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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org “ Il celibato sacerdotale, un cammino di libertà”.,di Perin Nadir Giuseppe

“ Il celibato sacerdotale, un cammino di libertà”.

Riflessioni di prete (da 52 anni) sposato (da 48 anni)


di Perin Nadir Giuseppe

Il 4-5-6 febbraio 2016, la Pontificia università gregoriana ha promosso, organizzato ed ospitato un convegno internazionale, avente come tema “Il celibato sacerdotale, un cammino di libertà”, in vista del 50° anniversario dell’enciclica“ Sacerdotalis Caelibatus” del beato Paolo VI, che ricorrerà nel 2017.

Ha presentato il convegno il Rev. Mons. Tony Anatrella, psichiatra e psicanalista, sacerdote della diocesi di Parigi e docente al College des Bernardins, illustrando poi, al Venerdì pomeriggio, il tema : “ Le condizioni psicologiche di un celibato felice, oggi”.
Hanno parlato due cardinali : Marc Quellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi che ha illustrato il tema Celibato e legame nuziale di Cristo alla Chiesa e Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano che ha concluso il convegno, illustrando il tema: “il prete ordinato in persona Christi”.
Ci sono stati anche altri relatori: la Dott. ssa Rosalba Manes che ha svolto il tema “”Per il Regno”. Il dono del celibato nel Nuovo Testamento.
Ha contribuito al dibattito anche Johann Adam Möhler, con il tema “L’appello alla tradizione nella difesa del celibato sacerdotale”.
Poi ci sono stati 4 gruppi di lavoro, su vari temi: “ Aiutare a crescere in libertà; La sfida di una vita spirituale autentica per un celibato libero; Celibato – al di là dell’immediato. Alcuni aspetti psicologici del celibato sacerdotale; Il celibato, una via di libertà.
Il modo con cui si è parlato del “celibato sacerdotale, come cammino di libertà”, a mio modesto parere, è stato, da un punto di vista teorico, un ottimo trattato di teologia, spiritualità e mistica sul “valore” e la bellezza del celibato in sé, in quanto dono e carisma dello Spirito Santo e sia sul valore e la bellezza del celibato in rapporto al ministero sacerdotale o presbiterale, considerando questa “scelta” nella prospettiva di un “cammino” ( quindi secondo una prospettiva non statica, ma dinamica, in quanto sempre perfettibile) e in un contesto di “libertà” ( cioè una libera scelta della persona).
Ma, da un punto di vista pratico e tenendo presente la storia della Chiesa, il discorso sulcelibato sacerdotale, cammino di libertà”, facendo riferimento al Vangelo e alla tradizione primitiva della Comunità ecclesiale, risulta, invece, “monco”, contradditorio ed incomprensibile, perchè “la scelta celibataria”– nel corso della storia della Chiesa – e per la giurisdizione della Chiesa di rito latino, diventa una “condizione” sine qua non (imposta per legge canonica) per poter “ fare il prete” nella comunità ecclesiale.
Allora, quando si parla al popolo di Dio di “celibato” ( = scelta di non sposarsi) si dovrebbe, prima di ogni altra cosa e per onestà intellettuale, mettere in risalto che “il celibato” è uno dei tre consigli evangelici, proposti ( non imposti) da Gesù nel Vangelo.
E, che l’essenza del “consiglio evangelico” è quella di “essere un dono gratuito dello Spirito Santo che Egli dà solo ad alcuni, ma non a tutti e di conseguenza non si può meritare. Per questo viene chiamato carisma.
A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene” ( 1Cor12,7) e “lo Spirito le distribuisce a ciascuno come vuole” ( 1Cor 12,11).
Il celibato è una “vocazione”: è Dio che chiama quella persona a vivere la sua vita in un determinato modo, cioè rinunciando alla vita matrimoniale. E ci sono molti laici che hanno scelto di vivere la loro vita nel celibato.
Ma, tale scelta, per non perdere la caratteristica di dono, deve essere libera da ogni condizionamento, ma soprattutto non può mai essere imposta “dall’alto” (cioè attraverso una legge).
Solo così, la persona che “sceglie” di rimanere celibe diventa capace di generare e trasmettere vita, trasformando la sua esistenza in una sorgente di luce, di gioia, di serenità, di speranza e di dignità.
In questo senso il “celibato” è un cammino di libertà.
Anche il ministero sacerdotale o presbiterale è una vocazione : è Dio che chiama quella persona a “servire la comunità ecclesiale” come “presbitero”.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” ( GV 15,16 -17). Io vi ho scelti perché “andiate in tutto il mondo e predichiate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato” ( Mc 16,16).
Il presbitero, preposto come pastore di “comunità ecclesiale”, oltre ad annunciare la Parola di Dio, deve “nutrire il gregge a lui affidato”. Come ? Celebrando l’Eucaristia : “ fate questo in memoria di me”, in modo che tutti coloro che hanno accolto il Verbo incarnato di Dio e creduto nel suo Nome, possano diventare “figli di Dio” e comportarsi con amore e misericordia, come il Padre, nei confronti di ogni essere umano” (Gv 1,12-13).
Inoltre, assieme al suo gregge, il presbitero, deve essere un “testimone credibile del Cristo risorto”: Come ? “Questo vi comando: che vi amiate gli uni e gli altri, come IO ho amato voi (Gv 15,17). Perché ? “Se uno dice di avere la fede, ma non fa seguire le opere, a che serve ? “(Lettera di Giacomo 2,14).
E’ in questo modo – cioè attraverso un amore che diventa dono e misericordia verso chiunque è bisognoso - che la FEDE in Gesù si trasforma in ETICA, cioè in un modo di comportarsi da “Figli di Dio”.
A ciascuno di noi che “crediamo nel suo Nome” è stata data la possibilità di diventare “figli di Dio” (ecco il significato della vita come un cammino). Come ? Solo cercando – con l’aiuto e la forza dello Spirito Santo – di “avere lo stesso comportamento del Padre”, come lo ha avuto Gesù ( Figlio Unigenito del Padre). E, il Vangelo ci racconta, in ogni pagina, il comportamento di amore e di misericordia di Gesù, verso tutti i “bisognosi”
Se questa scelta celibataria, in rapporto al sacerdozio o al presbiterato, fosse veramente libera da ogni condizionamento, e non imposta “dall’alto” (cioè per legge canonica), allora anche il “celibato sacerdotale” può essere vissuto, in pienezza e gioia, come un cammino di libertà.
Lo è nella Chiesa Orientale, dove coloro che si preparano al ministero presbiterale, sanno che - se durante il loro periodo di formazione - maturano in sé anche la coscienza della vocazione alla vita matrimoniale, non devono lasciare il “seminario”, ma hanno la possibilità di potersi sposare prima di ricevere il sacramento dell’ordine.
Ma questa possibilità non c’è nella Chiesa occidentale di rito latino perché chi si avvia e prepara a ricevere il sacramento dell’ordine sacro, sa che – alla fine del suo percorso formativo, se vuole ricevere il sacramento dell’ordine non si deve sposare, lo dice sia Paolo VI che il Concilio Vaticano II.
Il Concilio Vaticano II nel Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri, n. 16, ha affermato“... il celibato, che prima veniva raccomandato ai preti, in seguito è stato imposto per legge nella Chiesa latina a tutti coloro che si avviano a ricevere gli Ordini Sacri.
E, questo sacrosanto Sinodo torna ad approvare e confermare tale legislazione, per quanto riguarda coloro che sono destinati al Presbiterato, avendo piena certezza nello Spirito che il dono del celibato, così confacente al Presbiterato della Nuova Legge, viene concesso in grande misura dal Padre, a condizione che tutti coloro che partecipano del Presbiterato di Cristo con il Sacramento dell’Ordine, lo richiedano con umiltà ed insistenza”.
Ma parlare di “celibato imposto” come di un dono (carisma) che viene concesso in grande misura dal Padre a condizione che.... è un linguaggio contradditorio perchè l’essenza del “consiglio evangelico” ( e il celibato è uno dei tre consigli evangelici) è quella di “essere un dono gratuito dello Spirito Santo che Egli dà solo ad alcuni, ma non a tutti e di conseguenza non si può meritare. Per questo viene chiamato carisma.
A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene” ( 1Cor12,7) e “lo Spirito le distribuisce a ciascuno come vuole” ( 1Cor 12,11).
Il Papa Paolo VI, a sua volta, aveva puntualizzato che “spetta all’autorità della Chiesa stabilire, secondo i tempi e i luoghi, quali debbano essere, in concreto, gli uomini e quali i requisiti perché essi possano essere ritenuti adatti al servizio religioso e pastorale della Chiesa.
La vocazione sacerdotale rivolta al culto divino e al servizio religioso e pastorale del popolo di Dio, benché divina nella sua ispirazione e benchè distinta dal carisma che induce alla scelta del celibato come stato di vita consacrata, non diventa definitiva ed operante senza il collaudo e l’accettazione di chi, nella chiesa, ha la potestà e la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale”.
Dalle parole appena citate del Concilio Ecumenico Vaticano II e del Papa Paolo VI , si può argomentare che il celibato imposto per legge canonica – nella Chiesa Cattolica di rito latino- è un’aperta “violazione della dignità umana”.
Perché ? Lo “sposarsi” è un diritto naturale dell’uomo e della donna , perchè è volontà di Dio che tutti gli uomini e tutte le donne si possano sposare”i ......
Tuttavia, tenendo presente :
a) che è conforme al diritto naturale che il diritto positivo stabilisca quanto è necessario perchè il patto matrimoniale sia valido e socialmente riconosciuto, dal momento che l’essere umano ( uomo, donna) fa parte di una società (civile, religiosa) ed il matrimonio ha rilevanti conseguenze sia per i coniugi che per i loro figli e per la società stessa...
b) che il diritto positivo può porre delle restrizioni legali, sia di carattere permanente che transitorio, al diritto naturale di sposarsi solo quando queste restrizioni sono richieste da gravi ed oggettive esigenze dello stesso istituto matrimoniale a causa della sua rilevanza sociale e pubblica e che per questa ragione, il matrimonio, per il diritto positivo, non è valido senza l’osservanza delle legittime norme sancite dall’autorità civile e, nel caso del matrimonio dei battezzati, dall’autorità religiosa...
c) che il matrimonio tra battezzati è governato dalla Legge divina (cioè dal diritto naturale) e dal Diritto Canonico dove viene evidenziato che il patto matrimoniale o l’alleanza di amore istituita dallo stesso Creatore e strutturata con leggi proprie - mediante il quale, l’ uomo e la donna costituiscono tra di loro il consorzio di tutta la vita, ordinato per sua natura al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole - sia stato elevato da Gesù Cristo alla dignità di Sacramento...
d) che il matrimonio è una realtà umana e nello stesso tempo una realtà sociale, civile, religiosa che ha un interesse primario sia per i non cristiani che per i cristiani e che, nella complessità dei suoi aspetti, si richiama non solo al diritto civile o al diritto canonico, dai quali riceve la sua struttura giuridica, ma anche a numerose altre scienze, ciascuna delle quali offre il suo contributo per determinarne ed approfondirne la natura, le finalità e i valori....
Mi sembra giusto e doveroso domandarsi : perchè il prete, nella Chiesa Cattolica di Rito Latino, non può sposarsi, dal momento che come uomo ha il diritto di godere degli stessi diritti naturali degli altri esseri umani – come lo “ius connubii” ?
La risposta è chiara e molto semplice : perchè la suprema autorità della Chiesa ha stabilito, mediante una legge canonica (canone 277 §1) che l’ordine sacro è un impedimento a contrarre matrimonio. E tale impedimento di diritto ecclesiastico è connesso con la legge del celibato.
Ma, se è vero che “E’ diritto esclusivo della suprema autorità della Chiesa stabilire degli impedimenti per i battezzati” ( canone 1075 §2) è altrettanto vero, per quanto riguarda il matrimonio, che per poter mettere degli impedimenti alla libera scelta di sposarsi ci vogliono delle gravi ed adeguate ragioni oggettive richieste dallo stesso istituto matrimoniale a causa della sua rilevanza sociale e pubblica( cfr. Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, 22 ottobre 1983), altrimenti - come affermò lo stesso Papa Paolo VI nell’Enciclica Populorum Progressio n. 37 - la soppressione o anche la limitazione di tale diritto costituisce un’aperta violazione della dignità umana.
Mi sembra, allora, doverosa un’altra domanda : quali sono queste gravi ed adeguate ragioni richieste dallo stesso istituto matrimoniale in base alle quali - coloro che nella comunità ecclesiale hanno il potere giurisdizionale - hanno imposto, per legge canonica, il “celibato” a tutti coloro che sono chiamati da Dio per “esercitare il ministero presbiterale rivolto al culto divino ed al servizio religioso e pastorale del popolo di Dio” ?
Tralascio le ragioni sulle quali la suprema autorità della Chiesa ha fondato, nel passato, l’imposizione del celibato.
Mi limito solamente a quanto già specificato dal Concilio Vaticano II : “Il celibato, che prima veniva raccomandato ai preti, in seguito è stato imposto per legge nella Chiesa latina a tutti coloro che si avviano a ricevere gli Ordini Sacri perchè sommamente confacente al Presbiterato della nuova legge”, mentre il Papa Paolo VI disse chiaramente che: “....la vocazione sacerdotale rivolta al culto divino e al servizio religioso e pastorale del popolo di Dio, è divina nella sua ispirazione, ma è distinta dal carisma del celibato...”
Da queste affermazioni risulta evidente che la suprema autorità della Chiesa, ha imposto ai preti di non potersi sposare, non per “una “grave ed adeguata ragione oggettiva richiesta dallo stesso istituto matrimoniale per la sua rilevanza sociale e pubblica”, ma solo per il fatto che “ il celibato” è stato giudicato confacente al Presbiterato della Nuova Legge, pur essendo la vocazione sacerdotale distinta dal carisma del celibato”.
Ergo, trattandosi di una motivazione di convenienza e quindi non di una “motivazione” richiesta dallo stesso istituto matrimoniale, dal momento che presbiterato e celibato sono due vocazioni distinte, ne consegue – come affermato dallo stesso Paolo VI – che la soppressione o anche la limitazione del diritto naturale di sposarsi fatta dal diritto positivo ecclesiastico ( cioè dal Diritto Canonico) senza una “grave ed adeguata ragione oggettiva richiesta dallo stesso istituto matrimoniale per la sua rilevanza sociale e pubblica, risulta essere un’aperta violazione della dignità umana (cfr. Paolo VI nell’Enciclica Populorum Progressio n. 37)
Concludo dicendo che mi pare evidente che ciò che viene chiesto al Papa, da tanto tempo e con insistenza, da tutte le parti del mondo, dai vari responsabili delle comunità diocesane e parrocchiali, NON E’ l’abolizione del carisma del celibato, per chi è chiamato da Dio a fare il prete, ma che VENGA TOLTA L’ OBBLIGATORIETA’, per legge canonica, del celibato, per chi ha la vocazione a fare il prete anche nella Chiesa Cattolica Occidentale di rito latino, dal momento che questa obbligatorietà del prete a non sposarsi è sostenuta soltanto da motivazioni di convenienza.
Certamente, le modalità e i tempi sono da studiare per una loro pratica realizzazione, ma non bisogna perdere altro tempo - perché non va mai dimenticato che la Chiesa “ deve sempre, in ogni sua decisione, avere di mira la salvezza delle anime, che nella Chiesa deve essere sempre la legge suprema” (…. “prae oculis habita salute animarum, quae in Ecclesia suprema semper lex esse debet” ( can. 1752) e non ragioni di “convenienza”, di “opportunità economica” o di “confacenza”…..
Questo è il mio pensiero, pur nel rispetto delle opinioni di tutti.
Perin Nadir Giuseppe ( nadirgiuseppe@alice.it )
 



Giovedì 12 Maggio,2016 Ore: 22:02
 
 
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