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www.ildialogo.org Ministero presbiterale : affiancare a preti celibi anche preti sposati”.  ,di P. Nadir Giuseppe Perin

Ministero presbiterale : affiancare a preti celibi anche preti sposati”.  

di P. Nadir Giuseppe Perin

In attesa che i “cardinali elettori” scelgano, nella forma stabilita dalle norme, la persona che dovrà ricoprire e svolgere il ruolo del “ministero papale”, affidato da Gesù all’Apostolo Pietro, 20 secoli fa, molti fanno supposizioni e pronostici sulla persona che sarà chiamata ad assumere tale ruolo e dal quale tutti ci aspettiamo che vengano realizzate, finalmente, le richieste e le speranze che da tempo portiamo nel cuore.

Condivido pienamente ciò che il presidente di Vocatio, Giovanni Monteasi, ha espresso nella sua lettera aperta al nuovo Papa e mi auguro, che il successore di Pietro sia “un uomo di Dio” , che la pensi secondo Dio e non secondo gli uomini e che sul suo cuore ci sia, sempre aperto, il Vangelo (la Buona Notizia) su cui meditare e proporre alla comunità ecclesiale.

E cominciò ad insegnare loro che il figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Gesù faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma, Egli voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e gli disse : “Và dietro a me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” ( Mc 8,31-33).

Quando vedrete il sacrilegio devastante insediato là dove non è lecito – chi legge comprenda – allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano sui monti; chi si trova sulla terrazza non scenda e non entri a prendere qualcosa nella sua casa; chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello....” (Mc 13,14....)

Sarà forse questo il momento in cui bisogna prendere coscienza che “il sacrilegio devastante il volto della Comunità ecclesiale si è insediato – già da molto tempo - là dove non è lecito” ?

Tutti sappiamo come gli evangelisti, scrivendo il Vangelo, non abbiano voluto presentare una cronistoria della vita di Gesù, né di presentare fatti straordinari ( miracoli) per suscitare la meraviglia del lettore, come se Gesù fosse un “pronto soccorso ambulante”.

Gli evangelisti hanno invitato le comunità – alle quali era indirizzato il Vangelo scritto - ad essere loro stesse “un segno” della presenza salvifica di Cristo nella storia del mondo di quel periodo storico e di continuare, quindi, l’opera del Signore Gesù, nella storia a venire...

In verità, in verità vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste....perché il Padre sia glorificato nel Figlio ( Gv. 14,12....).

Venti secoli ci separano dalla venuta del Figlio di Dio sulla terra... ma sembra che l’uomo moderno non ne abbia, ancora, preso coscienza.... Venti secoli sono passati dalla nascita della “ comunità ecclesiale” – sgorgata dall’amore di Cristo - .... ma noi, nel corso della storia, abbiamo diviso questa “comunità” - come la tunica di Cristo - in mille brandelli...infettando il suo “corpo” con il cancro del potere... dell’arrivismo personale legato alla carriera, al possesso dei beni della terra.... al denaro.... al comando... dimenticando, molto spesso, quello che Gesù aveva detto : “ vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica” ( Gv 13, 15-17).

La parola di Dio non si può portare in capo al mondo in una “valigetta”, ma solo in sé e sopra di sé. Purtroppo nella comunità ecclesiale ci sono troppi “commessi” della Parola di Dio e troppe “valigette” dentro le quali è nascosta la Buona Notizia...ma ritoccata, mutilata, attenuata. Con la conseguenza che le risposte che si danno alle varie problematiche che affliggono le comunità ecclesiali, rischino, a loro volta, di essere mutilate ed attenuate.

Giovanni Monteasi, presidente di Vocatio, ci ha invitato a pregare lo Spirito affinchè “spinga noi tutti, discepoli diversi, ma riuniti da Gesù in un’unica chiesa, ad impegnarci a lavorare per dare vita ad una comunità ecclesiale, dove la diversità dei doni e delle funzioni, non sia appiattita dalla unità degli intenti, ma ad un “insieme di comunità”, dove diversità ed unità, siano vivificate dalla testimonianza di amore, apertura e disponibilità”.

Per questo, a mio modesto avviso, la persona eletta (“Habemus Papam”) chiamata a svolgere il ministero petrino, dovrebbe essere un “profeta” che viene per rendere testimonianza alla Luce. .. “E’ un uomo, mandato da Dio.... Il suo nome è .... Egli viene come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credano per mezzo di lui.... Egli non è la luce, ma deve dare testimonianza alla luce” ( Gv. 1, 6....)

Se la profezia è il modo con cui Dio rivela il suo volere nella quotidianità della storia dell’uomo, il profeta è tale, perché riferisce l’oggi della storia dell’uomo alla volontà salvifica di Dio.

Profeti non si diventa per le qualità del proprio ingegno, ma per lo Spirito di Dio che chiama l’uomo a “fare la sua volontà”.

La profezia ha come termine di riferimento il volere di Dio e il suo agire nella storia dell’uomo affinchè la storia che risulta da quell’operare di Dio, sia riferita alla Sua volontà. In tal modo il profetismo della storia, diventa il dischiudersi della storia al senso che viene da Dio.

Ma, il Papa deve essere un “vero profeta”, cioè fedele alla Parola di Dio, come deve essere, del resto, ogni vero discepolo di Cristo.

La Chiesa che amo e nella quale credo – come uomo, come cristiano e come prete-sposato – è quella che nasce dalla Parola, che vive nell’Eucaristia, che rinnova continuamente la sua fedeltà al battesimo, attingendo la sua forza nel sacramento della conversione. E’ la Chiesa che si realizza concretamente nella comunione fraterna; che non è indeterminata o puramente affettiva, ma ordinata secondo la volontà di Cristo.

E’ la Chiesa nella quale la “gerarchianon significa divisione, perché da una parte ci sono quelli che comandano e dall’altra quelli che obbediscono, quanto piuttosto “comunione, servizio, unità, autenticità”. Tutti “segmenti” di vita che servono a creare il rispetto della creatività, della autonomia, della libertà che sono il segno del Cristo Pasquale, paziente, morto e risorto.

La Chiesa che amo e in cui credo: è la Chiesa dei discepoli del Signore che, dopo la sua risurrezione, si trovano rinfrancati perché rinati a nuova vita, attraverso di Lui; è la Chiesa della gioia per la presenza viva di Cristo che attraverso la comunione eucaristica ci lega insieme e ci fa fratelli; è la comunità nella quale convergono e si armonizzano le funzioni e i talenti di ciascuno, ove nessuno è escluso, come in una grande famiglia.

La Chiesa che amo e in cui credo : è la Chiesa dove ciascuno è artefice della vita della comunità; dove ci si mette con amore, al servizio gli uni degli altri; è la chiesa degli Apostoli, dove ogni credente è chiamato a coinvolgersi nella vita della comunità, per celebrare quotidianamente la gioia della risurrezione di Cristo; è la Chiesa con i suoi misteri, con le sue contraddizioni; è la Chiesa compromessa con l’uomo, ma libera verso un futuro che non è di questo mondo; è la Chiesa dove chi ha il compito di “guidare” il “gregge” lo fa nello stile e nello spirito del servo.

La Chiesa che amo e in cui credo : è la Chiesa dove i capi sono i primi a porsi lo zaino sulle spalle per camminare insieme al proprio gregge verso la terra promessa; è la Chiesa dove i capi a somiglianza di Cristo, non si vergognano di mettersi il grembiule per lavare i piedi agli ultimi; è la Chiesa dove i capi si prodigano per dare dignità a chi si sente escluso; è la Chiesa dove “autorità” vuol dire sempre e solo servizio; dove obbedienza vuol dire dignità e consapevolezza; dove ogni rapporto umano è contrassegnato dall’amore.

La Chiesa che amo e in cui credo : è la Chiesa dove non ci si sente mai soli; è la Chiesa che soffre con chi soffre; è la Chiesa povera, non perché si veste o si trucca da povera per apparire tale, ma perché nasce dalla sofferenza di Cristo e vive nella quotidiana umiliazione e nel rifiuto da parte del mondo, per un mistero a noi sconosciuto; è la Chiesa della speranza e della letizia.

Se così sarà....benvenuto, fratello Apostolo, successore di Pietro, tra la “povera gente” per vivere insieme “l’avventura del povero cristiano”.

P. Giuseppe dall’Abruzzo

nadirgiuseppe@alice.it




Lunedì 11 Marzo,2013 Ore: 19:27
 
 
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