa Orientale (CCEO), mettendo in risalto ciò che i vescovi possono o non possono fare da un punto di vista giuridico  per quanto riguarda la possibilità di ordinare “uomini sposati” o la possibilità di aprire ai preti sposati, maggiori occasioni e modalità di coinvolgimento – da un punto di vista pastorale -nelle varie comunità parrocchiali ove risiedono.


Ho ricevuto al mio indirizzo di posta elettronica, da parte di gildant@libero.it il seguente comunicato : il 5-6 di Novembre 2016, il MOVIMENTO VOCATIO, che raccoglie le famiglie dei presbiteri cattolici che hanno lasciato il ministero per contrarre matrimonio, ha organizzato un convegno nella diocesi di Ascoli Piceno che – nella persona del suo Vescovo - si è resa disponibile ad ospitare tale incontro.
Per partecipare al Convegno è necessaria l’iscrizione entro il mese di luglio 2016, con il pagamento della quota di partecipazione che verrà resa nota quanto prima…..
I temi che, in linea di massima, si potrebbero affrontare in quella occasione :
- Quanti sono i preti-sposati in Italia e nella chiesa cattolica del nostro tempo? Per coloro, tra questi, che con la loro famiglia volessero “mettersi in gioconuovamente a servizio della Comunità Ecclesiale diocesana o parrocchiale di residenza - quali opportunità ci sono? E con quali modalità ?
- Le testimonianze di “uomini sposati”, ordinati prete, nella Chiesa Cattolica Orientale che svolgono il loro ministero nelle diocesi italiane di rito orientale.
- Il ruolo della famiglia del prete sposato, nella comunità ecclesiale.
- E’ possibile un DIALOGO COSTRUTTIVO con il Papa e i Vescovi diocesani italiani che “hanno la responsabilità del ministero per la Comunità ecclesialee prendere in serio esameil che cosa” si potrebbe fare di più e di meglio, nella Chiesa cattolica del III Millennio, “CON I PRETI-SPOSATI” affinché la loro presenza nelle varie comunità diocesane d’Italia, da scomoda ed ingombrante per molti vescovi, potesse diventare per tutti i vescovi, un dono prezioso dello Spirito, dando loro la possibilità di partecipare attivamente alla vita del Popolo di Dio, per essere insieme a tutti i credenti della comunità di cui fanno parte, una “testimonianza credibile del Cristo Risorto”?
- Apertura al dialogo su altre idee… progetti… suggerimenti…..
*** *** ***
Si tratta di tematiche molto interessanti.
Ma, per arrivare a delle conclusioni che portino alla realizzazione delle iniziative e dei progetti ritenuti utili alla crescita della FEDE e della TESTIMONIANZA AL VANGELO nella Comunità Ecclesiale, non bisogna sottovalutare le difficoltà da affrontare e superare, sia sul piano giuridico che amministrativo e pastorale.
Non potendo partecipare di persona al convegno per ragioni di salute, sia da parte mia che di mia moglie, vorrei poter dare ugualmente un mio contributo al convegno.
Sono una persona molto riservata, non “troppo amante del palcoscenico”.
Ma, la “situazione del prete” - che decide di lasciare il ministero per delle “scelte” di vita diverse – come sposarsi - ben consapevole delle difficoltà e delle sofferenze alle quali va incontro, rinunciando a tutto quello che fino a quel momento, aveva costituito la sua vita ed era stato il fondamento delle sue certezze per il futuro – ha sempre avuto un posto privilegiato nei miei pensieri, nelle mie riflessioni come nella mia preghiera, dal momento che anch’io sono un prete-sposato.
Si sa che quando un prete decide di lasciare il suo ministero per delle scelte di vita diverse, soprattutto quando questo suo “lasciare” è motivato dalla presenza nella sua vita di una donna che egli ama e dalla quale si sente amato e condivide con lui i valori e le istanze del Vangelo, la sua decisione viene quasi sempre considerata e valutata, dal proprio Vescovo (o dal proprio Superiore), come dalla maggior parte dei propri “confratelli- presbiteri”, come frutto di una “sterile contestazione” o di “una crisi di maturità” o di “un occasionale sbandamento”.
Mai come frutto di maturazione della propria coscienza che indica strade nuove da percorrere.
Invece, accettare, dopo attenta valutazione, l’invito di Dio “a partire” (uscire) dalla propria “terra”, dalla parentela, dalla propria casa paterna, verso la terra da LUI indicata ( Gn 12,1), lasciando tutto, compresa la sicurezza economica e la tranquillità di un ruolo rispettato, per unirsi alla propria sposa e diventare una sola carne” ( Gn 2,24) non è sinonimo di defezione o di fuga dalle responsabilità e dall’impegno. Tutt’altro : si tratta, invece, della risposta, cosciente e responsabile, dell’uomo a Dio che chiama.
Non voi avete scelto Me, ma io ho scelto voi, perché andiate e portiate frutto” ( Gv 15,16 -17).
Se la vita, qualunque sia la modalità nella quale l’uomo sceglie liberamente di viverla (da da celibe o da sposato) non fosse vissuta come risposta dell’uomo a Dio che chiama, diventerebbe solo un’avventura, spesso tragica, in un mondo diventato ormai una giungla, popolata da animali selvaggi ed egoisti, sempre in lotta tra loro, pronti a sbranarsi.
L’esperienza della presenza viva di Dio nella nostra vita, ci deve aiutare ad aprire, nella verità e nell’amore, il cuore e la mente alle varie situazioni di sofferenza, di disagio e di emarginazione della persona umana, di fronte alle quali, Dio c’invita a non emettere giudizi troppo affrettati e severi.
Il Signore, infatti, pur esortandoci ad essere “perfetti come è perfetto il Padre nostro che è nei cieli” ci raccomandò di non giudicare per non essere giudicati; di non condannare per non essere condannati; di perdonare per essere perdonati.
Date e vi sarà dato; una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurerete, sarà misurato anche a voi in cambio” ( Lc 6,37-38).
La strada della perfezione (della santità) indicata da Gesù ”siate perfetti come è perfetto il Padre Vostro che è nei cieli”, è rivolta ad ogni suo discepolo, il quale ha il diritto e il dovere di percorrerla, in modo libero e responsabile, secondo i “doni (i carismi) che ha ricevuto dallo Spirito Santo. E, nessuna Autorità al mondo può arrogarsi il potere di imporre, tanto meno per legge canonica, ad un’altra persona, un’unica strada percorribile verso la “perfezione” (santità), come ha fatto, invece, il Papa (non certo l’attuale Papa Francesco) ad un certo punto della storia della Chiesa, che ha imposto ai chierici l’obbligo di osservare la perfetta e perpetua castità per il Regno dei cieli, vincolandoli così al celibato (can. 277 §1), perché ritenuto dall’Autorità ecclesiastica “sommamente confacente” con la vita sacerdotale per esercitare – “con cuore indiviso” il ministero presbiterale a servizio di Dio e del prossimo.
Dio non ha mai violato la libertà di scelta dell’uomo., che ha creato a sua immagine e somiglianza!
Invece, l’uomo (specialmente colui che detiene il potere) viola la libertà di scelta di altri uomini, ogni volta che impone loro la sua volontà, di fronte a due situazioni, ciascuna delle quali non è vincolante, dal momento che tutte e due possono portare l’uomo verso la “perfezione” (santità) del Padre -
Ed è proprio sul rapporto tra sacramento dell’Ordine e il sacramento del matrimonio, che vorrei dare il mio contributo, mettendo a confronto quanto dicono i due codici : quello della Chiesa Cattolica di rito latino (CIC) e quello della Chiesa Cattolica orientale (CCEO) che - come affermato dal Papa San Giovanni Paolo II - dovrebbero costituire i polmoni con cui la Chiesa dovrebbe respirare1.
Anzitutto, va precisato che sul piano giuridico, i Vescovi diocesani, possono fare ben poco, perché chi può cambiare le norme del Diritto Canonico (CIC) e del CCEO, è soltanto il Romano Pontefice.
Nella Chiesa Cattolica di rito latino per il conferimento della sacra ordinazione, è necessario che il candidato sia libero da ogni irregolarità ( che “ex se ” è perpetua) e impedimento (che, invece, è temporaneo).
Sia l’una (irregolarità) che l’altro (impedimento), impediscono “ex iure ecclesiastico” sia la recezione dell’ordine sacro che il suo esercizio, ma non hanno il carattere di pena.
Questo significa che qualsiasi Vescovo della Chiesa Cattolica di rito latino non può ordinare prete “un uomo che è sposato” (Vir uxorem habens) perché “l’uomo che è sposato” è semplicemente impedito dal ricevere gli ordini, tranne che sia destinato legittimamente al diaconato permanente (nisi ad diaconatum permanentem legitime destinetur) (CIC can.1042 §1).
La dispensa dall’impedimento di cui al CIC can. 1042, § 1 ( cioè l’uomo sposato, tranne che sia destinato legittimamente al diaconato permanente) è riservata alla Santa Sede.
La irregolarità, una volta contratta, cessa solo mediante dispensa, mentre l’impedimento può cessare anche da sé col venire meno della causa che l’ha prodotto. Ecco perché fino ad oggi, nella Chiesa di rito latino, l’ordinazione presbiterale è stata conferita, in alcuni casi, anche a “uomini-sposati”, ma solo dopo che sono rimasti vedovi.
Invece, in tutti i casi d’irregolarità e d’impedimenti non riservati alla Santa Sede, la dispensa è di competenza dell’Ordinario: Vescovo diocesano, Presule equiparato, Vicario generale ed episcopale, Superiore maggiore d’Istituto religioso, di Società di vita apostolica clericali e di diritto pontificio e suo Vicario a norma del CIC can. 620.
Nel Diritto della Chiesa Orientale (CCEO), invece, il matrimonio non è un impedimento a ricevere il sacramento dell’Ordine.
Per cui sia i sacerdoti che i diaconi della Chiesa Cattolica Orientale possono scegliere liberamente il celibato o il matrimonio, ma prima dell’ordinazione.
Infatti, vengono ordinati preti anche gli “uomini sposati”.
E, il celibato dei chierici, “scelto per il regno dei cieli e tanto conveniente per il sacerdozio” [ come dice il CIC can. 277 §1. Solo che per il CIC, la scelta del celibato è obbligatoria, mentre per il CCEO, no !] dev’essere tenuto ovunque in grandissima stima, secondo la tradizione della Chiesa universale; così pure dev’essere tenuto in onore lo stato dei chierici uniti in matrimonio, sancito attraverso i secoli, dalla prassi della Chiesa primitiva e delle Chiese orientali ( CCEO can 373).
Il celibato del clero è facoltativo nelle seguenti Chiese Cattoliche Orientali: la chiesa Bulgara, Greca, Melchita, Rumena, Russa, Rutena, Ucraina, Maronita e Caldea.
Nella chiesa Armena e in quella Siriana i sacerdoti sposati sono “tollerati” piuttosto che legalmente riconosciuti.
Fra i cosiddetti cristiani di San Tommaso dell’India, il clero era indifferentemente sposato o celibe, fino a quando la loro disciplina non è stata latinizzata dal Sinodo di Diamper (1599).
La formazione dei candidati al sacerdozio, secondo il CCEO della Chiesa Orientale, deve essere adatta alle situazioni del luogo e del tempo, alle doti degli alunni, sia celibi che sposati e alla necessità dei ministeri ai quali si preparano ( CCEO can 352 § 1).
Pertanto va “curata” :
*La formazione intellettuale “affinché gli alunni conseguano il titolo civile di studio per poter così proseguire gli studi anche altrove, se si arrivasse a questa scelta” (CCEO can.344 §3)
*la formazione psicologica, pedagogica, affettiva in modo da non diminuire, in qualsiasi modo, la libera scelta dello stato” ( CCEO can.344 §2)
*La formazione teologica per annunciare a tutti il regno di Dio e ripresentare l’amore di Dio verso gli uomini, nel ministero della Parola e dei sacramenti, anzi con l’intera loro vita, in modo che tutti, amando Dio sopra ogni cosa e amandosi a vicenda, siano edificati e crescano nel Corpo di Cristo che è la Chiesa (CCEO can 367)
*la formazione spirituale coltivando nello Spirito Santo un’intima familiarità con Cristo e cercare Dio in tutte le cose, affinché spinti dalla carità di Cristo pastore, siano sollecitati a guadagnare al Regno di Dio tutti gli uomini con il dono della propria vita (CCEO can 346 §1)
I Chierici celibi e coniugati devono risplendere per il decoro della castità (che esiste anche nel matrimonio e si chiama “castità coniugale”: non è una contradizione terminologica !).
Spetta al diritto particolare stabilire i mezzi opportuni da usare per raggiungere questo fine ( CCEO can 374; CIC can. 277 §3).
I Chierici coniugati offrano un luminoso esempio agli altri fedeli cristiani nel condurre la vita famigliare e nell’educazione dei figli. ( CCEO can. 375)
“ Per mezzo dell’ordinazione sacramentale compiuta dal Vescovo, in virtù dell’opera dello Spirito Santo, sono costituiti ministri sacri coloro che vengono arricchiti e partecipano in vari gradi della funzione e della potestà, affidate da Cristo Signore ai suoi Apostoli, di annunciare il Vangelo e di pascere e santificare il Popolo di Dio” (CCEO can.743; CIC can 1008).
Il candidato al diaconato e al presbiterato, sia ordinato dal proprio vescovo eparchiale, oppure da un altro Vescovo con legittime lettere dimissorie (CCEO can747; CIC can 1015).
Perché uno possa essere ordinato lecitamente si richiede che abbia ricevuto la crismazione del santo myron; costumi e qualità fisiche e psichiche corrispondenti con l’ordine sacro da ricevere; l’età prescritta dal diritto [che per il diaconato è di 23 anni compiuti e per il presbiterato, di 24 anni compiuti (CCEO can 759§1; CIC can 1031 §1)]; la debita scienza; che abbia ricevuto gli ordini inferiori a norma del diritto particolare della propria chiesa sui iuris; l’osservanza degli interstizi prescritti dal diritto particolare (CCEO can.758 §1; CIC can 1035§2); si richiede che il candidato non sia impedito a norma del canone 762 (CCEO can 758 §2); a riguardo dell’ammissione agli ordini sacri dei coniugati si osservi il diritto particolare della propria Chiesa sui iuris o le norme speciali stabilite dalla Sede Apostolica (CCEO can 758 §3).
Se il candidato al sacerdozio, è unito in matrimonio, l’autorità che lo ammette alla sacra ordinazione deve ottenere il certificato di matrimonio e il consenso dato per iscritto della moglie (CCEO can.769, 2).
Una volta che il coniugato è stato ordinato presbitero, gli viene affidato il ministero presbiterale a servizio di una comunità parrocchiale, in qualità di parroco, ma deve essere di buoni costumi che sono richiesti anche nella moglie e nei suoi figli che abitano con lui (CCEO can 285 § 2).
Il diritto di nominare i parroci spetta solamente al Vescovo eparchiale che li nomina liberamente (CCEO can. 284; CIC can.523).
Il parroco è il presbitero a cui, come principale cooperatore del Vescovo eparchiale, è affidata, quale pastore proprio, la cura delle anime in una determinata parrocchia, sotto l’autorità dello stesso vescovo eparchiale (CCEO can 281 §1; CIC can 519).
Il parroco è stabile nel suo ufficio, perciò non sia nominato a tempo determinato, se non nei casi previsti dal diritto (CCEO can. 284 §3; CIC can. 522).
Il parroco abbia la cura parrocchiale solamente di una parrocchia; tuttavia per la scarsità dei presbiteri oppure per altre circostanze, può essere affidata allo stesso parroco, la cura di più parrocchie vicine (CCEO can 287 § 1; CIC can 526 §1).
I chierici hanno diritto ad un conveniente sostentamento e quindi di percepire una giusta remunerazione per l’adempimento dell’ufficio o dell’incarico loro affidato: remunerazione che, se si tratta si chierici coniugati, deve provvedere anche al sostentamento della loro famiglia, a meno che non sia già stato provveduto in altro modo ( CCEO can. 390 §1; CIC can 281).
Inoltre essi hanno diritto che si provveda a loro e alla loro famiglia, se sono coniugati, una conveniente previdenza e sicurezza sociale, come pure l’assistenza sanitaria; affinché questo diritto possa essere applicato, i chierici sono obbligati a contribuire in quota parte, a norma del diritto particolare, all’istituto di cui nel can. 1021 § 2 ( CCEO can. 390 §2; CIC can.281).
E’ interessante osservare, a questo proposito, come “ tutte le offerte, ad eccezione di quelle di cui ai cann 715-717, ricevute dal parroco e da tutti gli altri chierici addetti alla parrocchia in occasione del compimento di una funzione pastorale, devono essere versate nella cassa parrocchiale, a meno che non consti della volontà contraria dell’offerente a riguardo delle offerte pienamente volontarie; è compito del vescovo eparchiale, consultato il consiglio pastorale, stabilire le prescrizioni con cui provvedere alla destinazione di queste offerte e anche alla giusta remunerazione del parroco e di tutti gli altri chierici della parrocchia, a norma del can. 390 (CCEO can 291; CIC can 531).
L’ordine sacro, anche nel CCEO, è un impedimento al matrimonio.
Il coniugato, infatti, che viene ordinato presbitero, se poi rimanesse vedovo, oppure divorziasse dalla propria moglie, non potrebbe più risposarsi una seconda volta. Se lo facesse, attenterebbe invalidamente il matrimonio, perché, nell’ipotesi di seconde nozze, il presbitero si trova già costituito nell’ordine sacro.
Infatti, sia nella Chiesa Orientale, come in quella Occidentale di rito latino, “attentano invalidamente il matrimonio coloro che sono costituiti negli ordini sacri ( CCEO can 804; CIC can 1087) e coloro che sono vincolati dal voto pubblico perpetuo di castità, emesso in un istituto religioso” ( CIC can. 1088).
L’ordine sacro – in rapporto al matrimonio - è un impedimento dirimente di diritto ecclesiastico, connesso con la legge del celibato ( CIC can.277).
Considerato il carattere perpetuo ed indelebile della sacra ordinazione, l’impedimento matrimoniale che ne deriva può cessare soltanto per dispensa (CIC can. 290 § 3) che è riservata al Romano Pontefice ( CIC can. 291 e 1078 §2).
Anche nella Chiesa Orientale chi ha ricevuto il sacramento dell’ordine e poi decidesse di formarsi la sua famiglia, sposandosi, deve chiedere la dispensa dall’obbligo del celibato alla Santa Sede e in tal modo perde lo “status di chierico” (CCEO can.396)
Infatti, all’infuori dei casi in cui viene dichiarata la nullità della sacra ordinazione, la perdita dello stato clericale per rescritto della Sede Apostolica (CCEO can394 §3) non comporta la dispensa, in automatico, anche dall’obbligo del celibato, che invece viene concesso con il Rescritto di dispensa esplicito dalla promessa di celibato, solamente dal Romano Pontefice (CCEO can 396).
Infine, sia nella Chiesa Orientale che Occidentale, non si è mai avuto notizia pubblica che ad un prete poi sposatosi, anche con dispensa dal Papa, sia stata affidata, in maniera esplicita, la “cura d’anime” in una parrocchia o secondo altre modalità.
Se sul piano giuridico, quindi, i Vescovi possono fare ben poco, perché chi può cambiare le norme del Diritto Canonico è soltanto il Romano Pontefice, i vescovi diocesani, invece potrebbero fare molto per i preti sposati e con i preti sposati – da un punto di vista pastorale.
Perché, come si legge nella Lumen Gentium al n. 27 “ i vescovi diocesani sono chiamati a reggere le chiese particolari a loro affidate come vicari e legati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà, della quale però non si devono servire se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità, ricordandosi che chi è più grande si deve fare come il più piccolo, e chi è il capo, come il serviente (cfr.Lc 22,26-27).
Ad essi “è pienamente affidato l’ufficio pastorale ossia l’abituale e quotidiana cura del loro gregge, né devono essere considerati vicari dei Romani Pontefici, perché sono rivestiti di autorità propria e con tutta verità sono detti sovrintendenti dei popoli che governano. La loro potestà, quindi, non è annullata dalla potestà suprema e universale, ma anzi è da essa affermata, corroborata e rivendicata, poiché lo Spirito Santo conserva invariata la forma di governo da Cristo Signore stabilita nella sua Chiesa” (LG,27).
Ma, nonostante che nella “Lumen Gentium”, i Padri del Concilio Vaticano II, abbiamo affermato il potere che un vescovo diocesano ha nel decidere per venire incontro alle necessità spirituali del suo gregge, di fronte alla grave carenza di preti, si continua a rinviare sia la prognosi che la terapia.
Si potrebbe dire che siamo di fronte ad una continua “prognosi riservata” dal momento che il paziente (= la comunità ecclesiale) non è mai stata dichiarata fuori pericolo.
Nonostante le innumerevoli voci che si levano da ogni parte del mondo, da parte di vescovi, preti, laici, che invitano “chi ha l’autorità e la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale” a riflettere seriamente per trovare delle forme di attuazione nuove nell’esercizio dei vari ministeri della Chiesa, soprattutto di quello sacerdotale, ho l’impressione che molti Vescovi Diocesani italiani, si limitino semplicemente a “far la conta” dei preti che hanno a disposizione per soddisfare le necessità spirituali dei fedeli affidati alle loro cure (come quella di assicurare l’Eucaristia ad ogni comunità ecclesiale), senza però avere il coraggio di fare delle proposte innovative, adatte alle esigenze delle varie comunità.
Le strade indicate per arrivare ad una soluzione, almeno parziale, del problema, sono diverse e tutte percorribili nel senso che una non esclude l’altra, ma soprattutto perché potrebbero essere complementari tra di loro.
Quante volte i vescovi sono stati sollecitati, sia direttamente che indirettamente, attraverso scritti, incontri personali, a “riflettere” sul perché esiste in molte comunità cristiane una “ grave carenza di preti celibi” e a “mettersi in ascolto” anche dei preti che hanno lasciato la struttura ecclesiale per accedere a scelte diverse, compresa quella di sposarsi ?
A molti laici-cristiani non sfugge che buona parte dei cardinali e dei vescovi, soprattutto italiani, “mostrano una stagnazione ed una fissità” di pensiero e di immagine, su posizioni del passato, dalle quali non riescono o non vogliono uscire per mancanza di “fantasia” pastorale, ma soprattutto perché non hanno il coraggio di abbandonare i segni del potere per ritrovare il potere dei segni.
Molti di loro hanno paura di spogliarsi della “porpora” per rivestirsi del grembiule…hanno paura di abbandonare i conservatorismi, comodi al potere, per recuperare la piena libertà dei figli di Dio.
Hanno paura di dare spazio ed attualità al Concilio Vaticano II, del quale sono state tradite e burocratizzate le grandi aperture e novità… perdendone la tensione verso il nuovo nei meandri delle chiusure, delle prudenze e delle meschinità curiali.
Si continua a viaggiare tenendosi aggrappati al passato come se nella storia della salvezza dell’uomo, Dio avesse esaurito la sua “paterna fantasia d’amore”.
Ci si limita a fare la solita diagnosi della situazione…a criticare l’altrui operato, ma rimanendo poi alla finestra a guardare quello che fanno gli altri, perché non si ha il coraggio di rimboccarsi le maniche per cercare delle soluzioni adeguate ai vari problemi pastorali legati anche alla “carenza di preti celibi”.
Sono pochissimi i Vescovi che - come pastori del gregge a loro affidato - si chiedono non che cosa potrebbero fare “per” i preti sposati della loro diocesi, ma che cosa potrebbero farecon” i preti sposati che gravitano sul territorio della loro diocesi.
Sono pochissimi i Vescovi che aiutano la comunità diocesana “a crescere ed a maturare spiritualmente” in modo da valorizzare, all’interno della stessa, la presenza di questi fratelli e sorelle per la testimonianza, per la missione, per l’evangelizzazione, non sprecando i doni dello Spirito di cui essi sono portatori.
Sono pochissimi i Vescovi che riconoscono, nel rispetto della giustizia, ma soprattutto guidati dall’amore, a questi preti sposati e suore che hanno lasciato la Congregazione, gli anni trascorsi nel servizio della comunità ecclesiale e li aiutano anche economicamente ad inserirsi in maniera dignitosa nella società!
Eppure, nella comunità di Cristo che è comunità di “comunione” bisognerebbe avere il coraggio di pensare sempre in termini di “noi”, perché c’è un solo “noi” che anela a farsi sempre più onnicomprensivo, sempre più comunione, sempre più vero e che impedisce qualsiasi tipo di emarginazione.
E’ quel “NOI” che diventa Cristo, quando ciascun “IO” che compone il “NOI” è legato all’altro da un amore profondo che si fa dono e servizio.
Cristo si è rivolto innanzitutto agli umili, agli emarginati, a coloro che erano senza dignità, a coloro che erano disprezzati dai benpensanti, a coloro che erano lasciati da parte.
Per questo ogni comunità cristiana, assieme al proprio Vescovo, dovrebbe “farsi prossimo” degli ultimi, dei peccatori… e noi siamo tutti peccatori, peccatori salvati, peccatori riconciliati, peccatori desiderosi di vivere la comunione ecclesiale.
Mentre ci troviamo di fronte a delle comunità “pigre” nel pensiero e nell’ azione; immobiliste; indifferenti; tradizionaliste; assenteiste da ogni forma di visibilità di testimonianza cristiana; comunità che delegano tutto alla Chiesa, ristretta, ormai, nel suo significato, al “clero” con l’esclusione dei “laici”.
Testardi e pagani nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo” ( At 7,51).
Invece, “Dio non ha paura della novità”, disse papa Francesco nel giorno della beatificazione di Paolo VI, il 19 Ottobre 2014 !
Tuttavia, sono convinto che Papa Francesco non abbia alcuna intenzione di “intervenire dall’alto e con autorità” per dare una risposta alla mia domanda iniziale : “Che cosa si potrebbe fare, di più e di meglio, nella Chiesa del Terzo Millennio, affinché la presenza di questi “uomini senza collare” (cioè i preti-sposati), nelle varie comunità parrocchiali e diocesane, da scomoda ed ingombrante per molti, potesse diventare per tutti un dono prezioso di Dio da valorizzare per la realizzazione del “Regno di Dio” nel cuore di ogni uomo ?”.
Dovranno essere i singoli Vescovi diocesani – assieme al proprio collegio di presbiteri - a maturare le decisioni opportune per un proficuo inserimento dei “preti sposati” a ciò disposti, nei vari rami della pastorale, a servizio delle comunità parrocchiali nelle quali risiedono con le loro famiglie…
Potrebbero, per esempio permettere ai preti-sposati di fare “tutto quello che un laico può fare, qualora ci sia la preparazione richiesta per poterlo fare e il supporto di una testimonianza di vita, vissuta in conformità al vangelo”.
Il Vescovo potrebbe permettere al prete sposato di esercitare il Servizio diaconale, all’interno della parrocchia dove risiede con la sua famiglia, come aiuto ad un parroco avanti negli anni e di salute precaria….l’insegnamento del catechismo… la preparazione dei fidanzati al matrimonio…l’insegnamento della religione nelle scuole… affidargli l’assistenza agli anziani… ai poveri… visitare gli ammalati …animare i giovani nelle varie attività parrocchiali ….
Anche se, per quanto riguarda l’affidamento del ministero diaconale potrebbero esserci delle difficoltà di carattere giuridico ( per es. il prete-sposato che esercita il ministero diaconale a quale stato appartiene ? Allo “stato clericale” o a quello laicale, al quale è stato “ridotto”, dopo aver ricevuto la dispensa ?); oppure di carattere amministrativo ( per es. il suo servizio dovrà essere retribuito- come quello del diacono- sposato permanente ? O dovrà essere un servizio gratuito ? ecc…)
Tante sono le cose che un parroco deve fare per avere cura del suo gregge.
Nell’ esercitare la funzione di insegnare: il parroco ha l’obbligo di predicare la Parola di Dio a tutti i fedeli cristiani, affinché radicati nella fede, speranza e carità, essi crescano in Cristo e la comunità cristiana renda quella testimonianza di carità che il Signore ha raccomandato; inoltre mediante l’istruzione catechistica deve condurre i fedeli cristiani alla piena conoscenza del mistero della salvezza adatta all’età di ciascuno; per dare questa istruzione cerchi non solo l’aiuto dei membri degli Istituti religiosi o delle società di vita apostolica a guisa dei religiosi, ma anche la collaborazione dei laici (CCEO can 289 §1; CIC can. 528 §1).
Nel compiere la funzione di santificare, il parroco abbia cura che la celebrazione della divina liturgia sia il centro e il culmine dell’intera vita della comunità cristiana: si adoperi, inoltre, perché i fedeli cristiani si nutrano dell’alimento spirituale, mediante una devota e frequente accoglienza dei sacramenti e con una cosciente ed attiva partecipazione alle lodi divine; ricordi ancora il parroco che il sacramento della penitenza favorisce in sommo grado alla crescita della vita cristiana; perciò si rende disponibile ad amministrare questo sacramento, chiamando a questo scopo anche altri sacerdoti, se è necessario che conoscano le varie lingue. (CCEO can 289 §2; CIC can. 528 §2).
Nell’adempiere la funzione di governare il parroco procuri anzitutto di conoscere il proprio gregge; poiché però è servitore di tutte le pecore, favorisca la crescita della vita cristiana sia nei singoli fedeli cristiani, sia nelle associazioni impegnate specialmente nell’apostolato, sia nell’intera comunità cristiana; visiti perciò le case e le scuole, nella misura in cui lo esige la funzione pastorale; s’interessi con sollecitudine degli adolescenti e dei giovani; segua con carità di padre i poveri e gli infermi; infine abbia una cura speciale degli operai ed inoltre si adoperi perché i fedeli cristiani diano il loro aiuto alle opere di apostolato ( CCEO can 289 §3; CIC can 529 §1).
Molte di queste funzioni potrebbero essere affidate sia a chi esercita la funzione di “diacono permanente” all’interno della comunità parrocchiale, ma anche ad un prete-sposato che desiderasse collaborare con il parroco in tal senso.
Ma da un punto di vista pastorale, i Vescovi diocesani, non dovrebbero mai interrompere il dialogo e il rapporto con il prete-diocesano che pensa di lasciare il ministero per delle scelte diverse, tra cui anche quella di sposarsi …ma, il Vescovo, nell’esercizio della sua paternità verso tutti i suoi sacerdoti, dovrebbe accompagnare “questo suo figlio”, in questo cammino verso le “nuove scelte di vita” - sia prima di decidere di lasciare il ministero, che dopo aver deciso di lasciare - con un amore paterno, misericordioso e pieno di tenerezza. Prodigarsi per aiutarlo a trovare : uno “spazio” di accoglienza, all’interno della comunità, e non essere completamente emarginato dalla stessa; il “rispetto” della dignità della persona, nonostante l’amarezza per la decisione presa; offrire al prete che decide di lasciare il ministero, l’ aiuto valido ed oggettivo per potersi inserire nel tessuto sociale e lavorativo e non facendo “terra bruciata” attorno a lui, rendendogli così la vita “un inferno” !
Ma per fare questo i vescovi non devono aver paura di “sporcarsi le mani” o di “rovinare la loro carriera ecclesiastica”!
Ecco a cosa dovrebbero servire i “convegni”: esaminare la situazione…i vari problemi… fare delle proposte… per arrivare ad una soluzione… rimboccandosi poi le maniche ed avere il coraggio di mettere le proprie azioni, là dove fino ad oggi abbiamo messo, soltanto, le parole.
Mi auguro che questo trovarsi insieme nel Convegno del 5-6 Novembre, per parlare, comunicare, dialogare, trovare delle soluzioni ai “problemi” relativi al nostro “essere preti” e al modo di viverlo nel mondo di oggi, guidati dalla luce e dalla saggezza che proviene dallo Spirito Santo, aiuti ciascuno di noi a “non smettere mai di cercare la verità dentro di noi – cominciando dall’amore – per essere delle persone libere al servizio dell’uomo”.
Persone libere, soprattutto dalla paura di osare, di essere se stessi, la paura di perdere, di mancare, la paura di dire e servire la verità, la paura di impegnarsi e di rischiare.
Se rimanete fedeli alla mia Parola – dice Gesù – potrete essere per davvero miei discepoli. Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi (Gv 8,31-32) da tutti quei condizionamenti che vi impediscono di cingervi del grembiule per farvi servi gli uni agli altri nell’amore” (Gal 5,13).
Perin Nadir Giuseppe
(da 54 anni prete cattolico-sposato)
1 “La Chiesa, riunita da un unico Spirito, deve respirare con i due polmoni dell’Oriente e dell’Occidente e ardere nella carità di Cristo come un solo cuore composto da due ventricoli”(EV 12/1990,p.903).



Sabato 02 Luglio,2016 Ore: 18:05
 
 
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