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www.ildialogo.org Agli organizzatori e partecipanti al convegno “Il celibato sacerdotale, un cammino di libertà”,di Ernesto Miragoli

Agli organizzatori e partecipanti al convegno “Il celibato sacerdotale, un cammino di libertà”

di Ernesto Miragoli

Gentili organizzatori e partecipanti al convegno “Il celibato sacerdotale, un cammino di libertà”, avrei voluto partecipare a questo convegno per apprendere e riflettere. Purtroppo impegni di lavoro me l’impediscono, ma mi sarebbe piaciuto, partecipando, intervenire al dibattito ed offrire il mio contributo che riassumo per iscritto.
Due parole per presentarmi.
Sono un cattolico 61enne, ordinato presbitero per la chiesa di Como nel 1979. Nel 1986 ho lasciato il ministero e mi sono sposato dapprima con matrimonio civile e poi, ottenuta la dispensa, ho celebrato anche il matrimonio sacramentale. Dal matrimonio mio e di Paola sono nati 3 figli, Emmanuele, Elena, Elisabetta.
Siamo una famiglia normale che cerca, fra l’altro, di ascoltare preti e donne di preti in crisi, cercando di dare una mano come siamo capaci.
Secondo me a questo convegno che affronta scientificamente il tema del celibato sia sul piano spirituale, che sul piano teologico, manca qualche voce.
La voce di molti sacerdoti che hanno lasciato il ministero per contrarre matrimonio. Se avessero potuto avrebbero continuato a vivere quella scelta che compirono con generosità e slancio del cuore nella giovinezza, ma si sono adeguati alla disciplina e non hanno scelto di passare ad altre confessioni religiose che ammettono anche i preti sposati o di crearsi una chiesuola. Hanno semplicemente accettato la disciplina cercando di rifarsi una vita, spesso lasciati soli.
La voce di preti che appartengono alla nostra chiesa cattolica orientale, sono sposati e vivono il ministero attivo. Sarebbe stato interessante conoscere la loro testimonianza che è anche tradizione.
La voce dei preti anglicani che sono entrati a far parte della nostra comunità cattolica in forza dell’Anglicanorum Coetibus.
Infine manca la voce di donne che soffrono per un amore impossibile, che aspettano di incontrare in clandestinità il prete che amano, che ogni volta sognano di sentirsi dire che presto potranno vivere una vita assieme, alla luce del sole, avere dei figli, essere una coppia normale.
Non vorrei, egregi e gentili convegnisti, che pensaste che queste siano voci da confinare in talk show che lasciano il tempo che trovano e che servono solo per fare audience. No, sono voci della nostra comunità cattolica che ogni giorno si interroga anche su questo e per questo prega e soffre.
Ho scorso il programma del convegno: è di alto livello, interessante, trattato da relatori di tutto rispetto (non li conosco tutti, ma di tutti ho cercato il curriculum), ma mi permetto di pregare di accettare il contributo di un credente che osserva che questo convegno è monco. Tutti potranno avere informazioni complete a favore del celibato, ma mancheranno altre informazioni – che è possibile trattare scientificamente – sulla facoltatività del celibato del clero cattolico di rito romano.
La storia, la nostra storia della chiesa, ci illumina sul tema. Fu trattato a cominciare dal concilio di Elvira, poi dal concilio Lateranense del 1138 a cui seguirono il concilio di Trento, il concilio Vaticano II e alla Sacerdotalis coelibatus di Paolo VI.
Ma la nostra storia della chiesa ci insegna che la tanto declamata Tradizione è sempre stata vissuta a due velocità: l'ufficialità e l'ufficiosità. Papi celibatari nella testa e non nella vita. Vescovi e clero il cui "agere" non seguiva molto l' "esse" per quanto attiene la norma celibataria.
Perché non ricordare anche che una tradizione diventa tale in conseguenza dell'essere stata attuale al tempo in cui imposta per legge? Come un tempo il celibato entrò nella regola del sacerdozio cattolico romano per esigenze storiche ed ecclesiali, così oggi può ricominciare ad essere facoltativo come lo fu nei primi secoli di vita della nostra chiesa ed entrare così nella tradizione.
Ho visto che in questo convegno non manca una parte in cui interpelliamo e studiamo la Scrittura.
E’ San Paolo che ci ricorda che a lui piacerebbe che tutti fossero come lui (cioè celibi) perché un uomo sposato - lo dice lui - deve affannarsi a come piacere alla propria donna, badare alla famiglia e pertanto può avere meno tempo da dedicare totalmente al servizio della Parola e del Pane di Vita.
San Paolo, però, è realista e sa che non è possibile. Quindi ricorda che "...melius est nubere quam uri" (mi piace poco questa affermazione perché derubrica il matrimonio a “remedium concupiscientiae”, ma tant’è!) e ammonisce che il vescovo sia sposato una sola volta. Anche questa è parola di Dio.

L'attualità della nostra situazione pastorale ecclesiale ci impone una riflessione seria: l'annuncio della Parola e la celebrazione dei sacramenti - elementi fondamentali della spiritualità cattolica - subiscono arresti a causa di un clero sempre più rarefatto e anziano.
Molti preti che hanno lasciato il ministero per amore di una donna sarebbero disposti a rientrare in servizio, molti altri - che continuano il ministero conducendo una doppia vita e lasciando nel tormento le donne che li amano e da cui sono riamate - potrebbero continuare il ministero avendo un peccato in meno sulla coscienza e celebrare l'Eucaristia con mani pure.
E chi ci assicura che molti giovani non esplorano la strada del sacerdozio alla quale si sentono chiamati, ma che non percorrono perché non accettano di vivere una vita celibataria?
Sono solo piste di riflessione che avrebbero potuto essere considerate anche in questo convegno ed essere offerte alla riflessione dei nostri Pastori che hanno la responsabilità di guidare il popolo di Dio.
Il buon pastore, ammonisce Gesù, ha cura del suo gregge. Il buon pastore cura la pecora malata, fascia quella ferita, cerca quella dispersa, s'ingegna di capire cosa e quale sia il bene per il suo gregge in quel preciso momento e lo conduce verso pascoli erbosi, lo organizza impedendo che si disperda, si preoccupa che sia vigilato e - se il gregge aumenta - si fa aiutare da altri pastori senza chiedere loro se hanno famiglia o no.
Gesù stesso che ce lo insegna perché nel suo collegio apostolico non stette a sottilizzare se Pietro aveva moglie e figli e se Giovanni fosse celibe.
Grazie se vorrete considerare anche questo contributo.
Ernesto Miragoli



Giovedì 11 Febbraio,2016 Ore: 13:28
 
 
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