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www.ildialogo.org Preti pedofili, cosa c’entra il ’68?,di Massimo Faggioli

Pedofilia clericale - Documenti
Preti pedofili, cosa c’entra il ’68?

di Massimo Faggioli

Nota su un report sulla pedofilia clericale in USA. In allegato č possibile scaricare il testo del documento in inglese. In “Europa” del 21 maggio 2011


Il cattolicesimo romano e il Sessantotto intrattengono una relazione complicata, specialmente dall’elezione di Benedetto XVI in poi. Ma affermare, come si è fatto negli ultimi giorni, che la chiesa americana «dà la colpa al Sessantotto» per gli abusi sessuali commessi dal clero è una forzatura ideologica che fa torto all’equilibrio del documento. Pubblicato il 18 maggio, il rapporto delude entrambi i partiti, liberal e conservatore, e offre una spiegazione complessa per il fenomeno tragico del sex abuse crisis, che fu scoperchiato dalla stampa americana nel 2001. Il lungo rapporto (152 pagine, con 481 note di citazioni scientifiche) è intitolato Le cause e il contesto degli abusi sessuali sui minori da parte di preti cattolici negli USA (1950-2010) (disponibile su www.usccb.org/mr/causes-and-context.shtml).
Curato dal John Jay College of Criminal Justice della City University of New York e finanziato in parte dalla chiesa cattolica e in parte dal National Institute of Justice del ministero della giustizia, è un rapporto scritto da studiosi (tra cui una docente universitaria, collega e vicina di ufficio dello scrivente, Katharina Schuth): è un rapporto non pubblicato dalla chiesa, ma rivolto alla chiesa, che studia il fenomeno e invia raccomandazioni alla chiesa.
È il più completo e sistematico studio sugli abusi sessuali nella chiesa, e mette in crisi alcuni miti ben consolidati. Il primo dei miti è che i “preti predatori” (oltre seimila sono stati accusati negli ultimi 50 anni) fossero pedofili: il rapporto afferma che i preti che hanno commesso abusi non erano “preti pedofili”, ma preti che abusarono di minori solo per la facilità dell’accesso a minori di sesso maschile nella loro pratica pastorale.
In altri termini, secondo il rapporto solo una piccola parte dei colpevoli era “specializzata” nell’abuso dei minori, mentre la grande maggioranza era composta da “predatori generalisti”, ovvero non sceglieva le vittime per genere o per età.
In secondo luogo, la ricerca afferma che non vi sono prove per affermare che i preti gay erano più inclini agli abusi di quanto non lo fossero i preti non gay: in verità, all’entrata nei seminari di più omosessuali, a partire dagli anni Settanta, ha corrisposto un calo nel numero degli abusi. In terzo luogo, non c’è alcuna connessione dimostrabile tra abusi sessuali commessi dal clero e obbligo del celibato, se si guarda alle statistiche degli abusi commessi da uomini sposati.
Ma il rapporto indica anche che una migliore preparazione del clero al celibato fu all’origine del calo nel numero degli abusi a partire dagli anni Ottanta. Quanto al Sessantotto, il rapporto vede una connessione tra la preparazione antiquata del clero formato negli anni Quaranta e Cinquanta e l’inadeguatezza dei preti a comprendere le rivoluzioni culturali (tra cui la rivoluzione sessuale) degli anni Sessanta e Settanta.
Il rapporto riconosce il problema dell’isolamento istituzionale che ha portato a coprire gli abusi, e delinea un parallelo con i casi di abusi da parte della polizia (ampiamente documentati negli Stati Uniti): stress, isolamento, e mancanza di controlli sono fattori che aumentano i “comportamenti devianti”.
Nello studio non vi sono elementi di rassicurazione o di indulgenza per i vescovi e la chiesa come istituzione: si denuncia l’istinto autoprotettivo e autoassolutorio della chiesa come il comportamento largamente dominante nell’istituzione ecclesiastica fino a poco tempo fa. Nella parte finale sulle raccomandazioni il rapporto invita la chiesa, e in particolare i vescovi, ad adottare procedure trasparenti e responsabili: non è chiaro come queste raccomandazioni verranno recepite.
Questa parte finale del rapporto non è vincolante per i vescovi americani, i veri destinatari dello studio. Su tre aree si concentrano i consigli per il futuro: formazione, modelli di prevenzione delle situazioni a rischio, e sistemi di controllo.
Ma solo tre pagine sono dedicate ai sistemi per il miglioramento della trasparenza e responsabilità all’interno delle chiese locali nel caso di abusi sessuali commessi dal clero.
Il rapporto è stato accolto in America con attenzione e con una certa equanimità all’interno di una chiesa cattolica pur divisa lungo varie faglie teologico-culturali. Critiche si sono levate sull’adeguatezza dell’uso, in questo documento, della distinzione clinica tra efebofilia e pedofilia, essendo quest’ultima definita come abuso nei confronti dei bambini di 13 anni di età o minori di 13 anni.
Ma i risultati non offrono “munizioni teologiche”: né ai liberal che vedevano nella crisi un’occasione per provare un legame tra celibato del clero e abusi sessuali, né ai conservatori che tentavano di fare della presenza dei gay nella chiesa il capro espiatorio.
Resta da vedere se questo studio rappresenta solo la situazione della chiesa americana o si può applicare anche ad altre chiese cattoliche, come a quella italiana, nella quale solo alcuni casi sono finora venuti alla luce. Ma dal rapporto del John Jay College emerge come il chiaro colpevole per le coperture degli abusi siano indubbiamente i vescovi e la cultura del clericalismo: la storia del sex abuse crisis, un’altra trahison des clercs.
 


Scarica sul tuo PC il documento
The Causes and Context
of Sexual Abuse of Minors by
Catholic Priests in the
United States, 1950-2010

A Report Presented to the United States Conference of Catholic Bishops by the John Jay College Research Team



Lunedě 23 Maggio,2011 Ore: 14:29
 
 
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