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www.ildialogo.org L’INCRIMINAZIONE DEL PAPA PRESSO LA CORTE PENALE INTERNAZIONALE: UNA STRADA IN SALITA,di Agenzia ADISTA n. 69 - 01 Ottobre 2011

Pedofilia clericale
L’INCRIMINAZIONE DEL PAPA PRESSO LA CORTE PENALE INTERNAZIONALE: UNA STRADA IN SALITA

di Agenzia ADISTA n. 69 - 01 Ottobre 2011

36309. ROMA-ADISTA. Snap (Survivors Network of those Abused by Priest) e Ccr (Center for Constitutional Rights) hanno concluso a Roma, il 20 settembre scorso, ultima tappa di un tour di 12 città, la campagna di informazione sulla denuncia presentata qualche giorno prima alla Corte Penale Internazionale dell’Aja contro Benedetto XVI (e i cardinali Bertone, Sodano e Levada) per l’occultamento degli abusi sessuali commessi da preti, che sono configurabili come crimini contro l’umanità. A Roma in particolare, le due associazioni hanno fatto appello ai dipendenti attuali e passati del Vaticano perché riferiscano direttamente al procuratore della Corte Penale Luis Moreno Ocampo, su casi specifici di cui fossero a conoscenza e del relativo occultamento subìto.

«Centinaia di migliaia di bambini innocenti e adulti vulnerabili sono diventati vittima di violenze sessuali ad opera del clero», ha detto in conferenza stampa  Rita Milla, vittima e componente della “rete di sopravvissuti” Snap. «Sentire le voci coraggiose delle vittime in Italia ha significato moltissimo per tutti noi in tutto il mondo e vogliamo ringraziarvi. Queste vittime italiane hanno fatto la loro parte. Ora è il momento, per chi è all’interno della Chiesa ed è a conoscenza dei fatti, di farsi avanti e fare la propria». «Per decenni», ha denunciato Vincent Warren del Centro per i Diritti Costituzionali, «migliaia di persone sul libro paga della Chiesa non hanno parlato. Tutto questo deve cambiare se vogliamo fermare questa efferata e radicata tolleranza verso reati sessuali commessi su bambini».

Secondo i legali che hanno presentato l’esposto (80 pagine e 20mila allegati-prova) alla Cpi, «i più alti livelli del Vaticano hanno tollerato e reso possibile la copertura sistematica e diffusa di stupri e crimini sessuali contro bambini di tutto il mondo». I colpevoli di questi abusi (20mila preti, secondo le associazioni) sono tuttora in carica – hanno denunciato le associazioni antipedofilia – data l’omertosa scelta ecclesiastica di trasferire da un parrocchia ad un’altra o da una diocesi ad un’altra il sacerdote di cui è nota la colpevolezza. «Le diocesi di tutto il mondo – ha aggiunto Peter Isely, fra i fondatori di Snap – hanno raccolto molte prove, che solitamente vengono mandate a Roma. Dicono che hanno raccolto dati di 4mila casi, ma cosa ne hanno fatto?», si è chiesto. «Devono essere trasmessi alle autorità civili», ha esclamato perentoriamente.

Resta da vedere se il procuratore Ocampo giudicherà ammissibile la denuncia per via del soggetto che avrebbe commesso il reato. «Può darsi che la nostra iniziativa cadrà nel nulla», ha considerato Pam Spees, uno degli avvocati del Ccr, «ma non sarà perché non è di competenza della Cpi», aggiunge con sicurezza. Tuttavia, secondo Cuno Jakob Tarfusser, dal gennaio 2009 giudice della Corte Penale Internazionale, eletto su proposta del governo italiano, «la strada perché questa denuncia vada avanti mi sembra un po’ stretta» (“24Mattino” su Radio24 il 14/9). Non per il tipo di crimine, precisa, perché sono di interesse della Cpi anche «delitti a sfondo sessuale». Ma, per dar corso ad un’incriminazione, «è necessario qualcosa in più, ciò che noi chiamiamo elemento contestuale. Questi fatti devono essere commessi in conseguenza di un attacco alla popolazione civile, devono essere sistematici e molto diffusi e soprattutto dietro a questi fatti ci deve essere una sorta di regia, una politica organizzativa superiore».

 

La denuncia e i requisiti richiesti dalla Corte

Per crimini contro l’umanità - oggetto di giudizio (fra altri) della Cpi - il diritto internazionale intende la violazione continua e massiccia dei diritti umani. Violazioni di tale entità sono in genere ascrivibili a Stati dittatoriali; sono però chiamati a risponderne anche quegli Stati che non abbiano messo in atto tutte le misure necessarie a prevenire e reprimere tali crimini. Posto che l’integrità fisica e morale dell’individuo è un diritto ed è un diritto comune a tutti gli uomini; posto che alti responsabili della Chiesa cattolica (dai vescovi in su) hanno occultato e non represso né la violazione sistematica di questo diritto né quanti se ne sono resi colpevoli, l’abuso sessuale sui bambini, per anni e in tante parti dell’orbe terracqueo, ad opera di un clero rimasto impunito potrebbe ben essere materia di giudizio della Cpi.

Dice ancora il diritto internazionale che per il crimine internazionale, a determinati livelli, oltre allo Stato, è chiamato a rispondere anche l’individuo che - nella sua veste di organo di vertice dello Stato ‘criminale’ - ha determinato il soggetto-Stato a violare lo ius gentium, quell’insieme di regole cioè che viene osservato in eguale misura tra tutti i popoli, al di là di differenze storico-culturali e legislative.

E allora, perché non il papa? Due, con una buona percentuale di sicurezza, i motivi: innanzitutto, perché la Santa Sede non riconosce la Corte Penale Internazionale, che perciò su di essa non ha giurisdizione. In secondo luogo, perché la Corte interviene solo in assenza di procedimenti giudiziari civili. Molti sono invece i Paesi che hanno intrapreso azioni processuali contro preti per reato di abuso sessuale sui bambini. E quanti hanno tentato di far processare il papa per complicità a causa la copertura offerta al clero pedofilo non sono giunti a nulla (v. Adista n. 46/10).

 

“Che follia!”

Nel rigettare nel modo più assoluto la legittimità del ricorso alla Cpi e la tesi di colpevolezza dei vertici ecclesiastici, Avvenire (14/9) le definiva «capziosità giuridiche che tentano di far rientrare dalla finestra un principio di responsabilità stiracchiato quasi all’infinito, già rifiutato dalle giurisprudenze di mezzo mondo». Una «follia» mirare a un bersaglio che non «poteva essere più sbagliato», perché «il denunciato Benedetto XVI – ricorda Avvenire – è lo stesso che, ancora cardinale, col suo predecessore Giovanni Paolo II, iniziò l’era della tolleranza zero riguardo a questo odioso crimine». Ricordo incompleto: nell’ottobre 2001, l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, oggi papa, promulgò un’epistola nota come De Delictis Gravioribus in cui avocava al dicastero da lui diretto, per una più corretta e imparziale gestione, il controllo sui “crimini più gravi”, compresi gli abusi sui minori. L’epistola però si richiamava, confermandolo, ad un precedente documento, il Crimen sollicitationis (1962), che all’art. 11 fondava l’importanza della segretezza: «Nello svolgere questi processi si deve avere maggior cura e attenzione che si svolgano con la massima riservatezza e, una volta giunti a sentenza e poste in esecuzione le decisioni del tribunale, su di essi si mantenga perpetuo riserbo», pena la scomunica. Una segretezza la cui imposizione ha favorito una cultura di omertà, inibendo gli eventuali ricorsi episcopali all’autorità giudiziaria civile e favorendo con ciò il perpetuarsi e il riprodursi dei crimini.

Silenzio nella diocesi del vescovo Ratzinger

Non sono solo le direttive appena citate a pesare sulla responsabilità morale di Benedetto XVI. La Stampa del 14/9 pubblica l’intervista a una delle vittime di abusi, Wilfried Fesselmann, anch’egli firmatario del ricorso alla Cpi. Il suo “orco” – e di altri 16 bambini almeno – si chiamava p. Hullermann ed esercitava ad Essen, da dove a causa del suo comportamento venne trasferito a Monaco, allora guidata proprio da Joseph Ratzinger, perché si sottoponesse ad una terapia psichiatrica. Ma continuò ad esercitare il suo ministero. E il suo abuso su altri giovanetti. Peraltro, lo stesso percorso del successore di p. Hullermann nella parrocchia di Essen, secondo quanto segnalato da Fesselmann. Ratzinger non poteva non sapere, ma scelse il silenzio. «Se avesse bloccato Hullermann nel 1979», è l’amara conclusione dell’intervistato, forse «non ci sarebbero state altre vittime». (eletta cucuzza)

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it



Lunedì 26 Settembre,2011 Ore: 18:09
 
 
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