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www.ildialogo.org ‘Obbligatorietà del celibato” dei preti : perché scriverne ancora ?,di Perin Nadir Giuseppe

‘Obbligatorietà del celibato” dei preti : perché scriverne ancora ?

di Perin Nadir Giuseppe

Il tema dell’obbligatorietà del “celibato, per legge canonica, per i presbiteri della Chiesa Cattolica di rito latino, è sempre stato un argomento di attualità, sul quale si sono consumati “fiumi d’inchiostro”.
Ma, in quelle pagine scritte, nessuno degli autori, ha mai parlato negativamente del “CELIBATO”, in quanto dono dello Spirito Santo che Egli dà solo ad alcuni, ma non a tutti.
A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene” (1Cor 12,7) e lo Spirito le distribuisce a ciascuno come vuole(1Cor 12,11).
Invece, tutti gli autori, hanno evidenziato l’aspetto negativo dell’imposizione per legge canonica del celibato, suggerendo, nello stesso tempo, ai responsabili del ministero per la comunità ecclesiale, cioè al Papa e ai Vescovi diocesani, delle possibili soluzioni alla grave situazione della mancanza di presbiteri in molte delle diocesi e delle parrocchie, sparse nei cinque continenti.
Ma, sia il Papa che i Vescovi, non hanno mai speso una parola di disapprovazione sull’imposizione del celibato per legge canonica.
I chierici sono obbligati ad osservare la perfetta e perpetua castità per il Regno dei cieli, per cui sono vincolati al celibato che è un dono speciale di Dio, mediante il quale i sacri ministri, con cuore indiviso, possono più facilmente aderire a Cristo e sono in grado di dedicarsi con maggiore libertà al servizio di Dio e del prossimo” ( can. 277 §1).
Lo stesso Concilio Vaticano II nel Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri al n. 16 : riconosce che “…il celibato, prima, veniva solo raccomandato ai preti, ma, in seguito è stato imposto per legge (canonica), nella Chiesa latina a tutti coloro che si avviano a ricevere gli ordini sacri”. Ciò nonostante, questo sacrosanto Sinodo torna ad approvare e confermare tale legislazione per quanto riguarda coloro che sono destinati al Presbiterato, perché il dono del celibato è sommamente confacente al Presbiterato della Nuova Legge e viene concesso in grande misura dal Padre a condizione che tutti coloro che partecipano del Presbiterato di Cristo, con il Sacramento dell’Ordine, lo richiedano con umiltà ed insistenza.
E’ chiaro che tale imposizione non ha alcuna base giustificativa proveniente dal Vangelo, perché la castità perfetta, come l’obbedienza e la povertà, sono “tre consigli evangelici” e non tre imposizioni evangeliche.
Tale imposizione si fonda unicamente su un giudizio di valutazione umana, da parte di coloro (il Papa e i Vescovi) che governano la comunità ecclesiale, perché hanno ritenuto che il “dono” del celibato fosse “sommamente confacente” al Presbiterato della Nuova Legge e pertanto viene concesso dal Padre, in grande misura, a condizione che….
E’ chiaro che queste affermazioni, almeno da un punto di vista linguistico contengono delle contraddizioni.
Il dono, per sua essenza, è sempre qualcosa di “ totalmente gratuito”, altrimenti si dovrebbe parlare di “premio” che viene dato a chi vince una gara o per dei meriti particolari, come il “Premio Nobel” per ………”.
Quindi il “dono” non può essere meritato, né può venire concesso “a condizione che… perché ha il carattere della gratuità. Si può parlare di “dono” e di “scelta libera di non sposarsi” solo in un “contesto” di piena e totale libertà, senza alcuna costrizione, né interna, né esterna, tanto meno se costretti “per legem”, come quella canonica (can.277 §1).
Per me “ SCRIVERE” su un argomento, come quello dell’imposizione del celibato ai preti, è anche un parlare di sé”, un rendere pubblico il proprio modo di vivere, di credere, di pregare, il proprio modo di essere cristiano…
Sono convinto, infatti, che ogni libro, anche quello che rivendica il più alto grado di scientificità, è sempre nascostamente “autobiografico”. E, l’auto-biografia non si esaurisce nella confessione dei propri sentimenti, ma abbraccia l’intera visione del reale: dalla vita, al mondo, alla scienza.
Inoltre, se è vero che la Fede, non è un cumulo di nozioni, ma un incontro sorprendente e personale con Dio che in Cristo, suo Unigenito Figlio, si è “umanizzato”, ebbene, questa Fede non si può ridurre ad un “apprendimento mnemonico del catechismo”, a nozioni, a idee, più o meno comprensibili, ma deve diventare, invece, una “testimonianza di vita vissuta.
Per cui, ogni pretesa di parlare di Dio, al di fuori dell’esperienza soggettiva di Fede, come incontro, conoscenza (fare esperienza) non di qualcosa, ma di QUALCUNO – cioè di Gesù di Nazareth, corre il rischio di essere semplicemente un discorso ideologico ed accademico che lascia il tempo che trova.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me, sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” ( Gv 14,21)
Pertanto chi nel proprio cammino ha decifrato i segni della presenza interlocutrice di Dio che lo chiama a delle scelte diverse – non imposte, ma libere - può parlarne, senza mentire. Anzi, ha il dovere di parlarne, affinché chi lo leggerà si senta a sua volta aiutato ad interpretare gli stessi segni qualora fosse da essi incontrato.
Solo l’insopprimibile carattere autobiografico della fede, può ridonare libertà e autenticità alla Chiesa e alla teologia, senza il pericolo di una dispersione o di un frazionamento dell’unità della fede stessa. Perché, la Fede – lo ripeterò fino alla noia - non è una somma di verità o un blocco monolitico di verità, ma un inesauribile raggio di luce, che viene evidenziato nella sua reale profondità, dalla pluralità del linguaggio e delle esperienze, a mò di caleidoscopio.
Il superamento della “crisi di identità” che travaglia l’immagine cristiana, nell’oggi della storia della Chiesa, si può realizzare solo con l’ascolto di più voci che, in coro, “cantano la lode al Signore, per le meraviglie che egli ha compiuto e continua a compiere in ciascuno di noi, attraverso il dono del “suo Spirito”, nella pluralità dei ministeri e nel libero dono di sé agli altri nell’amore.
Di conseguenza : che cosa si potrebbe fare perché la propria fede torni a parlare il linguaggio della convinzione e della trasformazione e si liberi da incrostazioni dell’alienazione e della riduzione” ?
E’ l’interrogativo che anch’io come “prete-sposato” mi sono posto e continuo a pormi, cercando di dare una risposta, segnata dai caratteri del cammino e del mio travaglio interiore, perchè l’utopia del “kainòs ànthropos”l’uomo nuovo paolino (Ef 2,15) – diventi la vera alternativa ad ogni altra immagine d’uomo, antica o moderna che sia.
Ma, per riuscirci è necessario cambiare mentalità.
Nessuno può essere privato della sua libertà di scelta di vivere la propria vita, nella direzione della propria chiamata (“vocazione”): sia nel ministero presbiterale… come nel ministero matrimoniale…perché ambedue hanno come fondamento “l’amore” che proviene da Dio e che pertanto, come tale, si “mette a servizio dell’altro”, nella pienezza della propria umanità.
Ambedue le vocazioni oltre a provenire da Dio “ Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,16-17), non sono in contrasto tra loro.
La vita, per raggiungere la sua pienezza, con la caratteristica dell’eternità, deve essere vissuta nella consapevolezza e piena accettazione della “propria umanità”, mettendo se stessi, totalmente (mente, cuore, anima e corpo) al “servizio” di Dio, nell’altro, attraverso “atti quotidiani di amore”, trasformando così la propria Fede nozionistica e rituale, in una testimonianza etica.
Perché la vita è “meravigliosa” ? Perché ci parla “dell’umanità di Dio” nei confronti dell’essere- umano (uomo e donna). Per questo vale la pena di viverla, perché la nostra vita è il legame tra il nostro passato e il nostro futuro; ci porta i messaggi di coloro che furono e trasmette le nostre voci a coloro che saranno.
Il matrimonio tra un uomo ed una donna è la culla dove Dio depone ogni bimbo, che diventa non solo espressione e mediazione dell’amore di un padre e di una madre, ma soprattutto, messaggio dell’amore di Dio, perché il gemito ed il sorriso di ogni bambino, arriva “dalla terra di Dio”. E, di questa terra, i nostri bimbi recano “echi trasparenti” perché i loro piedi non sono stati ancora impolverati dalla “terra degli uomini”.
Sono profondamente convinto che ognuno di noi riuscirà ad amare Dio “con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima e con tutta la sua mente”, quindi “con cuore indiviso”, non “negando parte della sua umanità” per sentirsi più vicino alla Divinità, ma solo quando riusciremo a prendere coscienza della “nostra umanità”, nella sua interezza, perché è lì ( nella nostra intera umanità) che noi incontriamo “l’umanità di Dio”.
C’è un solo “ ostacolo” nella vita del cristiano che impedisce di amare e servire Dio con tutto il cuore, l’anima e la mente, quindi con cuore indiviso. Tale ostacolo NON E’ LA DONNA, ma “mammona”, il denaro.
Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza” ( Mt 6,24).
Il vero cristiano (Papa, Vescovo, prete, padre e madre…..) pertanto non è colui che rinnega la propria umanità, ma colui che – avendo sperimentato l’umanità di Dio, nella propria umanità, opera per un “mondo diverso”; pone orizzonti nuovi; offre alternative concrete; costruisce una “polis” a misura d’uomo: dove ciascuno possa capire se stesso, maturare verso la propria identità, scoprire il proprio destino; apprendere il linguaggio della fraternità e della collaborazione, auto-comprendersifiglio di Dio” e “fratello dell’uomo”.
C’è una sola via per poter costruire un mondo nuovo che è quella indicata da Gesù .
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni e gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni e gli altri. Da questo, tutti sapranno che siete miei discepoli : se avete amore gli uni per gli altri” ( Gv 13,34).
Gesù non si è mai perso in “chiacchere inutili o in abili dissertazioni filosofiche, teologiche o mistiche su Dio, la sua esistenza, la sua natura ecc… ma ci ha insegnato con il suo comportamento come Dio agisce nei confronti dell’essere umano e come un “figlio di Dio” si comporta nei confronti del Padre.
Gesù ci ha dato l’esempio di come porre la nostra “intera umanità” di uomini e di donne, fecondata dall’”umanità di Dio”, sempre e comunque al servizio dell’altro, specialmente del più debole, indifeso, non seguendo le leggi della convenienza o dell’opportunismo o del dovere, ma solo della misericordia e della tenerezza del cuore verso tutti i “bisognosi”.
Questo è l’impegno di ogni vero cristiano: quello di costruire un mondo nuovo in cui “un bambino, mai più, abbia a soffrire ingiustamente; una madre, mai più, abbia a preoccuparsi per la casa che non trova o per il pane che non riesce a spezzare; un padre, mai più, sia pure soltanto per una sera, viva il timore, insonne, di non sapere come crescere, domani, i propri figli; un ragazzo, mai più, senta le gelide mani minacciose dei suoi genitori, resi duri e insensibili, dalla brutalità del lavoro; alcuni, mai più, abbiano fino all’assurdo, mentre altri si trovino privi, fino alla vergogna; gli Stati, mai più, spendano miliardi per armarsi e distruggersi, e le città siano spoglie di verde e di parchi; un fratello, mai più, si senta privato della gioia di vivere, a causa di compagni di viaggio ciechi e impassibili; una voce, mai più, rinfacci: “non fossi mai nato”; una donna, mai più, valga meno del suo corpo; un albero, mai più, sia soppresso senza rispetto, da speculatori avari e assassini; la scienza, mai più, pretenda di essere sopra al mistero; il cammino dell’uomo, mai più, sia privato della pace e della presenza di Dio; la terra , mai più, sia separata dal cielo; l’uomo, mai più, sia contro Dio.
Un mondo in cui l’uomo e Dio vivano amici e compagni; l’uomo sia Dio e Dio sia l’uomo; come Gesù: l’uomo-Dio.
Ma perché questi progetti “vadano in porto” per il bene dell’uomo e della donna è necessario “cambiare rotta”, cioè ri-centrare tutto su Gesù.
Certamente Gesù non ha mai cessato di essere al centro dell’attenzione e delle preoccupazioni dei “pastori” della Comunità ecclesiale.
Ma, a lungo andare, cioè nel corso della storia della Chiesa, nel cuore e nella mente di molti pastori ( Papi, Vescovi, preti…) sono prevalsi gli aspetti dogmatici, etici, rituali, giuridici, istituzionali, apologetici, polemici…dei vantaggi economici…
Hanno dato l’impressione di essere preoccupati più di se stessi, della propria immagine, delle proprie strutture, dei propri problemi, dei propri programmi, della propria organizzazione, della propria riuscita pastorale, delle norme del Diritto Canonico più che delle proposte di vita del Vangelo…A tal punto che la persona di Gesù è rimasta nascosta, quasi soffocata, non tanto a parole, ma soprattutto nei fatti.
Ri-centrarsi su Cristo significa essere convinti che non sono le proprie strategie, i propri piani o la propria organizzazione a creare spazi di novità e di liberazione, ma l’annuncio nudo e la testimonianza umile del messaggio del Profeta di Nazareth.
Questo ri-centramento su Gesù, è l’unica modalità che ci può aiutare a risolvere i problemi di particolare e viva attualità e che, per la loro delicatezza, creano, il più delle volte, divisione e tensioni nella comunità ecclesiale.
Problemi quali : la reinterpretazione dei grandi dogmi della tradizione, il pluralismo teologico, l’esigenza di nuovi ministeri, una diversa gestione ecclesiale, il rapporto tra fede e politica, il clero uxorato, il “reinserimento dei cosiddetti “ex-preti”, il fenomeno del dissenso….
Certamente per problemi così complessi, non basta rifarsi a Gesù, ma, almeno, si può stabilire in Lui il giusto punto di partenza.
Per esempio : Se vi chiedessi “se è possibile annunziare Cristo anche quando – all’interno della comunità ecclesiale – io “dissento” da alcune posizioni della gerarchia ? Quale risposta dareste ?
Per me è certo che Cristo può essere annunciato anche percorrendo la via del dissenso.
Giovanni gli disse: Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri. Ma Gesù disse: “ Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo, parli male di me” ( Mc 9,38-39).
Ai preti sposati, per esempio, è proibito di fare non solo quello che il prete-celibe può fare, in virtù del sacramento dell’ordine, ma anche ciò che un laico può fare, in forza del suo battesimo, qualora venga ritenuto preparato e chiamato a farlo (come insegnare religione nelle scuole o all’Università… fare il ministro straordinario dell’Eucaristia… leggere le letture, all’interno delle celebrazioni liturgiche… ecc..).
Perché al prete sposato viene impedito di svolgere questi ruoli ministeriali ?
Perché non è più dei nostri!”- come disse Giovanni a Gesù. Il prete che si sposa non appartiene più allo “stato clericale”, quindi “non è più dei nostri” !
Ma : qual è stata la risposta di Gesù ? “ Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo parli male di me” ( Mc 9,38-39).
Da qui la domanda: perché “coloro che hanno la potestà di governo della comunità ecclesiale” hanno legato l’esercizio del ministero presbiterale, alla “appartenenza allo stato clericale”, dal momento che l’uomo “diventa prete”, solo dopo aver ricevuto validamente il sacramento dell’ordine ?
Allo stesso modo : come si può conferire il “diaconato” alla donna, se il diaconato è il primo gradino del sacramento dell’ordine e ricevendo il diaconato, mediante ordinazione, si entra a far parte dello “stato clericale”, al quale le donne non possono appartenere, proprio in base al Diritto Canonico che ha diviso la comunità ecclesiale in due tronconi : da una parte, i laici ( coloro che hanno ricevuto il battesimo) e dall’altra, i “chierici” ( coloro che oltre al battesimo hanno ricevuto il sacramento dell’ordine) ?
Tutto questo ci dovrebbe far riflettere seriamente !
Di fronte a tutte queste situazioni “orticanti” ed “assurde” della comunità ecclesiale che ancora oggi è “imprigionata” dentro le rigide regole del “Diritto Romano”, l’unica cosa che tutti dovremmo fare, compresa la gerarchia ecclesiastica, è quella di “andare a lavarci nella piscina di Siloe”, come disse Gesù al cieco fin dalla nascita ( Gv 9,1-41) per poter tornare poi alla vita di ogni giorno “vedendoci”.
Il cieco è stato invitato a recarsi a Siloe (che significa “inviato” e nella radice ebraica può anche significare “mandato”), cioè a Gesù che è “il mandato” da Dio per eccellenza, perché è Lui l’acqua che purifica; è lui che ha la capacità di ridare la vista.
Se non ci “rechiamo da Gesù” si avvererà anche per noi la profezia di Isaia: “Ha reso ciechi i loro occhi e duro il loro cuore, perché non vedano con gli occhi e non comprendano con il cuore e non si convertano, ed io li guarisca” ( Is 53,1 e 6,10) [ Gv 12,40].
Ma “andare da Gesù”, il messo di Dio, significa in realtà convertirsi a lui, al suo programma, al suo stile di vita, alle sue proposte, alle sue scelte. Significa farsi come lui, annunciatore di un ordine totalmente nuovo, in cui la malattia, la sofferenza, la disuguaglianza e la morte saranno del tutto sconfitte e i rapporti tra gli uomini e con Dio si trasformeranno da ostili e legalistici in cordiali e fraterni.
Ma l’assunzione del programma di Gesù nella propria vita, costituisce una delle operazioni più distruttive e catartiche che si possa immaginare, perché si tratta di un programma unico ed inconfondibile, scritto non con il suono delle parole, ma con le opere.
Questo processo si chiama “metanoia” che significa un cambiamento radicale, un cambiamento assoluto nella percezione di se stessi, degli altri, del mondo e di Dio.
Un rinascere di nuovo, per affrontare la vita con la capacità di vedere, di udire, di camminare e di saltare per la gioia, perché sia gli ostacoli alla percezione che quelli alla risposta, sono stati eliminati: l’uomo può vedere cosa avviene nel suo mondo e reagire nel modo giusto.
Il cieco nato, per aver creduto in Gesù è stato “espulso dalla sinagoga”, ma Gesù a lui ha riservato una incredibile sorpresa: “tornò che ci vedeva”.
Chi ha sete venga a me e beva” – ha detto ancora Gesù . Ma, traa la sete dell’uomo e la risposta esaustiva di Gesù si interpone un cammino, più o meno lungo, simboleggiato dal dinamismo del verbo “venire”.
“La fontana al centro del villaggio” non è alla portata di tutti, va raggiunta e a volte anche cercata. Questa ti disseta, ma tu devi muovere i tuoi passi verso di essa.
Gesù costituisce la vera proposta risolutiva al problema dell’alienazione dell’uomo e della falsa coscienza, dal momento che la causa genetica della falsa coscienza è l’ostracismo di Dio dall’orizzonte dell’uomo e della società. Non l’ostracismo di Dio inteso come idea o come motore immobile o come essere perfettissimo, ma come partner insostituibile in cui l’uomo trova il suo senso, la sua direzione e la sua realizzazione.
Gesù è “figlio di Dio e “l’inviato da Dio” (apestalmenos) e l’uomo supera la sua alienazione quando s’interpreta come “figlio di Dio”. Quando cioè nel suo fondamento ultimo, assoluto e determinante, si definisce non in se stesso, né in relazione alle cose che possiede o ai successi che realizza o all’amore che riceve o al sacrificio di cui è capace, ma perché è voluto ed amato da Dio.
Il “cogito ergo sum” cartesiano, andrebbe rettificato in “cogitor ergo sum” (sono pensato, quindi esisto) o meglio “ “amor ergo sum” ( sono amato, perciò esisto) : cioè io sono (esisto) in quanto sono amato da Dio.
Ne risulta che l’identità dell’uomo è inseparabile dal suo legame con il Dio della benevolenza, della tenerezza che lo pone nella possibilità e nella gioia dell’essere. Dio in questa prospettiva non è antagonista dell’uomo, ma è l’unica condizione per essere fino in fondo pienamente se stessi.
La conseguenza di tutto ciò è che : come Gesù, così, ogni uomo ed ogni donna è apostelmenos, cioè inviato da Dio. E, per chi vive di questa consapevolezza l’universo cessa di essere muto. In esso l’uomo e la donna non si trovano più come fossero stranieri, perché dovunque hanno la possibilità di scorgere volti e voci amiche.
Soltanto allora, si potrà raccontare di ciascuno di noi : “Gesù, passando vide un uomo cieco dalla nascita [...] e gli disse :” Và e lavati nella piscina di Siloè …. Ed egli andò, si lavò e tornò che ci vedeva”.
Solo andando da Gesù e immergendoci in Lui, potremo tornare alla vita di ogni giorno non per “sciupare il nostro tempo”, continuando achiacchierare” tra di noi sui problemi reali della Comunità ecclesiale – come la mancanza di presbiteri…l’IMPOSIZIONE del celibato ai preti…le possibili soluzioni da adottare…, ma, pieni della forza dello Spirito Santo, per mettere le nostre azioni, là dove fino ad oggi, avevamo messo soltanto le nostre parole. Solo così si possono risolvere i problemi !



Sabato 04 Giugno,2016 Ore: 22:34
 
 
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