- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (232) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org POVERTÀ: un primo modestissimo passo positivo (nell'ambito di una politica ingiusta e assurda).,a cura di Giuliano Ciampolini

POVERTÀ: un primo modestissimo passo positivo (nell'ambito di una politica ingiusta e assurda).

a cura di Giuliano Ciampolini

Povertà e reddito d'inserimento
Legge approvata: senato.it

Diciamo subito che è una cosa positiva, una volta tanto: per la prima volta in Italia si introduce una misura di sostegno economico a chi si trova in povertà assoluta, con una prospettiva tendenzialmente universalistica, in quanto in prospettiva dovrebbe riguardare il futuro tutti i poveri. I soldi stanziati sono pochi, largamente al di sotto di quanto occorre. Il necessario stimato è di circa 7 miliardi di euro che interesserebbe tutti i poveri assoluti, che sono stimati in 4 milioni. Il provvedimento del governo interessa invece poco meno della metà dei poveri”. Chiara Saraceno
.....................
Questa legge è solo un primo modestissimo passo per ridurre la sofferenza sociale dilagante nel nostro Paese (anche come conseguenza della poltica e delle scelte fatte dai governi Monti, Letta e Renzi). Per trovare le risorse finanziarie necessarie sono stati tagliati anche 200 milioni dal Fondo per le politiche sociali e 50 milioni da Fondo per le non autosufficienze. Tagli ignobili di un governo che non vuole tagliare neanche un cacciambombardiere F35 e che non vuole tagliare nessuna delle tante scelte assurde (e comunque non prioritarie) che stanno continuando a sprecare decine di miliardi di denaro pubblico: scelte assurde di un Pd che la pensa sostanzialmente come Forza Italia (un Pd che, vicino alle elezioni, come Forza Italia, si ricorda dei poveri per ottenere qualche voto in più).
Giuliano
10 marzo 2017 - il manifesto
Intervista di Roberto Ciccarelli
a ciotti libera numeri pari Don Luigi Ciotti:
«Politica schizofrenica, con una mano dà con l’altra toglie»
«Non si possono tagliare i fondi per Welfare e servizi sociali in questa crisi drammatica».
«Legalità è ormai un idolo e parola strumentalizzata. Mettiamo al centro giustizia e uguaglianza sociale»
Il «reddito di inclusione» (Rei), approvato ieri dal Senato, prevede fino a 480 euro al mese per famiglie numerose e copre tre poveri assoluti su 10. Il ministro del lavoro e del Welfare Poletti lo ha presentato come il «primo strumento universale» contro la povertà in Italia.
Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, la ritiene una misura adeguata?
È certamente un passo in avanti. Evitiamo il trionfalismo come il disfattismo di chi pensa sempre che si possa fare di meglio. Occuparsi di povertà e emarginazione – e non smettere di farlo, per questo parlo di passo in avanti – è un dovere della politica, che esiste per includere e per garantire la pari dignità delle persone. E, nel caso specifico, oltre che un dovere una priorità, un’urgenza. La crisi ha messo in ginocchio milioni di persone. C’è una disperazione diffusa che incontro ogni giorno, in ogni parte d’Italia. La politica deve mettersi nei panni degli altri, a cominciare da chi fa più fa fatica, dai poveri e dai fragili. Solo così può recuperare la sua funzione sociale e la sua forza profetica di strumento al servizio della dignità e della libertà di ognuno di noi.
Il fondo politiche sociali sarà tagliato di oltre 200 milioni, quello delle non autosufficienze di 50. È la cancellazione del disagio sociale dall’agenda politica?
Questo è un esempio di cattiva politica, o quantomeno di politica schizofrenica, che con una mano dà e con l’altra toglie. La riduzione dei servizi e delle politiche sociali è un dato drammatico di questi ultimi anni. I dati di Eurostat ci dicono che nel nostro Paese la spesa sociale destinata all’infanzia e alle famiglie è la metà della media europea (4,1% rispetto all’8,5%). E allora torniamo al discorso di prima. Non bastano le misure tampone – pure necessarie nell’emergenza – occorre un più ampio e organico disegno per ridurre le disuguaglianze e le forme di sfruttamento e di esclusione. Su questo la politica, salvo eccezioni, sembra incapace di formulare non dico progetti ma nemmeno parole all’altezza. Manca quella visione d’insieme che mi sembra emerga ad esempio nella Laudato sì di Papa Francesco, dove si parla di «conversione ecologica» e si afferma che le disuguaglianze economiche e lo sfruttamento del pianeta da parte di un sistema «ingiusto alla radice», sono facce di una stessa medaglia. Per tornare a essere non solo efficace ma autorevole, la politica deve misurarsi con questi orizzonti.
Libera partecipa alla Rete dei Numeri Pari che propone, tra l’altro, una misura universale per il reddito minimo, il reddito di dignità. Di cosa si tratta e che cosa intendete fare per portare all’attenzione dell’opinione pubblica le vostre campagne?
Al di là delle articolazioni tecniche, su cui meglio di me possono dire gli esperti, il «reddito di dignità» è una misura che mette appunto al centro la dignità della persona, quella dignità che decenni di politiche liberistiche – cioè di logica del profitto – hanno calpestato. Perciò non si tratta di una misura assistenzialistica ma inclusiva, volta cioè non solo a sostenere le persone in difficoltà ma ad accompagnarle affinché tornino a essere libere e autosufficienti. La dignità è incompatibile con il bisogno materiale e la negazione delle speranze. E una democrazia che crede di poter convivere col bisogno materiale e la disperazione di milioni di persone è una democrazia di facciata. Non è un caso che i padri della Costituzione abbiano indicato nel lavoro il valore fondante della nostra Repubblica.
Basterà una legge o un referendum per abrogare i voucher per cancellare la precarietà? Qual è il rimedio?
Non ho la presunzione di indicare rimedi. Certo è che la questione del lavoro è il nodo – direi insieme a quello dell’immigrazione – da cui dipendono i nostri destini. Non possiamo più permettere che il lavoro sia totalmente subordinato alla volontà di potenza della finanza, al diktat di parole generiche e ormai sospette come «crescita» o «innovazione». Non si tratta di essere nostalgici, di vagheggiare il ritorno a modelli di produzione superati dai fatti e dall’evoluzione tecnologica, ma di chiederci onestamente dove stiamo andando, dove ci porta una strada che aumenta le disuguaglianze, che mette la ricchezza sempre più in 3 mani di pochi impoverendo tutti gli altri. Lavoro significa dignità delle persone ma significa anche bene comune. Il lavoro deve essere un diritto universale, come universale deve essere la possibilità di godere dei suoi frutti, altrimenti non è lavoro, è sfruttamento. E allora c’è un grande impegno anche culturale che ci aspetta, perché abbiamo perso la nozione e direi anche il sentimento del bene comune. I beni comuni non posso obbedire alla logica del mercato perché bene comune significa vita. E la vita non è una merce in vendita.
Il 21 marzo Libera celebrerà la Giornata della Memoria delle vittime innocenti delle mafie. Perché oggi questa giornata è così importante?
Per una serie di motivi strettamente collegati a quanto abbiamo detto. Libera non ha mai messo al centro la «legalità» – che è diventata ormai un idolo, una parola tanto celebrata quanto strumentalizzata – ma la dignità e la libertà delle persone. La legalità, cioè l’uguaglianza di fronte alla legge, presuppone l’uguaglianza sociale, ossia la possibilità per ogni persona di usufruire dei diritti fondamentali: il lavoro, la casa, l’istruzione, l’assistenza sanitaria. La lotta alle mafie e alla corruzione parte da lì, dalla lotta per i diritti e per la dignità, dall’impegno per la giustizia sociale. È questo il senso della Giornata del 21 marzo al di là della vicinanza ai famigliari delle vittime e dell’impegno per realizzare gli ideali chi è morto per la libertà del nostro Paese. È un richiamo alla corresponsabilità, all’essere cittadini più attivi, più consapevoli, più attenti al bene comune. Se i diritti oggi sono deboli, non è solo colpa di una politica e un’economia autoreferenziali. È colpa anche nostra. I diritti sono responsabilità, azioni coerenti e concrete. Non possiamo più fermarci alle parole, perché un diritto solo proclamato ferisce le speranze di giustizia non meno di un diritto negato.
................
sbilanciamoci.info
9 marzo 2017
Cosa prevede il nuovo Reddito di Inclusione
La misura introdotta dal governo si pone l’obiettivo di contrastare la povertà ma rischia di aprire la strada ad una nuova frontiera di produzione di lavoro povero, mal pagato e sfruttato.
di Elena Monticelli

Il Rei-Reddito di Inclusione è legge (ddl S. 2492 “Camera Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali”), è stato approvato in queste ore anche al Senato in via definitiva , dopo essere già stato approvato alla Camera il 14 luglio 2016, dopo un percorso lento che a più riprese ha fatto discutere le diverse componenti politiche.

Iniziamo subito col dire che il Rei sarà la prima misura organica nazionale di contrasto alla povertà approvata dal Parlamento, dopo molti anni, dopo il Reddito Minimo di Inserimento di inizi anni 2000 (che aveva tutt’altre caratteristiche). Le disponibilità per finanziare il provvedimento sono pari a 1,030 mld di euro per il 2017 e a 1,054 mld a decorrere dal 2018 (corrispondono a quelle già stanziate per il Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale) e la misura sarà rivolta alle famiglie, al di sotto della soglia dei 3000 euro di ISEE con almeno un figlio minore, coerentemente con quanto già previsto nella legge di stabilità 2016 per il SIA (Sostegno per l’inclusione Attiva). Si prevedono dei progetti personalizzati predisposti da un’équipe multidisciplinare, costituita da parte dell’ambito territoriale sociale, in collaborazione con le amministrazioni competenti sul territorio in materia di: servizi per l’impiego; formazione; politiche abitative; tutela della salute; istruzione. La delega prevede il riordino degli strumenti di natura assistenziale, pertanto il Reddito di Inclusione dovrebbe assorbire tutte le altre misure utilizzate finora, maggiormente contingenti e meno organiche (es. social card), il SIA (Sostegno all’Inclusione attiva) nato nel 2013 e riadottato nel 2016.

Alla luce di questi elementi è possibile fare alcune considerazioni nel merito.
In primo luogo secondo l’Istat nel 2015 erano stimate 1 milione 582 mila famiglie residenti in Italia (circa il 6% del totale) in condizione di povertà assoluta: si tratta di 4 milioni e 598 mila individui, il 7,6% dell’intera popolazione. Sulla base dei criteri, come già detto, il Reddito di Inclusione si rivolgerà prioritariamente alle famiglie con minori, circa 618 mila nel 2015, con un’incidenza di povertà assoluta pari a poco più del 9% (9,3%). La platea dei beneficiari, però, si potrebbe restringere all’incirca a meno di 270 mila famiglie in povertà assoluta e con un figlio minore, se l’ammontare dell’assegno mensile del Rei fosse confermato tra i 350 ed i 480 euro a famiglia. Per tali ragioni è evidente che la misura risulta davvero insufficiente a far fronte all’emergenza della povertà nel nostro Paese.
Proprio qualche mese fa lo stesso CILAP – Collegamento Italiano di Lotta alla Povertà (sezione italiana della rete europea EAPN European Anti Poverty Network)  aveva denunciato l’insufficienza del SIA (strumento utilizzato nell’ultimo anno, precursore del REI e che aveva dei criteri simili), affermando come questa misura non stesse dando i risultati attesi a causa di troppi i vincoli richiesti. Denunciava il CILAP: “basta un errore, anche di comprensione, nella compilazione della domanda che l’Inps la rigetta”. Gran parte delle domande per il SIA (dal 40% all’80%) , infatti, è stato rifiutato per non aver raggiunto i 45 punti per avere riconosciuto il beneficio, tra queste sono stati esclusi i nuclei familiari più giovani, con un solo figlio, proprio quelle che, nelle intenzioni del Governo, dovevano essere sostenute. Sarà possibile superare questi problemi con il REI?
Secondo il CILAP, inoltre, analizzando le domande consegnate per il SIA, è possibile trarre l’identikit tipo del nucleo familiare che fa domanda per misure di contrasto alla povertà, e quindi che probabilmente farà richiesta anche per il Rei: età media dei genitori 30/35 anni, disoccupati o con bassa intensità lavorativa, uno o due figli in media; in altri termini un pezzo di generazione escluso dal mercato del lavoro stabile. Al contempo, però si può notare come rimanga escluso dall’accesso a misure di contrasto alla povertà proprio quella fetta generazione che, espulsa dal mercato del lavoro over 50, ha difficoltà a rientrarvi.
Questo perchè viene reiterata la scelta politica di non tutelare l’autonomia individuale, subordinando le necessità delle persone a quelle del proprio nucleo familiare di appartenenza, nonché alla condizione “prioritaria” di avere almeno un figlio minore, escludendo automaticamente tutte le famiglie senza figli, o con figli maggiorenni (magari disoccupati o NEET), nonché di tutte le coppie di fatto anche se stabili.
Si ipotizzano inoltre una restrizione, non ben definita, dei criteri di “residenza”, con la conseguenza che per molti stranieri potrebbe essere più difficile l’accesso.
In attesa di conoscere il contenuto dei decreti legislativi convince poco anche l’approccio che lega l’erogazione di reddito diretto ed indiretto ai c.d. “progetti personalizzati, predisposti da un’équipe multidisciplinare”, perché al di là della vaghezza del contenuto è utile interrogarsi sul senso di tali “progetti”, sempre più sovente utilizzati nell’ambito dell’erogazione di misure di sostegno al reddito (si pensi alle ultime leggi regionali come ad esempio quella pugliese sul Reddito di Dignità). Ci si chiede, infatti, se siano davvero uno strumento utile per reinserire i beneficiari all’interno del tessuto lavorativo o siano invece uno strumento più utile alle amministrazioni comunali, alle imprese, al Terzo Settore per poter usufruire di ulteriore manodopera ad un costo più basso? Il tema non è scontato perché potrebbe sottendere un’idea di creazione di lavoro povero e instabile e un’idea di workfare più simile, per intenderci, a quella che abbiamo visto nel film “Io Daniel Blake” di Ken Loach.
In questo confuso dibattito sui temi del lavoro di cittadinanza vs reddito di cittadinanza, il Reddito di Inclusione sembrerebbe aggiungere ulteriore confusione, ma si configurerebbe maggiormente in linea con la prima ipotesi, cioè con l’idea che i soggetti più vulnerabili, debbano accettare un lavoro “qualsivoglia”, anche povero, instabile e non tutelato. In altri termini il REI potrebbe aprire la strada ad una nuova frontiera di produzione di lavoro povero, mal pagato e sfruttato?
Nel frattempo sorge spontanea una domanda: perché il parlamento non ha mai voluto discutere le diverse proposte di legge presentate dalle diverse forze politiche in questi anni? L’Istat nel 2015 aveva anche espresso parere favorevole dopo un’analisi di fattibilità. E’ possibile tornare a parlare in modo corretto e sensato di misure di reddito minimo in Italia, senza che ne venga fuori un dibattito distorto?
........................
facebook.com
Immagine incorporata 3Loredana De Petris (Sinistra Italiana)
IL DDL POVERTÀ È UN PANNICELLO CALDO, ASSOLUTAMENTE INSUFFICIENTE
Lo stanziamento di 480 euro per 1.700mila persone, quando in questo Paese 4 milioni di persone si trovano in condizioni di povertà assoluta e 8 milioni in quelle che pudicamente vengono definite 'condizioni di povertà relativa', è meno che insufficiente. In compenso il governo si affretta a rendere operativa una norma scandalosa, che permette ai super-ricchi di pagare tasse risibili purché prendano la residenza fiscale in Italia. Non è questa la strada per fronteggiare la gravissima situazione sociale di questo Paese, questo significa proseguire sulla strada rovinosa del governo Renzi. Invece di cercare di attirare i super-manager in Italia e di evitare il referendum il governo deve affrontare il nodo della povertà e delle insopportabili diseguaglianze sociali con la serietà e la drasticità che una situazione così drammatica richiede.
E deve smettere di giocare a nascondino con la democrazia fissando immediatamente la data del referendum.facebook.com
........................
8 marzo 2017
Immagine incorporata 1Enrico Rossi
Articolo 53 Costituzione Repubblica Italiana: "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.” A me non piace per niente questa flat tax per cui se sei uno straricco e prendi la residenza in Italia te la cavi con 100.000 euro all'anno, a prescindere. È un cedimento grave e pericoloso rispetto a un principio costituzionale.
........................
huffingtonpost.it
8 marzo 2017
Mdp risponde alla proposta del ministro Giuliano Poletti:
"Il Piano contro la povertà esclude il 70% dei cittadini"
In esclusiva per Huffington Post la lettera dei tre leader e dei due capigruppo di Mdp sul Piano contro la povertà annunciato dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti.

Tra gli impegni che il governo Gentiloni deve portare a termine entro la fine della legislatura c'è quello del contrasto alla povertà assoluta. Il Piano nazionale – dopo la sperimentazione del SIA – è un primo passo, sopratutto nei confronti delle famiglie con minori. Resta la sproporzione tra le risorse stanziate e le reali necessità. Questo intervento, quando adottato, coprirà a malapena il 30% dei poveri assoluti. Rimarranno fuori 7 cittadini su 10. La povertà assoluta è una condizione economica che impedisce a oltre 4,5 milioni di persone l’accesso ai beni essenziali: alimentazione, casa, educazione, abbigliamento, minima possibilità di mobilità e svago. I più coinvolti sono i giovani, le famiglie numerose, i lavoratori poveri. Non soltanto al Sud (9,1% delle famiglie), ma anche al Centro (4,2%) e al Nord (5%).

L’Alleanza contro la Povertà ha fatto una proposta precisa – e di carattere strutturale – che prevede una spesa di 1,7 miliardi il primo anno per giungere, il quarto anno, a tutelare tutti i nuclei familiari che si trovano in povertà assoluta con uno stanziamento di sette miliardi. Questa proposta, una volta a regime, richiederebbe uno stanziamento pari allo 0,34% del Pil (oggi l'Italia spende lo 0,1% contro una media europea dello 0,4%). Le risorse si possono reperire correggendo la finanza pubblica che ha segnato l'ultimo triennio, ripristinando il principio costituzionale della progressività fiscale contenuto nell'articolo 53 della nostra Carta. Dal 2015 al 2017 è stata movimentata una massa finanziaria di ben 90 miliardi di euro, con effetti modesti sulla crescita. Investimenti di altra natura – come il contrasto alla povertà assoluta – avrebbero conseguenze ben più evidenti, sia sul piano sociale che su quello economico.

Anche da Bruxelles guarderebbero con maggiore fiducia a un uso della maggiore flessibilità per una vera crescita. La vicenda economica della vicina Germania ci indica infatti che non c'è vera crescita senza innovazione dello stato sociale. La lotta alla povertà non solo è giusta, ma, come sostengono concordemente molti economisti, è anche un fattore di crescita, per il noto principio dell'alta propensione al consumo di chi ha meno. Stiamo parlando di una misura non solo assistenziale ma di una strategia di reinserimento e attivazione sociale. Con l'assolvimento dell'obbligo scolastico e del rispetto dei protocolli sanitari per i minori; con percorsi di formazione professionale e di partecipazione al mercato del lavoro per gli adulti. Sylos Labini scriveva che: «se la miseria esiste» alcuni «la sfruttano»; ma questo - continuava - non «autorizza ad affermare che la miseria è indispensabile al capitalismo». L'indifferenza verso i destini degli esclusi è una lesione grave della nostra comunità. Per queste ragioni crediamo che contrastare la povertà assoluta, oltre che strumento anti-ciclico, è un principio fondamentale della nostra democrazia.

Enrico Rossi
Roberto Speranza
Arturo Scotto
Maria Cecilia Guerra
Francesco Laforgia
........................
libera.it
La povertà è la peggiore delle malattie
Proposte concrete per dichiarare illegale la povertà!

youtube.com
"La costruzione dell'uguaglianza e della giustizia sociale è compito della politica nel senso più vasto del termine: quella formale di chi amministra equella informale chi ci chiama in causa tutti come cittadini responsabili. La povertà dovrebbe essere illegale nel nostro paese. La crisi per molti è una condanna, per altri è un'occasione. Le mafie hanno trovato inedite sponde nella società dell'io, nel suo diffuso analfabetismo etico. Oggi sempre più evidenti i favoriindiretti alle mafie che sono forti in una società diseguale e culturalmente depressa e con una politica debole." sostiene don Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele e di Libera.

La Costituzione ci impegna in tal senso a fare ognuno la sua parte. La lotta alla povertà va ripensata in termini di interdipendenza tra le persone,le specie e all'interno degli equilibri naturali dei nostri ecosistemi. Possiamo da subito portare avanti azioni di contrasto dal basso alla povertà.

Il Gruppo Abele e Libera promuovono la campagna"Miseria Ladra" con tutte quelle realtà sociali, sindacali,studentesche, comitati, associazioni, movimenti, giornali e singoli cittadini/e, intenzionati a portare avanti le proposte contenute nel documento. Proposte concrete che da subito possono rispondere alla crisi materiale e culturale, rafforzare la partecipazione e rivitalizzare la nostra democrazia.
..............................
4 marzo 2017 - Tratto da: temi.repubblica.it
Don Ciotti:La politica si metta al servizio della società (civile)”
di Giacomo Russo Spena
Dignità, è questa la parola chiave”. Riconquistare la dignità perduta.
Don Luigi Ciotti riparte da qui. Prete, una vita in mezzo alla strada dedicata ai più poveri e agli emarginati. Con il Gruppo Abele si è occupato di problemi sociali (droga, Aids, prostituzione, immigrazione), con Libera si prefigge invece di contrastare mafie ed illegalità diffusa. Ora, a 71 anni, ha ancora mordente e voglia di riscatto. Dopo la campagna Miseria Ladra, ha promosso recentemente Numeri Pari, una federazione di associazioni della società civile che si presenta come inedita “rete contro la disuguaglianza e per la giustizia sociale”. Tra gli obiettivi una campagna contro gli sfratti e per l’introduzione di un reddito di dignità nel Paese. Una gamba sociale, al momento, esterna a qualsiasi forza partitica: “È ora – dice – che i partiti, non solo quelli di sinistra, riscoprano la politica come servizio alla comunità, partendo dai bisogni e dalle speranze delle persone”. Il punto di riferimento, per il tenace prete, è ancora Papa Francesco, il solo che con le sue parole “scuote le coscienze di tanti, credenti e laici, perché hanno la forza della ricerca di verità e la credibilità della coerenza tra la parola e la vita”.
Dall’ultimo rapporto Oxfam si evince che otto super miliardari detengono la stessa ricchezza netta (426 miliardi di dollari!) di metà della popolazione più povera del mondo, vale a dire 3,6 miliardi di persone. Il gap tra ricchi e poveri aumenta. Intanto in Italia cresce la disoccupazione giovanile. Come si può, nel concreto, rilanciare politiche di giustizia sociale e di redistribuzione del reddito?
Il problema non è solo politico ma culturale. Sicuramente le disuguaglianze vanno combattute sia sotto il profilo etico, perché umiliano la pari dignità delle persone, che pratico, perché disgregano la coesione sociale e il senso di comunità. Ma contestualmente è necessaria una rivoluzione culturale, cioè un impegno educativo di lungo e lunghissimo periodo – non possiamo aspettarci frutti immediati – che ci aiuti a ripensare le basi della relazione umana, della convivenza sociale, dei bisogni essenziali di una persona. Senza questa cornice è difficile che i singoli provvedimenti abbiano effetti al di là della contingenza. La questione credo sia stata messa a fuoco con grande lucidità da Papa Francesco nella Laudato sì, là dove si parla di “conversione ecologica”: bisogna ribaltare il rapporto tra economia e ecologia, perché l’economia, a dispetto della sua posizione egemonica, è solo una parte dell’ecologia, che comprende in sé sia la dimensione ambientale, sia quella sociale, sia appunto quella economica. Un’economia senza questa visione alta del bene comune diventa una forza distruttiva, un sistema di sfruttamento. Che lo sia diventata è anche responsabilità della politica, troppo spesso ridotta a strumenti di ratifica di quanto viene deciso nelle sedi economiche e finanziarie.
Passiamo alla misure concrete per contrastare precarietà e diseguaglianze. In Parlamento giacciono ben tre proposte di legge sul reddito minimo garantito, una di Sel, una del Pd e una del Movimento 5 Stelle. La vostra è l’ennesima proposta di reddito, non sono troppe? E che rapporti avete coi partiti, ci sarà collaborazione?
La nostra è una proposta di “reddito di dignità”, perché dignità è la parola chiave. Dignità di un lavoro che si cerca ma non si trova, o viene concesso in forme degradanti o umilianti, come dimostrano le tante forme di precariato, per non parlare dello sfruttamento o del caporalato. Poi che ci siano tante proposte non mi sembra in sé un fatto negativo, perché in ciascuna ci può essere del buono e del ragionevole. Certo è necessario arrivare a una sintesi, anche per venire a capo della situazione attuale, in cui abbiamo una sorta di spezzatino – o di pasticcio – di misure assistenziali insufficienti o persino contraddittorie. Detto questo, l’obiettivo è arrivare a una forma di reddito minimo garantito – come accade in quasi tutti i Paesi europei – contrattando se necessario una deroga del patto di stabilità sulla spesa sociale.
Ma quale rapporto avrete coi partiti?
Siamo disponibili a collaborare con chiunque si impegni su questi punti con coerenza e trasparenza.
Non trova che questo cosiddetto 1% di superpaperoni, oltre alla ricchezza, detenga anche il potere a scapito delle nostre democrazie? Senza considerare il tema della corruzione endemica alle forme di governo. Lotta alla diseguaglianza e lotta all’illegalità, sono due battaglie congiunte?
Sono profondamente intrecciate. È assodato che la corruzione cresce più facilmente in contesti di forte disuguaglianza, che lei stessa, d’altro canto, alimenta. Per non parlare delle mafie e delle organizzazioni criminali, che hanno nella corruzione il loro apripista. Questione sociale e questione criminale – dove nel “criminale” ci mettiamo la corruzione, le mafie, l’illegalità diffusa – sono vasi comunicanti e questa è un’ulteriore prova di come il tema dei “diritti” non sia solo etico ma politico. Una società senza diritti, o dove i diritti regrediscono a privilegi, è una società che non evolve sul piano sociale, culturale e nemmeno su quello economico, perché lascia spazio alle tante forme di corruzione e di criminalità che aggrediscono e derubano il bene comune.
Avete lanciato “Numeri Pari”, un’associazione che vede al proprio interno molte realtà sociali. È ora che i partiti della sinistra si mettano da parte per lasciare spazio a comitati territoriali, società civile e associazionismo vario?
È ora – lo dico con umiltà ma anche con convinzione – che i partiti, non solo quelli di sinistra, riscoprano la politica come servizio alla comunità, partendo dai bisogni e dalle speranze delle persone. Altrimenti la politica cancella la sua stessa funzione, che è quella di garantire il bene comune. Però è anche ora che la società civile, nel suo insieme, diventi società civile responsabile, consapevole cioè che l’essere oggi cittadini non può limitarsi all’esprimere opinioni via web o dare le proprie virtuali adesioni a questa o quella campagna: occorre mettersi in gioco in prima persona, costruendo insieme agli altri e anche insieme a chi fa politica di professione – c’è chi lo fa con onestà e competenza – progetti di interesse collettivo.
Il nuovo punto di riferimento per le realtà dal basso – che si battono contro diseguaglianze e povertà – è veramente il Papa? Al di là dei suoi proclami, all’interno del Vaticano non ci sono ancora mille contraddizioni da esplicitare?
Mi sembra riduttivo e fuorviante parlare di proclami. Quelle del Papa sono sollecitazioni che scuotono le coscienze di tanti, credenti e laici, perché hanno la forza della ricerca di verità e la credibilità della coerenza tra la parola e la vita. Questo sotto il piano etico e morale. Rispetto a quello intellettuale, credo che il discorso del Papa, al di là degli orientamenti politici e culturali di ciascuno, abbia una grande forza di persuasione perché denuncia ciò che la politica e l’economia tacciono o dicono in forme prudenti e reticenti, ossia che questo sistema e questo modello di vita sono da cambiare alla radice, e che se c’è una speranza, una via d’uscita dal circolo vizioso, comincia dal ridare dignità, lavoro e cittadinanza alle milioni di persone a cui sono state sottratti. È un discorso politico nel senso più vasto e alto del termine, e che lo faccia un Papa è certo molto significativo dei vuoti della politica. Se “libertà, uguaglianza, fraternità” sono stati i principi su cui abbiamo edificato le società moderne occidentali, è paradossale che sia un Papa a ricordarci che senza uguaglianza, senza pari dignità delle persone, la fraternità e la libertà rischiano di essere soltanto parole.
Nelle campagne sociali che ha in mente, quale posto occupa la Costituzione. Soprattutto dopo il referendum del 4 dicembre scorso, dove è stata bocciata la riforma Boschi/Renzi, non dobbiamo riaffermare i valori della nostra Carta?
La Costituzione attende ancora una completa realizzazione, soprattutto per quel che riguarda la prima parte. Ciò detto, nessuno mette in dubbio, anche dopo l’esito referendario, che il sistema politico vada rinnovato, alleggerito nei costi, semplificato in certi meccanismi. Ma un conto è questo rinnovamento, un altro è il disegno – in atto da diverse stagioni – che mira a modificare la delicata ossatura della Costituzione, volta a impedire le concentrazioni di potere, le gestioni “personali” o private degli interessi pubblici, la pretesa di uno o di pochi di decidere al posto degli altri. Questa è una deriva a cui bisogna dire no, perché umilia lo spirito democratico e porta da un lato allo smantellamento dei diritti fondamentali – quindi del lavoro, della casa, dell’istruzione, dell’assistenza sanitaria – dall’altro alla riduzione del bene comune a offerta elargita, paternalisticamente, dall’alto. Il linguaggio della democrazia è corresponsabilità, alfabeto del “noi”, non monologo e parola dell’io. E la Costituzione resta la più alta sintesi del linguaggio della democrazia e delle responsabilità che essa ci affida.
Spesso lei è stato accostato, proprio per la battaglia sul reddito, vicino al M5S. Qual è il suo giudizio sul movimento di Grillo?
Tali accostamenti, al di là del M5S, sono semplificazioni prive di fondamento. Rispondono più a un gioco delle parti che a un’analisi profonda dei problemi. Libera e il Gruppo Abele sono (e saranno) realtà apartitiche ma non apolitiche, nel senso che collaboreranno, senza “accostamenti” e confusione di ruoli, sulla base di un rapporto franco, diretto, con chiunque dentro e fuori dalla politica s’impegni in modo concreto per la giustizia sociale, per la dignità e la libertà delle persone.



Domenica 12 Marzo,2017 Ore: 09:42
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Osservatorio sulla poverta'

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info