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www.ildialogo.org Il prete condannato,di Beppe Manni

Il prete condannato

di Beppe Manni

Un invito ad approfondire il ruolo del prete nella sua originalità e contraddizione. Solo smontandone la figura teologica così come si è venuta costruendo nei secoli si potrà non solo creare nuove disponibilità ad essere prete ma specialmente risolvere grumi di sofferenza non conosciuti e lasciati volutamente nel silenzio.


La notizia della condanna a venti anni di carcere per don Giorgio Panini parroco di Brodano (Vignola di Modena) e la lettura delle motivazioni che lo avrebbero indotto ad uccidere, suscitano un grande disagio specialmente tra i cattolici. Nelle parole della sentenza figurano interessi finanziari, un legame sentimentale con una donna, i rapporti poco chiari con la famiglia che lo ospitava.

Lo stress, la vergogna, i debiti, il non avere una via d’uscita dal suo ruolo di prete-parroco, hanno scatenato reazioni incontrollate.

In Italia e anche a Modena abbiamo avuto diversi casi di sacerdoti che hanno creato situazioni molto imbarazzanti: anziché intervenire tempestivamente si è cercato di coprire il tutto per uno spirito di carità, a mio avviso mal riposto.

Non è sufficiente condannare e stracciarsi le vesti.

Ancora una volta il sentimento prevalente è la pietà.

La grande contraddizione del prete nasce dall’essere consacrato con un sacramento che gli imprime, secondo la teologia, un “carattere”, una specie di sigillo indelebile che non può più essere cancellato. ‘Tu es sacerdos in aeternum’, recita la formula: tu sei sacerdote per sempre. Al massimo come è successo per don Giorgio può essere “ridotto allo stato laicale”, ma rimane in possesso di tutti i tuoi poteri. Quello del prete è un caso unico. Rimane intrappolato nel suo ruolo per sempre. Nessuno rimane qualcosa o qualcuno “in aeternum”: il farmacista, il falegname, l’idraulico. Quando vuoi puoi cambiare mestiere senza pagare dazi. A un certo punto si va in pensione. Comunque se un idraulico non sa fare il suo mestiere, se un farmacista sbaglia a dare le medicine, viene cancellato dall’albo professionale o quantomeno perde i clienti e chiude bottega.

Invece se un sacerdote perde la fede, se commette un delitto, se non testimonia più la le parole che predica, o semplicemente vuole smettere o desidera crearsi una famiglia, è condannato a restare prete con grave danno suo e dei fedeli. Non ha possibilità anche perché non ha un mestiere e il suo ruolo sociale dipende dalla veste. Un prete disonesto, faccendiere, delinquente, continua ad essere trattato come una persona sacra, si crede che le sue benedizioni, le assoluzioni, le sue parole alla consacrazione durante la messa facciano qualche ‘magia sacra’.

La crisi psicologica dei preti è terribile, porta spesso a grandi sofferenze e a scelte drammatiche. Non escluso il suicidio. Non si risolve con la preghiera e i buoni consigli. Ci sono responsabilità non solo individuali.

Liberiamo questi poveri preti intrappolati nella divisa, riconsegnamoli alla vita normale. Senza lasciarli prigionieri dei terribili poteri che ‘possiedono’ per cui continuano a fare indegnamente o “faticosamente” il loro mestiere. Ne trarrebbe un enorme vantaggio la grande maggioranza di preti e suore che si sono guadagnati i galloni sul campo dedicando la loro vita agli altri e testimoniando la parola del vangelo.

La foto pubblicata sui giornali rappresenta don Giorgio che celebra la messa: mi sembra che emerga un inconscio desiderio di esibire impietosamente la caduta di questo prete di campagna dagli altari alla polvere, quasi compiacendosi che anche i preti sono come tutti gli altri, anzi peggio.

Manni Beppe

Pubblicato sulla gazzetta di Modena il 14 gennaio 2012



Martedì 17 Gennaio,2012 Ore: 18:45
 
 
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