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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Il tappo,di Giovanni Sarubbi

Le storie nel cassetto
Il tappo

di Giovanni Sarubbi

Lo trovarono nel suo letto. Era morto. Si era iniettato una doppia dose di insulina nel sangue. La morte era stata immediata. Nella sua mano stringeva un tappo di spumante FERRARI metodo classico. Sul tappo c'era inciso a mano un numero. Sembrava una data.
Era il 13 dicembre, il giorno più corto dell'anno. Sul comodino trovarono un piccolo foglio con alcune parole scritte a mano:
13 dicembre,
il giorno più corto,
il buio che sovrasta la luce.
Il giorno giusto.
Le cose sono compiute,
gli obblighi assolti.
Il ricongiungimento è possibile.
La pace trionferà.
Nessuno capì nulla. Solo io ed un'altra persona sapevamo. Io non la conoscevo e lei non mi conosceva. Io sapevo della sua esistenza ma lei non sapeva nulla della mia.
Non darò un nome al personaggio di questa storia. Lo chiamerò “il morto” perché era tale già prima di farla finita.
Lo avevo conosciuto un anno prima per caso. Lo incontrai in un bar, cosa rara per me che non sono abituato a frequentarli. Ma quel giorno dovevo parlare con una persona che mi aveva dato li l'appuntamento. Mentre aspettavo notai questa persona. Era seduta in un angolo. Sembrava un cane bastonato. Aveva una bottiglia di vino davanti a se ed un bicchiere pieno. In quel bar servivano anche vino. Davanti a se aveva una copia di un quotidiano, di quelli che i bar mettono a disposizione dei loro clienti. Gli chiesi se potevo prenderlo per ingannare l'attesa. Mi disse di si.
Cominciai a leggere e ad un certo punto feci una battuta contro il governo. “il morto” mi rispose. Disse una parolaccia contro il governo. Cominciammo a parlare e nel giro di dieci minuti, come spesso capita al sud, avevamo scoperto di avere amici e qualche lontano parente comune.
Arrivò la persona che aspettavo e mi misi a parlare con lui. “il morto” continuò a rimanere seduto e a bere un po' di vino ogni tanto. Poi andai via. Salutai “il morto” che contraccambiò.
Rividi “il morto” dopo qualche mese, sempre nello stesso bar. Sembrava che non si fosse mai mosso da quel luogo. Sembrava un funerale fresco di giornata. Si ricordava di me e io di lui. E come avrei potuto dimenticarlo? Questa volta parlammo di più, il vino lo aiutava. Mi chiese di accompagnarlo a casa. Era a piedi, era stanco e non riusciva a camminare. Si vedeva che cercava qualcuno con cui parlare. Mi disse che aveva saputo che io ero giornalista e forse questo gli aveva ispirato fiducia. Aveva letto qualche mio articolo e mi disse che gli erano piaciuti. Beati i monoculi in terra cecorum, diceva un mio amico!
Acconsentii a portarlo a casa. Uscimmo e salimmo in auto. L'odore del vino si sentiva, il suo alito era pesante.
Gli chiesi perché bevesse. Mi disse “per dimenticare”. Mi bastò chiedergli che cosa volesse dimenticare che fu come un fiume in piena, come una bottiglia di spumante agitata a cui è stato tolto il tappo.
Mi raccontò, lui sessantacinquenne, che si era innamorato follemente di una donna più giovane di lui di 20 anni. Erano parenti. Lei era sposata e anche lui lo era da 40 anni. Mi giurò e stragiurò che non aveva mai tradito la moglie. Quell'amore era sbocciato piano piano. Lei era bellissima, mi disse e mi fece vedere anche una sua fotografia. Non potei dargli torto. Non era la solita ucraina a caccia di marito per la cittadinanza e la pensione di reversibilità.
«L'ho corteggiata a lungo, lei ha fatto lo stesso con me – mi disse – Ci corteggiavamo con lo sguardo, arrossivo al solo vederla e anche lei altrettanto. Mi si riempiva il cuore al solo sentire la sua voce. Mi ingelosivo come un bambino per le sue moine e anche lei per le mie. Lei mi diede il primo bacio sulla guancia assolutamente inaspettato. Eravamo in una chiesa. Lei sapeva io chi ero e io sapevo lei chi era. É nato l'amore, profondo, vero, sincero».
il morto” tremava tutto mentre diceva queste cose.
«Fu lei ad aiutarmi a dichiararle il mio amore accettandolo – proseguì – e non lo dico per scaricare su di lei alcuna responsabilità, ma solo perché così è successo. Mi chiese di dirle tutto quello che avevo in cuore liberamente e che la cosa sarebbe rimasta tra di noi. Le confessai il mio amore. Avevo toccato il cielo con le mani. Avevo trovato l'amore più grande, più bello, più profondo della mia vita».
Parlava come un ragazzino di 15 anni alla sua prima cotta. Anche io ne ho ancora qualche ricordo. Non riuscivo a capire perché mi dicesse quelle cose e perché mai un uomo non più giovane potesse ridursi in tale stato. Doveva avere qualche sofferenza psichica, mi dissi fra me e me.
Cercai di sdrammatizzare. Ma il vino proseguì il suo effetto e lui proseguì nel suo racconto.
«La dichiarazione gliel'ho fatta per telefono. Dopo qualche giorno ci siamo incontrati e non c'è stato bisogno di alcuna parola. Siamo rimasti abbracciati la bocca nella bocca per due ore senza un minuto di sosta. Non ho mai provato niente di simile nella mia vita. In quelle due ore gli raccontai la mia vita, gli dissi cose che non avevo mai detto a nessuno. Gli misi il mio cuore in mano. Per lei ero nudo come quando ero nato, la mia anima nella sua, il mio cuore nel suo. Credevo di essere tornato a vivere e la speranza si riaccese nel mio cuore». Scoppiò in lacrime. Dovetti fermarmi perché le sue lacrime mi emozionarono non poco. Cercai di calmarlo. Non sapevo veramente che fare. Ero imbarazzato. Non sono queste le cose che si raccontano ad un giornalista e non riuscivo ancora a credere alle mie orecchie.
Dopo qualche minuto riprese il suo racconto.
«La nostra relazione è durata un mese. Il giorno più bello ero a casa mia. Ero solo e lo sarei stato per tutta la giornata. Non aspettavo nessuno. Verso le 10 sentii bussare alla porta. Prima di aprire chiesi chi era. Sentii la sua voce che diceva “c'è posta per te”. Il sangue mi schizzo al cervello. Aprii e la vidi radiosa, bellissima».
Cominciò a singhiozzare e io sempre più imbarazzato non sapevo che fare. L'alcol fa brutti scherzi. Già in un'altra occasione avevo avuto le confidenze di una persona ubriaca che mi raccontò, per mettermi in guardia, le sue avventure sessuali con una donna che anche io conoscevo. Ma quella era tutt'altra storia. “il morto” mi stava mettendo sempre più in imbarazzo e non sapevo come fare per far fermare quella cosa. Eravamo per strada, la gente passava e ci guardava. Dovetti allontanarmi e cercare un posto più riparato. “il morto” si calmò e ricominciò il suo racconto. Mi rassegnai ad ascoltarlo fino in fondo.
«Si era portato lo champagne. Era una piccola bottiglia di FERRARI. Mi stupii ma non capivo letteralmente nulla. Mi persi fra le sue braccia. Aprì la bottiglia, bevve e lo spumante gli cadde sul suo corpo nudo. La leccai tutta bevvi e la baciai. Era disinibita, sicura, sensuale, bellissima. Mai mi era capitata una cosa simile. Siamo rimasti due ore insieme. Le ore più belle della mia vita».
Quel ricordo gli rasserenò il volto. Un lampo di felicità brillò nei suoi occhi.
«Ci rivestimmo – disse proseguendo il suo racconto - “Il tappo dello spumante te lo tieni tu”, mi disse e mi diede anche un cuoricino come pegno del nostro amore. Ci facemmo il caffè. Stemmo insieme per un altra mezzora fra un bacio ed un altro. Poi il postino come era arrivato andò via».
Tutto bene dunque, azzardai, come mai sei disperato?
«Dopo quel giorno ci siamo sentiti e visti più volte. E ogni volta erano baci profondi e momenti appassionati. In un'altra occasione siamo stati in un albergo. Altre due ore di amore folle, impossibile a descriversi, mai provato una cosa simile. Volle pagare lei e non ci furono versi a convincerla a fare diversamente. Ero ringiovanito e non era tanto l'aspetto sessuale che mi interessava. Alla mia età non potevo certo dargli la prestanza di un giovanotto. Lei aveva bisogno di me, mi ringraziava di esistere, diceva che non poteva fare a meno della mia presenza. Mi sentivo apprezzato come mai ero stato in vita mia. Mi dava uno scopo per vivere e per sperare in un futuro migliore. Per un mese mi ha fatto sognare una vita nuova insieme a lei. Un sogno impossibile, un sogno ad occhi aperti. Poi tutto è finito. E ora sono qui come un coglione a guardarmi il tappo». Tirò fuori dalla sua tasca il tappo e me lo mostrò.
Ripiombò nella tristezza. Il volto gli si oscurò. Tacque. Rimanemmo in silenzio per una decina di minuti. “il morto” sembrava caduto in catalessi. Aveva gli occhi chiusi come se dormisse. Poi si riprese.
«Scusami se ti ho fatto questo sfogo – mi disse – era come un peso sullo stomaco di cui dovevo liberarmi. Non so se posso fidarmi di te, ma oramai ti ho raccontato tutto. Spero che non tradirai queste confidenze. Sei la prima ed unica persona a cui l'ho raccontato. Forse la farò finita. Non credo di riuscire a vivere con questo peso sulla coscienza».
Cercai di capire come e perché quella storia di amore fosse finita. Mi disse che non se lo sapeva spiegare. Rimorso, paura per i propri figli, un marito violento, una situazione familiare complicata. Certo si era ficcato in un sogno impossibile. «Ma – mi disse - che vita è quella senza un sogno?». Ora quella donna addirittura lo odiava, aveva alzato un muro invalicabile fra di loro, non rispondeva più alle sue telefonate. Aveva anche pensato di inviarle dei fiori ma fu tutto inutile. Lui, nonostante tutto, continuava ad amarla follemente.
«La farò finita», e furono le ultime parole che mi disse.
Ripartii da dove ci eravamo fermati e dopo una decina di minuti arrivai di fronte a casa sua. Avevo cercato inutilmente di rincuorarlo e dire che stava dicendo una cazzata e che non vale la pena di uccidersi per cose del genere. «Di storie così – gli dissi - ne succedono tutti i giorni e se tutti volessero farla finita i cimiteri non basterebbero». Lui non rispose. Alla fine mi salutò e mi ringraziò.
Dopo quel giorno ho perso di vista “il morto” fino a quando poi non ho avuto notizia, alcuni mesi dopo, del suo suicidio. Ricollegai tutti gli elementi con la storia che mi aveva raccontato. Anche l'ultimo biglietto trovò una sua spiegazione. Aveva scelto quella data perché prima doveva aspettare il compimento di una scadenza familiare per la quale si era impegnato. Dopo, si era detto, non vale più la pena vivere.
Chissà quella donna nell'avere la notizia cosa ha pensato e cosa ha fatto. Lui, da come stringeva quel tappo, sicuramente è morto con il sapore delle sue labbra sulla propria bocca e con la gioia della sua speranza nel cuore. E' poco ma forse anche il poco può servire per sopravvivere. E se questo potrà servire a quella donna la sua morte non è stata vana.
Giovanni Sarubbi



Domenica 23 Marzo,2014 Ore: 10:20
 
 
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