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www.ildialogo.org Abbiamo diritto alla casa,a cura di Giampiero Monaca

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Abbiamo diritto alla casa

a cura di Giampiero Monaca

Abbiamo diritto alla casa

Abbiamo diritto alla casa

In Via orfanotrofio domenica ci siamo trovati in tanti Francesca, Mohamed , ed Elena, Kadija e Giovanni, Giampiero , e Anna, Silvia e Sadmir.... più di venti e un' età media di 7 anni.
Sei famiglie di astigiani di origine ed acquisiti stanno organizzandosi per superare la loro emegenza abitativa, semplicemente sono senza casa, sfrattati.
In questa stagione non è facile , e se sei un bambino è difficile capire perchè tutti i tuoi compagni di scuola in questi giorni pensano a Babbo Natale , mentre tu giri per i corridoi bui e freddi di un ex ambulatorio: questa sarà la tua casa... e ringrazi pure di averla trovata.
Non è possibile essere costretti a passare la propria infanzia nello squallore, non è giusto!
Ci abbiamo pensato un po' su tra amici, ne abbiamo parlato con gli occupanti, abbiamo deciso di tentare di dare una parvenza di allegria alla situazione, solo una parvenza.
Armati di pennelli e colori , bambini ed adulti, occupanti e astigiani, abbiamo pensato di dare un po' di colore alle vetrate delle varie stanze, per qualche ora i corridoi hanno risuonato delle risate divertite dei bambini, da oggi in poi le vetrate della casa di via Orfanotrofio sorrideranno ai passanti, il sorriso paziente di bambini che provano a trovare bella anche una situazione scomoda e inumana. Se passate da quelle parti, guardate in su, forse incrocerete il loro sguardo, rispondete al loro sorriso, condividete per un attimo la preoccupazione dei loro genitori.
Forse anche a voi quei vetri decorati da mani infantili ed illuminati da luci improvvisate daranno l'impressione di essere le vetrate di una cattedrale, ecumenica, interculturale, perché:" ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”p Al termine dell'opera di "decorazione": sorpresa: le mamme occupanti , nell'unica stanza riscaldata da una stufa a legna han tirato fuori torte e focacce, biscotti e tè caldo, si è fatto festa ospiti in quella che sta diventando una vera casa, siamo stati bene, e i nostri piccoli pittori astigiani d.o.c. prima ri rientare alle loro case riscaldate hanno assaporato l'ospitalità riconoscente di chi ha poco ma riesce comunque a condividerlo, grazie , anzi SHUKRAN!!
Giampiero Monaca

Questo è uno scritto- testimonianza di una carissima amica (Anna Mastino) che domenica scorsa ha partecipato all'attività di pittura dei vetri della casa di via orfanotrofio secondo me è bellissima ....

Avevo un cappotto viola.
Usato, come la maggior parte dei miei vestiti, ereditato da un'amica. Mi piacciono gli oggetti vecchi e usati che hanno una storia da raccontare... I giocattoli abbandonati da qualche bambino diventato grande, i libri sfogliati da altre dita, i vestiti che hanno scaldato e nascosto i corpi di chissà chi altro. E le case che sono li da tanto tempo: sfiorare con la mia le vite che ci sono passate dentro, le trame di sogni, di sofferenze, di risate e i pianti che quelle pareti hanno abbracciato.
Il mio cappotto viola si è macchiato di qualcuna di queste vite.
In una casa che forse non è ancora casa ma ha l'ambizione di diventarlo.
Si è macchiato dei colori usati per colorare i vetri di un palazzo triste: perchè diventa triste un palazzo quando è lasciato solo.
Perchè è triste una famiglia che non ha una casa.
E allora è naturale unire due solitudini e lasciare che si scaldino a vicenda. E, se mentre ci si scalda dipingendo un sole finto, cade una goccia sul cappotto, non ci si arrabbia più. Perchè il cappotto viola adesso ha più storie da raccontare. Parla di un papà dall'aria buona che racconta la sua gratitudine verso il medico astigiano che ha salvato la sua bimba appena nata. Parla di un lavoro perso dopo 13 anni e due figli ancora piccoli. Parla di N. e del suo nome scritto all'incontrario come fanno tanti bambini della sua età. Parla di un palazzo che si rianima e ridà un senso alle sue fondamenta, alle sue porte aperte, al suo tetto messo di nuovo sulla testa di qualcuno. Ma racconta anche del sospetto di chi non si fida, di chi ancora teme l'altro da sè: di chi è cresciuto pensando che il “prossimo tuo” sarà solo il prossimo a fregarti.
Ma le macchie sul cappotto dicono che quei piccoli Van Gogh sono ancora in tempo per crescere convinti che il mondo sia un buon posto per vivere e per incontrare l'altro..Lo hanno dimostrato rimanendo a dipingere i vetri in stanze gelate, con mani intirizzite e nasi rossi perchè il piacere di giocare col colore è più forte del male che porta il freddo. Perchè la gioia passa anche attraverso la fatica. Che divisa fra tutti, pesa di meno. Lo sanno anche i bambini.
E quelle madri che guardavano infreddolite forse neanche lo sapevano che,con gli alberi verdi e il fumo che usciva dal camino di una casa disegnata, i loro figli stavano già progettando la speranza per un loro futuro migliore.
ANNA MASTINO



Mercoledì 15 Dicembre,2010 Ore: 14:51
 
 
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