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www.ildialogo.org Vaticano e pedofilia, la rassegna stampa del 25/03/2010,

Vaticano e pedofilia, la rassegna stampa del 25/03/2010

l papa delle crisi
di Marco Politi
Il Fatto Quotidiano 25 marzo 2010
E’ il papa della parola, è il Papa delle crisi. Da intellettuale scandaglia il rapporto tra fede e ragione,
ammettendo le patologie della religione, da leader si scontra ciclicamente con l’opinione pubblica
del mondo. Cinque anni dopo l’appassionato grido sulla “sporcizia nella Chiesa”, che segnalò il suo
imminente arrivo al pontificato, Joseph Ratzinger è costretto ad ascoltare dall’Irlanda e dalla
Germania, ferite dagli scandali di pedofilia del clero, appelli alle dimissioni. Era già successo un
anno fa dopo l’infelice battuta sul preservativo e l’Aids. Allora fu la Francia che pose il pontificato
sulla bilancia e il risultato fu allarmante. Un sondaggio del Parisien rivelò che se nel 2008 il 53 per
cento dei francesi era favorevole al Papa, nel marzo 2009 il 57 per cento gli era contrario. Il Journal
de Dimanche registrò la richiesta di dimissioni da parte del 43 per cento dei cattolici francesi,
mentre il 49 per cento riteneva che Benedetto XVI “difende male i valori del cattolicesimo”. Il
quotidiano cattolico La Croix aprì una discussione pubblica sul papato. Sicuramente le dimissioni,
da parte di chi le agita, sono uno slogan ad effetto. E certo la sua Lettera ai vescovi irlandesi mostra
un Pontefice deciso a combattere coraggiosamente e senza indulgenze gli scandali del clero. Resta il
fatto che il suo pontificato divide il mondo cattolico. Lo spacca tra fautori entusiasti e una
maggioranza poco convinta del corso imboccato. Fa impressione incontrare ancora dopo cinque
anni di regno uomini e donne, che domandano: “Ma com’è questo Papa?”. E’ un aspetto
paradossale e in un certo senso tragico dell’attuale pontificato. Ratzinger nell’intimità non
corrisponde affatto al suo stereotipo. E’ sensibile, timido persino, caloroso, pieno di attenzione e
anche di brio nei confronti dell’interlocutore. Niente Panzer-Kardinal, niente “cane pastore” della
fede. Al contrario, nelle sue encicliche si sforza di trasmettere il concetto che il cristianesimo nella
sua essenza è una “religione dell’amore” e che non ci si può accostare all’altare dicendo di amare
Dio, se non si ama il proprio prossimo, se non si opera per la giustizia, la solidarietà, il rispetto della
dignità di ogni essere umano. Un messaggio cruciale nell’epoca di fondamentalismi cruenti.
Nell’ultima enciclica ha chiesto un governo mondiale dell’economia a fronte del liberismo
selvaggio. Né si può dimenticare la proposta di un confronto con agnostici e non credenti, come
ribadì nel dicembre scorso. Eppure, in questo quinquennio, ogni stagione è stata segnata da crisi
devastanti. Come se alla statura del pensatore e del predicatore, toccante quando spiega il Vangelo
in una parrocchia o dinanzi ad un pubblico agnostico, non corrisponda la tempra – si potrebbe dire il
gusto – del leader geopolitico. Guidare una comunità di oltre un miliardo di fedeli non si può fare
solo dal pulpito o dallo scrittoio. Nella storia della Chiesa i caratteri non si equivalgono.
Sant’Ambrogio aveva anche il piglio del politico, sant’Agostino molto più quello del filosofo e
maestro di fede.
STRAPPI E RICUCITURE
Di fatto il primo quinquennio ratzingeriano è stato caratterizzato da uno stato di crisi ricorrente. Lo
scontro con l’Islam dopo la citazione sprezzante di un imperatore bizantino nei confronti di
Maometto, nel discorso di Ratisbona. (Ci vollero tredici correzioni al testo dell’intervento e scuse
ufficiali ai rappresentanti diplomatici e religiosi dell’Islam per riportare la pace). La crisi con
l’ebraismo per la preghiera del Venerdì Santo nella messa tridentina riportata in auge. La nuova crisi
con l’ebraismo per la riammissione in seno all’episcopato del vescovo negazionista Williamson,
ignorando le sue posizioni ampiamente diffuse su Internet. La terza crisi con l’ebraismo per
l’esaltazione di Pio XII. Lo scontro furibondo in seno al mondo cattolico per la cancellazione della
scomunica ai vescovi lefebvriani, attuata all’insaputa degli episcopati interessati e contro il parere
della maggioranza del collegio cardinalizio che aveva chiesto ai seguaci di Lefebvre un atto
preventivo di adesione ai testi del Concilio. L’imposizione di parificare la messa tridentina (che
considera i fedeli “gregge”) con la messa di Paolo VI, che mette in luce il carattere comunitario del
rito eucaristico. E ancora, lo scontro con l’opinione pubblica mondiale sulla questione del
preservativo: con l’effetto di provocare – per la prima volta nell’epoca contemporanea – un’ondata
di proteste di governi democratici e di organismi internazionali contro la Santa Sede. Fino ad
arrivare all’inedito assoluto: una mozione approvata dal parlamento del Belgio contro le
dichiarazioni papali. Ogni volta c’è poi un passo nella direzione opposta, magari la preghiera con
l’imam nella Moschea Blù di Istanbul o il viaggio in Israele. Ogni volta i fautori del Papa indicano
le tracce di un “malinteso”. Ratzinger è un convintissimo fautore dei legami ebraico-cristiani (il suo
primo atto da pontefice fu una lettera agli ebrei di Roma). Ratzinger sostiene la necessità di un
dialogo con l’Islam. Ratzinger condanna in maniera categorica il carattere criminale e demoniaco
della Shoa. Ratzinger (a proposito dei lefebvriani) vuole favorire l’unità in seno alla Chiesa…
Sono solo errori di comunicazione, come si sente spesso ripetere? Sarebbe già grave, e certo è
ricorrente il non ascolto del polso dell’opinione pubblica dentro e fuori la Chiesa. Come se
un’impostazione dottrinaria dell’agire ritenesse superfluo acquisire ciò che la tradizione cattolica
chiama il consensus fidelium, l’adesione della comunità credente. Ma la sistemicità delle crisi fa
pensare ad un problema di governo nella Curia. Benedetto XVI ha preso come braccio destro il suo
ex vice al Sant’Uffizio, il segretario di Stato cardinale Bertone. Uomini nominati in posti chiave
come la Congregazione per la Dottrina della fede o l’Evangelizzazione dei popoli, i cardinali
Levada americano e Dias indiano, non hanno portato – come faceva in maniera straordinaria
Ratzinger da porporato – la loro esperienza sulla scena pubblica, interloquendo con la società. Un
cardinale di spessore come il brasiliano Hummes, portato in Vaticano a dirigere la Congregazione
per il Clero, è stato immediatamente silenziato appena ha accennato che il celibato non è un dogma.
Regna l’atmosfera di “non disturbare il manovratore”.
UNA TRANSIZIONE SENZA RIFORME
Così nulla si innova. Benedetto XVI punta sul rinnovamento interiore del credente. Il suo
pessimismo nei confronti delle riforme strutturali fa sì che non si parli dell’ordinazione di uomini
sposati (che da teologo sosteneva) o della riforma delle nullità matrimoniali o della comunione ai
divorziali risposati. Il suo pessimismo nei confronti dei riformisti gli ha fatto denunciare giorni fa l’
“utopismo anarchico” di certe correnti del Vaticano II. Soprattutto, sotto Benedetto XVI, non viene
affrontato il problema della collegialità: che vuol dire partecipazione dei fratelli vescovi alla guida
della Chiesa universale e alle scelte di fondo del pontificato. E’ il problema chiave della Chiesa nel
mondo odierno. Eppure da cardinale, alla vigilia della sua elezione, aveva affermato pubblicamente:
“Sempre più si vede che una Chiesa dalle dimensioni mondiali, e in questa situazione del pianeta,
non può essere governata in modo monarchico”. Esattamente ciò che avviene. Dove va il
pontificato? Sorprese e colpi d’ala sono sempre possibili. Intanto sembra muoversi a zig zag.
Difficile indovinare cosa ci sia all’orizzonte.

 

Irlanda, si dimette monsignor Magee fu segretario personale di tre papi
di Enrico Franceschini La Repubblica 25 marzo 2010
Dopo denunce, rapporti e richieste di dimissioni in mezza Europa, lo scandalo dei preti pedofili fa
rotolare la testa finora più importante della vicenda. Monsignor John Magee, 74enne vescovo di
Cloyne, una delle diocesi più grandi d'Irlanda, per quasi vent'anni segretario personale di tre papi,
da Paolo VI a Giovanni Paolo I, della cui morte dopo appena 33 giorni di pontificato fu uno dei
diretti testimoni, fino a Giovanni Paolo II, ha lasciato il suo incarico «implorando il perdono di tutti
coloro ai quali ho mancato in qualunque modo o che attraverso mie omissioni ho fatto soffrire».
Monsignor Magee aveva già chiesto a Benedetto XVI di essere sollevato dalle sue responsabilità un
anno fa, per potersi dedicare a tempo pieno a collaborare con le autorità irlandesi nelle indagini
sugli abusi sessuali di sacerdoti e suore sui bambini. Nel marzo 2009 era stato sostituito nelle sue
funzioni di capo della diocesi di Cloyne da un amministratore apostolico scelto dal Vaticano, ma
aveva mantenuto la carica vescovile. Ora il Papa ha formalmente accettato le sue dimissioni e da
ieri dunque Magee non è più vescovo. Una sua lettera ai fedeli è apparsa sul sito internet della
diocesi per spiegare la decisione, pochi minuti prima dell'annuncio ufficiale da parte della Santa
Sede.
Il Vaticano non ha reso noto il motivo per cui il Papa ha accettato le sue dimissioni, limitandosi a
citare un articolo del codice canonico che indica che un vescovo può essere rimosso dall'incarico
«per gravi ragioni». Monsignor Magee ha alluso a queste ragioni parlando, nel suo comunicato, di
«mancanze» e «omissioni». Un rapporto pubblicato nel dicembre 2008 in Irlanda lo accusò
esplicitamente di avere condonato o non affrontato come necessario almeno due casi di abusi
sessuali nella sua diocesi. Il rapporto affermava che il vescovo prese iniziative «minime» davanti
alle accuse emerse nei confronti di due preti; e giudicava inoltre le sue misure per la protezione
dell'infanzia «inadeguate e pericolose». In un primo tempo Magee si scusò, ma rifiutò di dimettersi.
Tre mesi più tardi, tuttavia, chiese al Papa di sollevarlo dall'incarico. Altri quattro vescovi irlandesi
hanno presentato le dimissioni da quando è scoppiato lo scandalo della pedofilia e degli abusi di
ogni genere contro migliaia di bambini negli istituti religiosi cattolici d'Irlanda.
Finora il Vaticano aveva accettato soltanto le dimissioni di Donald Murray, vescovo di Limerick.
Monsignor Magee è dunque il secondo a perdere il posto.
Il ruolo che ha svolto come segretario di tre papi ne fa di gran lunga la figura di maggior rilievo
travolta dallo scandalo fino a questo momento. Ora afferma che continuerà a cooperare con le
indagini della magistratura irlandese, che ha aperto un'inchiesta sulla sua diocesi. «Gli assicuro le
mie preghiere e gli auguro buona salute per il suo ritiro», commenta il cardinale Sean Brady,
primate della Chiesa cattolica d'Irlanda. In attesa di chiarire se la sua annunciata «riflessione» sullo
scandalo, che lambisce anche lui, lo porterà a fare la stessa scelta di Magee e a dimettersi, come
chiedono con insistenza le associazioni delle vittime.

 

Küng attacca Ratzinger: "Sapeva degli abusi"
di Marco Ansaldo La Repubblica 25 marzo 2010
«Ratzinger tenne nascoste informazioni importanti sui casi di abusi sessuali riguardanti i minori
nella Chiesa». «Küng? Ha sempre avuto un grande talento nel settore del marketing». Sono scintille
fra il pontefice tedesco e il teologo ribelle, un tempo confidenti all'epoca del Concilio Vaticano II, e
oggi su fronti opposti dopo che anche un recente tentativo di riconciliazione è andato fallito. Lo
scandalo della pedofilia sembra aver ulteriormente scavato un fossato. Già la scorsa settimana Küng
aveva invitato Benedetto XVI a recitare il «mea culpa» sugli episodi di violenza. Ieri è tornato alla
carica.
«Non c'era nessun altro uomo, in tutta la Chiesa cattolica, che sapeva così tanto sui casi di abusi
sessuali - ha detto a un'emittente televisiva svizzera - e certamente ex officio, in virtù della sua
carica». Il riferimento, ha precisato Küng, è a una lettera del 18 maggio 2001 inviata dall'allora
cardinale Joseph Ratzinger, a quel tempo presidente della Congregazione per la dottrina della fede,
ai vescovi di tutta la Chiesa cattolica.
Nella missiva ai presuli, ha spiegato il teologo riformista, veniva chiesto di passare a Ratzinger tutte
le informazioni sui casi di abusi sessuali. Quindi il pontefice «non può solo puntare il dito contro i
vescovi», ha ancora commentato Küng, sottolineando che «lo stesso» Benedetto XVI «ha dato le
istruzioni quando era capo Congregazione della fede e di nuovo come Papa».
La replica è arrivata per voce del cardinale tedesco Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio
consiglio "'Cor Unum", considerato molto vicino a Benedetto XVI. Già quando, negli anni ‘70, era
professore a Tubinga - dove aveva chiamato ad insegnare l'allora giovane Joseph Ratzinger - Küng
aveva mostrato di avere «grande talento nel campo del marketing strategico», e di essere «molto
abile nel mettere il dito nelle piaghe della Chiesa» ma non nel «curarle». Un giudizio sprezzante,
pronunciato in occasione della presentazione del suo libro "Perche' sacerdote? Risposte attuali con
Benedetto XVI", e riportato dall'Osservatore Romano.
Cordes ha ricordato in proposito un libro di Küng del 1971, "Wozu Priester? Eine Hilfe"' (Preti
perché? Un aiuto). Secondo il porporato, il teologo svizzero è in errore nel definire il ruolo del prete
solo come «guida della comunità, che a sua volta si articola sotto forma di molteplici ‘funzioni'»,
trascurando che «il segno distintivo non deriva al presbitero dalla comunità» ma da Cristo, e che «il
ministero sacerdotale ha carattere strettamente teocentrico».


Il Vaticano: è solo l'inizio Altri prelati verso le dimissioni
di Gian Guido Vecchi Corriere della Sera 25 marzo 2010
John Magee non è il primo vescovo irlandese a dimettersi per aver coperto preti pedofili e,
soprattutto, non sarà l’ultimo. Prima dell’ ex pastore della diocesi di Cloyne, il 7 dicembre era stato
il vescovo di Limerick, Donal Murray, a dare le dimissioni, accettate di lì a dieci giorni «con effetto
immediato». Il prossimo — «dopo Pasqua», fanno sapere Oltretevere — sarà monsignor James
Moriarty, oggi vescovo di Kildare e Leighlin, che ha già presentato la rinuncia, «la cosa sta andando
avanti, non è in questione il "se" o il "quando"» ha spiegato egli stesso.
Ma tutto questo, ancora, è solo l’inizio. Si parla di dimissioni accettate in base al «canone 401,
paragrafo 2», del Codice di diritto canonico: quando «infermità» o «altra grave causa» lo rendono
«meno idoneo», un vescovo è «vivamente invitato» a rinunciare. Altri due vescovi irlandesi hanno
già presentato «rinunce» ancora da valutare, un terzo respinge l’ipotesi di dimissioni ma è sotto
pressione, nei prossimi mesi dal Vaticano partiranno le «visite apostoliche» a setacciare seminari,
istituzioni e alcune diocesi: per «verificare le misure di prevenzione», si spiega, ma anche «se ci
sono ancora responsabilità». La «riorganizzazione» della Chiesa in Irlanda era cosa già decisa ben
prima della lettera ai fedeli irlandesi che Benedetto XVI ha firmato venerdì: che una quantità di
teste fosse destinata a saltare era già chiaro fin da quando, a dicembre, il pontefice convocò i
vescovi irlandesi in Vaticano, «profondamente scosso e angosciato» dopo uno «studio accurato» del
rapporto governativo «Murphy»: 320 casi di abusi a minori nella sola arcidiocesi di Dublino
commessi da 46 preti pedofili, trent’anni di sevizie e omertà dal 1975 al 2004.
Il pontefice lo scriveva nella lettera, rivolto ai vescovi: «Alcuni di voi e dei vostri predecessori
hanno mancato, a volte gravemente, nell’applicare le norme di diritto canonico codificate da lungo
tempo». È un punto che il Papa ha voluto ribadire: le norme c’erano già e non vietavano denunce,
«continuate a cooperare con le autorità civili nell’ambito di loro competenza». Si vuole «chiarezza»
e «trasparenza». Nessuna giustificazione per le omertà che l’arcivescovo di Dublino Diarmuid
Martin aveva spiegato con amarezza: «Le sofferenze dei bambini erano subordinate a "proteggere la
Chiesa" ed "evitare lo scandalo"». La «preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa»
di cui parlava il Papa. Del resto le indagini non sono finite. Il caso del vescovo Magee non riguarda
il rapporto Murphy e quindi Dublino ma la diocesi di Coyne, un’inchiesta ancora in corso che «si
dovrebbe concludere in autunno», calcolano Oltretevere.
Monsignor Magee si era già «autosospeso» un anno fa, lasciando di fatto la guida della diocesi, e
col procedere dell’inchiesta il 7 marzo sono arrivate le dimissioni accettate ieri. Quanto alla diocesi
di Dublino, oltre al già «dimissionato» Donal Murray e al prossimo James Moriarty, si aggiungono
Raymond Field e Eamonn Walsh, ausiliari della capitale, che hanno a loro volta presentato la
rinuncia: citati nel rapporto Murphy, la loro posizione viene tuttavia considerata più «leggera»,
senza particolari responsabilità, ed è ancora in sospeso. E poi c’è monsignor Martin Drennan, ora
vescovo di Galway e Kilmacduagh, che protesta la propria estraneità e ancora ieri si diceva deciso a
non dimettersi. Tra i vescovi citati nel rapporto c’è infine monsignor Dermot O’Mahony, già in
pensione.


Commissione governativa per studiare i casi tedeschi
di Danilo Taino Corriere della Sera 25 marzo 2010
La Germania cerca di prendere almeno le misure della lunga fila di scandali sessuali venuti alla luce
nelle settimane scorse. Ieri, il governo ha nominato Christine Bergmann — socialdemocratica, ex
ministra della Famiglia nel primo governo Schröder — delegata ad analizzare i casi di abuso su
minori e a studiare misure di prevenzione e repressione. Un primo appuntamento durante il quale si
discuterà della situazione è stato fissato per il 23 aprile, quando il governo, le Chiese e una serie di
associazioni della società civile si riuniranno in una tavola rotonda. Discuteranno tra l’altro di
risarcimenti alle vittime e della necessità di allungare il periodo di prescrizione per abusi su minori,
oggi di soli 10 anni (20 in alcune circostanze) dal momento in cui la vittima è diventata
maggiorenne. L’esecutivo di Angela Merkel ha anche formato una commissione incaricata di
seguire i casi. Ne fanno parte le tre ministre che in queste settimane sono state in prima linea nel
trattare gli scandali: la re-sponsabile della Giustizia Sabine Leutheusser-Schnarrenberg (liberale), la
ministra della Famiglia Kristina Schröder (Cdu) e la ministra dell'Istruzione Annette Schavan (Cdu).
L’indicazione è di trattare le violenze sessuali come un problema dell’intero sistema scolastico, non
limitandolo alla Chiesa cattolica, nei cui collegi è avvenuta la maggior parte dei casi. Intanto, le
notizie su nuovi episodi di abuso vengono alla luce su basi quotidiane. Ieri, si è saputo che altri tre
ex allievi hanno testimoniato di avere subito violenze durante la loro permanenza alla
Odenwaldschule, collegio di élite dell’Assia, laico. Il cardinale Friedrich Wetter, negli anni Ottanta
succeduto a Joseph Ratzinger come arcivescovo della diocesi di Monaco, si è invece assunto la
responsabilità di avere permesso che un prete notoriamente pedofilo e già condannato per abusi su
minori rimanesse



Giovedì 25 Marzo,2010 Ore: 16:46
 
 
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La questione dei preti pedofili

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