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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org GABRIEL,di Angela Fabbri

GABRIEL

di Angela Fabbri

« Davvero vuoi andare? Ricordati » gli disse con voce bonaria e forte, proprio come un fratello maggiore « Scopriranno presto che sei del tutto nudo fra le gambe. Nudo in tutti i sensi. »

« Gli organi genitali? Mi mancano, è vero, ma ho già pensato come porvi rimedio. Guarda, amico mio, sopra la tunica, all’altezza giusta, porterò questa borsettina bene in vista. È imbottita di monete d’oro e c’è qualche gioiello, anche una collana bella grossa, così, se mi si appoggiano addosso, troveranno che sono ben dotato: in tutti i sensi. »

« Cerca piuttosto di badare alla borsa: se perdi i tuoi gioielli diventa davvero un bel guaio. »

« Saprò proteggere la mia integrità. Certo, non ho più la spada di Dio. L’ho riconsegnata tanto tempo fa… ti ricordi? »

« Michael, Michael dai capelli rossi, cerca di badare a te stesso, prima di tutto! »

« Lo farò. Ma tu mandami al più presto il giovane Gabriel. Dopotutto vado solo a spianargli la strada. E lo farò disarmato. »

« Non so. È ancora di là a pregare. »

Gabriel stava seduto in un lontano angolo del Cielo. Da tantissimo tempo la sua voce era muta. E lui ne stava ormai dimenticando l’armonia.

Quell’angelo era la MUSICA. L’essenza stessa della VITA.

Ma nel suo orizzonte c’erano solo nuvole. Nuvole silenziose che, in greggi, attraversavano l’azzurro. I pastori celesti e le loro pecorelle passavano vicino a Gabriel e, pur guardandolo con tristezza, seguivano la via di casa sulle ali del vento.

« Ha poco coraggio, ma molta favella. Almeno lui ha un’arma. Io, ho solo me stesso. »

« Hai la tua bellezza, Michael dai capelli rossi, e farai la tua figura, ne sono certo. »

« Sì. Ma tu provvedi a inviare il piccolo principe: forse l’ultimo principe fra noi. So già quale sarà il suo bagaglio: una veste rosa e profumata, un libro bianco e di oro inciso, una cetra e, soprattutto, ha una serie di strane canzoni nella sua mente. Le hai sentite anche tu, non è vero? Ne canticchia sempre dei versi al mattino quando si leva col sole e alla sera quando, col sole, si corica. Ti saluto, Raphael, tieni le postazioni. Quando mi allontano ho sempre uno strano timore che mi viene da Dio. »

Così Michael scese nudo dai cieli. Aveva un compito molto grezzo da svolgere.

« Devo solo porre il seme di un uomo chiamato Zaccaria nel ventre di una donna, moglie di lui, chiamata Elisabetta. E all’insaputa di entrambi. Devono essersi amati e amarsi molto, se hanno chiamato Dio per questo. Sarà il compimento di un amore che continuano a fare sperando dia un frutto che li risolva entrambi in un altro volto, in un altro corpo, nato dai loro due. Quando due persone si amano così, nulla deve essere lasciato di intentato. Va bene, mi farò ostetrico e insieme missionario. Non sapranno nulla, tranne il risultato. Un bel bambino robusto e gentile, con la stessa forza e la stessa fede dei suoi genitori. E ne avrà bisogno, se ricordo bene il futuro. »

Era vero, Gabriel pregava. Chiedeva a Dio la forza per compiere la sua missione, della quale era terribilmente incerto.

« Cosa dirò, cosa le dirò? Oh Dio metti in me le parole giuste. Il compito è oltremodo grave. Devo dirle qualcosa di INCONCEPIBILE. Ed è proprio questo il punto. Come reagirà? Penserà a un sopruso? che cancellerà la sua identità di donna? Sarà segnata a dito. Lei e la sua famiglia. Senza un uomo che la conforti nel mondo in cui vive. Le parleranno negli orecchi, a lei e alla sua famiglia e, cosa farà?, stupirà o perderà il senno? Ammesso che accetti la mia proposta, è comunque un ben triste destino, il suo. O sarà, semplicemente, felice? »

« Basta, Gabriel! Hai pregato e belato abbastanza. Non era forse questo a cui tenevi? Fino a ieri ti guardavi intorno e ti lamentavi: Tutti hanno un’occupazione, tranne me. Adesso anche tu hai un compito. E Michael è già partito a spianarti la strada. »

« Grande Raphael, sono in dubbio. »

« Abbi fede. E vai un po’ giù a vedere che aria tira. »

« Lascia che io congiunga ancora per un attimo le mani. Ho bisogno di conforto. Dopotutto è la prima volta che mi occupo di una donna. »

Raphael lasciò ricadere le cortine che separavano Gabriel dal resto del mondo, sospirò e si tuffò in volo nei cieli per non perdere l’abitudine.

« Tutti questi angeli-passerotti! Non hanno mai appreso nulla dal volo! Cosa ci riserva il destino? » E chiamò a raccolta gli ultimi nati per portarli a volare in alto con lui. Intanto pensava a come doveva modificare il proprio metodo d’insegnamento.

« Quassù in cielo ci vuole disciplina! Si tratti di angeli, di nubi o di situazioni atmosferiche. Lo sa bene Michael che è un pastore, lo so bene io che sono un istruttore. Ma quel Gabriel laggiù? Quando controllava nel cielo l’andamento delle nubi per dirci se sole o pioggia ci avrebbero benedetto, lo faceva da un rifugio speciale, una specie di osservatorio, e usava la sua vista telescopica per non doversi muovere. È per questo che è bel grasso, con un culo tondo a cui manca solo una corta grassa coda da agitare in giro. E ha i piedi palmati a furia di non spostarli. Lui prega con le parole, a viva voce, cioè, no, con voce leggera e soave. E che bisogno ne ha? Dio è vicino a lui. È dentro di lui. Come accade per tutti noi. Perché non se ne rende conto? Io sento Dio nel respiro del vento, come anche nel mio respiro. E, quando volo, lo porto con me. »

°°°°°°°°

Ebbene, adesso Gabriel piangeva, si commuoveva al suono delle sue stesse parole. E non sapeva che, così facendo, si avvicinava al compito che gli era stato affidato. Si girò e cercò con gli occhi la sua ARPA.

« Sì, Michael la chiama CETRA e pensa sicuramente che la porterò con me. » disse.

« Invece no, quando mi allontanerò, la musica sarà talmente tanto dentro di me che lo strumento non lo porterò. Sarò io quello strumento. »

E cominciò a suonare, dapprima con infinita dolcezza e con garbo. Poi lentamente impresse una nuova forza nella melodia, se ne innamorò e la trascinò senza smettere mai.

« Devo essere io la musica. La musica sono io. Mi attraversa, ma ancora se ne va, appena sospendo di suonare. Non può essere così. La musica deve restare. La musica mi deve gonfiare, come un otre. Mi deve ingrassare. E infatti per questo ho già scelto quella morbida e amplissima veste rosa. » parlava.

E prese a cambiare la melodia. Adagio la trasformò in un INCONCEPIBILE mare di onde che salivano e si ritiravano si rincorrevano si amavano ripiegandosi l’una sull’altra.

E poi mise la sua voce fra le onde, ne ascoltò il trasporto e il ritorno, l’eco senza fine di quelle parole che attraversavano il mare. Adesso era una sinfonia che andava a colpire e accarezzare il cielo e tutti quanti.

Raphael ne fu stordito e affascinato mentre tornava all’ovile di Michael, fatto di lana di nuvole, coi suoi piccoli angeli stanchi del volo.

Il sole calava con la sua luce rossa attraversata dalla musica nuova. E anche Gabriel si fermò, esausto.

« Sì, questa è musica. Ma è senza parole. E anche di parole io dovrò esser fatto di fronte a Maria. »

Si alzò e allungò qualche passo, senza far caso, volendo solo allontanarsi dal tormento che tutti quei suoni avevano provocato in lui. Ma invece li ascoltava e ogni tanto cominciava a sentirli perduti.

Mentre i suoi passi diventavano sempre più vigorosi, rumorosi, pesanti, sembrava sapessero dove portarlo, dove condurlo, solidi su una pianta solida, sicuri di sé.

La musica senza parole gli torceva il cuore, era un delirio di cascate sonore che scendevano giù di colpo e risalivano in alto senza smettere mai di ricadere e spruzzarlo di schiuma.

Le budella erano ormai una pappa ballerina che seguiva il ritmo. La musica si alzò la schiuma si alzò e un’inconcepibile onda lo buttò nudo sulla riva di un mare.

Gabriel, seduto a gambe aperte, accettò e ascoltò il fragore del mare che gli prendeva corpo, cuore e cervello. E gli buttò pure in grembo una piccola conchiglia bianca, fragile e delicata, ma senza paura.

« Forse TU hai le parole per la mia musica? Per questa musica che apparterrà non più a me, ma a Maria? Ti ascolto. » e appoggiò la conchiglia all’orecchio.

Oh, la conchiglia parlò, e parlando suonò la musica delle grandi profondità del mare, si muoveva a spirale scivolando e avanzando sempre più potente finché usciva con una melodia struggente di nostalgia per quel tesoro che è l’acqua salata di cui era fatto il suo guscio e le riportava il suo corpo sinuoso quando era là dentro, ben saldato e vivo, tutt’uno con la chiocciola ora vuota e sbrecciata.

« Questo è il canto del mare. » emise Gabriel in un soffio e le sue budella da pappa si sciolsero in PAPPALACCIA.

Non solo aveva ascoltato, era stato attraversato dalla musica del mare che, scostata la conchiglia dall’orecchio, si allontanava, ma non si affievoliva, risuonava ancora in lui.

« TU SEI MUSICA. Questo intendevo! La musica deve restare, fare parte di me. Piccola creatura, sei davvero un grande compositore. Potrò mai assomigliarti? Non ne ho la stoffa. E ho paura di tutto quello che mi hai fatto sentire. Forse, però, dormire con Dio mi riporterà il sereno. »

Così Gabriel si distese sulla sabbia fresca, con la conchiglia vicina all’orecchio, e dormì con Dio.

°°°°°°°°

E dormì così tanto che scordò di innalzare il canto dell’aurora. Anche il mezzogiorno passò, col sole caldo che lo abbronzava. Poi, dopo il lavoro del mattino, venne per tutti l’ora della pennichella, magari cullati dall’onda di un’amaca fresca. Ma Gabriel dormiva, assorto nell’ascolto del CD che veniva dal mare a raccontargli musiche impensate.

Il sole calò sul lavoro degli altri: essi cenarono e si portarono a letto. E, nel silenzio della sera, Gabriel finalmente si svegliò.

« Tu devi venire con me. Devi portare al mondo la tua musica infinita, evocatrice di sogni e di miracoli. Ti ho scoperto, ormai, e sarò il tuo manager, il tuo pigmalione, l’ammirato curatore di ogni opera che componi. Adesso che so che esisti, non posso più lasciarti andare. Tu mi appartieni e io appartengo a te. Vedi: tu suoni la musica e io l’ascolto e adagio me la fai capire. Tu sei l’autore e io il lettore attento della tua opera. Dopotutto il mondo si divide in due: CHI CREA e chi sa apprezzare la CREAZIONE. Vedi? La creazione è un divenire: un nascere e un morire come l’inizio e il finale di una sinfonia che poi ne richiama un’altra e mille altre. Ma, quello che conta, è che, tutte le volte che la stessa musica riparte, tutto nasce di nuovo. Questo è creare davvero e così dura per sempre. »

« Cosa ci riserva il futuro? » Gabriel, involontariamente, ripetè la richiesta di suo fratello Raphael.

« Ci sarà altra musica? E che musica si farà? Devo vedere, devo sapere, perché la sinfonia che sto cercando per Maria deve essere per sempre. »

- NON TI SFUGGE, piccolo angelo, che l’ETERNITÀ non è affar tuo? E sicuramente non appartiene a quei comuni mortali, lassòtto, dove vuoi o devi andare a portarla? -

« Dio! Oh Dio mio era un pezzo che non ti sentivo! Ma io, lassòtto, come dici tu, devo solo portare un messaggio. Un messaggio dolce e protettivo, qualcosa di importante per il futuro. »

- Davvero hai un solo messaggio? Io ho sentito parlare di musica. Anzi, ho sentito fare musica. -

« Certo. Porterò anche quella con me. Sarà di trasporto e conforto »

- Andrà tutto bene. Non ne posso più di vedere il mondo accendersi di guerra e spegnersi di ogni vita: l’estinguersi della sua luce è una pena per me. -

« Tu non sei Dio, vero? »

- No. Sono stato seduto alla sua destra tanto tempo fa. Ma lui era così frivolo, così superficiale col mondo che aveva creato e così incantevole con noi che ho dovuto salutarlo. Dirgli l’unica parola che mai avrei pensato sarebbe uscita dalla mia bocca: ADDIO. Perché avevo capito che, tutto, anche di me, sarebbe finito in lui. E glielo affidavo comunque. -

« Ma tu eri grande e sei ancora grande. »

- Il dolore mi ha fatto grande. Il dolore del rifiuto. Lo ripeté con Caino. Senz’altra motivazione che quella di essere Dio. Cosa vuoi che ti dica, Gabriel?, siete tutti nati da lui e quindi siete EGUALI. -

« Perché mi hai detto tutto questo? »

- Perché è dal tempo di Adamo e Eva che soffro per gli esseri umani. Volevo tu sapessi qualcosa in più di loro. Che la morte gliel’ha impressa nella mente proprio per farli soffrire, togliendo loro ogni gioia e anche la speranza e, quindi, non c’è pace in quest’idea di eternità. -

« LUCIFERO, perché sei tu, vero?, l’Angelo della Luce. »

- No. Non sono quello. E verrò un giorno a dire le stesse cose e molto di più alla persona di cui annunci la nascita. Mi chiameranno IL TENTATORE. Ma sono solo IL FRATELLO DI DIO. -

La voce si spense così com’era venuta. E Gabriel ritrovò se stesso, nudo nella notte.

Guardò le stelle, ne sentì il canto lontano ma continuo come quello di una sorgente e vi si abbeverò.

« Ahh, questa è musica! Dolce serena pacata, che calma il cuore. L’acqua salata è ruvida, intensa e… » stava finendo gli aggettivi così cambiò percorso « …forse mi fa venire il mal di pancia. »

Qualcuno sorrise intorno a lui.

- Gabriel, perché non sei sincero, provaci almeno una volta. È la verità che procura disturbi all’intestino. La verità quella vera. -

« Sei ancora tu? Pensavo fossi svanito. »

- Ho solo dimenticato di comunicarti una cosa, nella fretta di lasciarti solo e in pace. Lo Spirito Santo. -

« Allora sei come tutti gli altri. Quando non hanno più argomenti tirano in ballo lo Spirito Santo. »

- Già. Ma nessuno di voi lo conosce come lo conosco io. Dopotutto è comprensibile: è nato prima di voi. -

« Lo so. Esiste da sempre. E non ha mai fatto né fa del male a nessuno. »

- Vuoi insinuare che non ha mai fatto niente e non fa niente? Bene. E allora voglio dirti quello che non sai. Quello non è solo un agile sempre giovane colombo bianco che se ne va in giro col suo stuolo di tortore pazze di lui! Ha la proprietà di attraversare i corpi senza farsi sentire. Le mette tutte gravide senza che loro provino alcun piacere. E questo va bene per il nostro LASSÙ che, dopo aver cosparso il mondo di sesso, ha deciso che esso è cattivo e fuori del mondo. Infatti, ne vuol far uso solo lui. Lui che non può. Così usa il colombo bianco per inseminare chi lui desidera. E il colombo bianco non manca un colpo. Ebbene sappi che Dio, nel suo delirio, disse persino questo: “ Ti ho sempre amato, Maria, sei nata da un seme che conosco. Da un uomo e una donna che stimo. Ci ho tanto pensato: lasciar sfiorire la tua bellezza e i tuoi trasporti per me? O farli vivere e continuare in un figlio tuo? Quel figlio che nascerà è tuo: nato da te e dal mio amore per te. Così come Abramo amava Sara e ne ebbe Isacco, così io manderò a te il colombo bianco al posto mio e, grazie a lui, avremo un bimbo sano e bello. Mi sono sempre venuti così!

E adesso ricordati, piccolo Gabriel: DIO AMA CHI TENTA. Tienilo a mente quando assolverai il tuo compito. -

°°°°°°°°

Gabriel si ritrovò confuso, solo e assordato.

« Dopo questa rivelazione, spiccia e sbrigativa ma anche efficace, come farò a vivere di nuovo con Lui, con Dio? Cosa ne penserò, cosa sto già pensando? Non credo più alle mie orecchie! È forse vero quello che ho udito? No! È stata tutta quella musica! Non devo farne uso mai più. Senza Dio! senza Dio! Ma come potrei vivere! Dopotutto sono un angelo e a Lui non ci rinuncio. Fratelli o non fratelli! Per me potrebbe avere reggimenti di fratelli, intere schiere… » Ma, poiché trovava il pensiero troppo guerrafondaio, lo mutò in « Greggi di fratelli, armenti di fratelli vasti come il cielo, mondi pieni di pecore alate e di capre gravide… » e capì che stava dando di matto.

« No. Non ci sto senza Dio. Lui è tutto per me. Chi mi ha trovato nel mio rifugio nascosto? Chi mi ha ripescato dalla mia abulia e affidato un compito? Dio! Sempre Dio! Lui può tutto. E muove tutto. Entra in me fino a conoscere ciò che di più nascosto vi ho riposto e lo porta alla luce. Perché è Suo, senz’altra spiegazione. E anche questi pensieri che faccio mi vengono da Lui. »

Restituì al mare il suo CD, dopo avere stampato un grande bacio sulle labbra della conchiglia. Si stirò, ascoltò il vento della notte che correva lesto sulla sabbia e si bagnò i piedi nella fresca acqua salata. Guardò la luna e tornò in sé.

« Dio! » disse Gabriel « Adesso sono pronto, adesso non ho più dubbi. Vado e sono felice di farlo. Perché, essendo felice, sono portatore di felicità. »

Ma una Voce gli rispose:

GABRIEL, ORMAI È NOTTE, COME PUOI VEDERE ANCHE TU. PORTA I TUOI DUBBI FINO AL MATTINO. E, SE RESTERAI SALDO NEL TUO PROPOSITO, POTRAI COMPIERE L’INCARICO.

Poiché Gabriel ora non temeva più, si raccolse serenamente in preghiera, ripetendo, ora, una dopo l’altra, frasi e formule risapute e a lui note fin dall’infanzia.

Oh, ora non c’era davvero bisogno di inventare nulla, poteva appoggiarsi a tutto quello che era già stato inventato. Con grande tranquillità.

Ogni parola che ripeteva lo confortava, pronunciandola piano e lì trovò quella che era la base della sua esistenza da sempre. Nessuna parola nuova gli venne in mente. Anche la sua musica aveva dimenticato, lasciando l’anima, completamente, nelle mani di Dio.

E si addormentò in pace.

Ci sono davvero miriadi di cose in quest’anima. Ma ha imparato a controllarle. Si è abbandonato a me. Donandomi tutto quello che ha inventato, è tornato un angelo semplice e puro. Degno del compito che gli ho affidato. Anche la donna è semplice e pura. E crede in me senza riserve. Solo quest’angelo potrà parlarle. E le parlerà come desiderava, con la musica che ha tanto sentito perché anch’essa, come il bene, adesso abita in lui.

°°°°°°°°

Ma c’erano anche i CHERUBINI e annoveravano fra loro qualcuno con un forte senso dell’umorismo.

Così, il risveglio di Gabriel fu all’insegna del frastuono, di risate e di musica!

« Allora, Gabriel, principe dalla bella voce, quale melodia userai per la donna? Forse, questa notte, hai composto un’opera Rock? »

Lui alzò loro in faccia, proprio la sua faccia stropicciata dal sonno. Sembrava più vecchio, stamattina, e anche più maturo per l’evento.

I Cherubini ne presero atto e si allontanarono in punta di piedi raccogliendo silenziosamente le ali intorno al corpo.

Rimasto solo, Gabriel si guardò in un piccolo specchio da toletta e, nonostante si vedesse brutto e sbattuto, mise da parte le creme del mattino, i trucchi e i pennellini. Sentiva solo che l’ORA era arrivata. Che doveva partire. Che doveva portare. Che doveva portarsi e comportarsi come non era accaduto mai a nessuno, prima.

Proprio come sperava scoppiò la melodia. E lo gonfiò come un otre. Così attraversò le nubi, una dopo l’altra, verso la terra lontana. Nel timor di Dio e nel timor della caduta trafisse i cieli e entrò nella gravità del mondo e del momento che lo attendeva. L’aveva promesso a Dio. E stava mantenendo la promessa.

Gli Angeli Passerotti lo affiancarono, gridandogli dolcemente il loro incoraggiamento, accompagnando il suo timore nella discesa. Ma a un certo punto anche loro lo abbandonarono e quella caduta libera gli sembrò così lunga, così lunga…

Si lasciava andare al timore, soprattutto, certo, al timor di Dio. Vedeva, sotto di sé, un nebuloso nulla e non sapeva come e quando fermarsi.

Ma vennero in suo aiuto i passerotti della terra. Tanti. Almeno 6 stormi, valutò, per accompagnarlo fino agli alberi che erano loro casa e rifugio. Cinguettavano molto forte e di quella melodia Gabriel capì qualcosa molto importante: erano felici, qualcuno li aveva nutriti e dato acqua fresca. Adesso potevano attraversare l’aria con i loro versini e raccontarsi le avventure della giornata prima di raccogliersi nel sonno.

Gabriel vide allora alcune bricioline di ciambella ancora sparse su un davanzale. E capì che era arrivato. Un gran peso sparì dal suo cuore mentre accarezzava quelle bricioline illuminate dagli ultimi forti raggi d’oro del sole. Sentì la pietra del davanzale: era calda, pulita e la ciambella mandava ancora un buon profumo. Come quando vi era stata messa al mattino, appena sfornata.

Gabriel era un angelo della luce, dunque era contento che Dio l’avesse portata lì prima del suo arrivo. Come ad accoglierlo, nel compito che aveva creato tante nuvole nel suo pensiero.

Ecco che Dio lo risollevava, lo immergeva nella Sua Luce e nell’odore della ciambella e lo accompagnava così al nuovo crepuscolo della sera.

Aspettavano tutti e due un grande giorno e adesso Gabriel sapeva.

Alzò gli occhi e guardò un attimo dentro la casa. Prese coraggio dalla sua meta e sospirò infinitamente, pensando al domani. Poi si mutò in una grossa OCA e andò tranquillamente a riposare con loro.

°°°°°°°°

Il mattino venne, con grande fulgore. E le oche si mossero all’aperto, ben prima del canto del gallo. Gabriel scagazzò con loro in giro, pensando « Dopotutto, questo è ciò che sono adesso. »

Ma al solito, qualche CHERUBINO spiritoso lo salutò.

« Allora, Gabriel, principe dalla bella voce, è questa la melodia che hai composto? MERDA E SCORREGGIA? Ti abbiamo sentito e vai proprio forte! »

« Dalla stella alla stalla, va bene, ma voi ancora non sapete di che stalla si tratta, di che stella e di quali e quanti saranno i pastori che le daranno gloria. Andate a far colazione. E non lasciate cader giù dal cielo come al solito le briciole dei vostri toast bruciati. »

Dopo aver redarguito gli angeli MARIUOLI, Gabriel decise di riprendere il suo aspetto e le relative funzioni. In un cespuglio ritrovò se stesso: si lavò dalla merda d’oca e si rivestì di rosa. Poi ci ripensò: solo una veste bianca e immacolata poteva essere di presentazione alla donna che Dio aveva chiamato.

Andò al fiume, lavò e fece sparire il colore importuno finché ottenne proprio quella veste. Furono i colori dell’aurora a darle sfumature di rosa e infatti proprio l’aurora stava nascendo.

Il profumo della ciambella appena sfornata lo accattivò e lo trasse al piccolo davanzale. In cuor suo fu tentato di chiedere una fetta di quel dolce misericordioso: dopotutto quella mattina si era nutrito solo di becchime per oche.

Poi ricordò chi era e che il cibo, anche se assai appetitoso, non era per lui. Poi ricordò chi era lei, con tanta tenerezza e devozione che prese appena un piccolo orlo di ciambella e lo sbriciolò per i passerotti, arrivati in frotte con la fame del mattino.

Ed ecco Maria. Maria che esce di casa e coccola con gli occhi tutti quelli che mangiano. Vede l’ospite e gli offre una fetta che Gabriel non rifiuta.

Dopotutto, di fronte a lei, si sente piccolo come un passerotto del cielo e mangia.

‘ Sei tu che hai sbriciolato per loro il bordo della ciambella? Hai fatto bene. Perché altrimenti non l’avrebbero mai toccata. ’

Chiamato in causa, Gabriel la guardò. Maria. Maria era una donna. Maria era una donna che, con il solo aspetto, poteva tenere a segno anche un angelo.

Gabriel ne fu colpito. Si tolse le bricioline dalla bocca e la guardò di nuovo.

Era bella e dolce e serena e quindi sembrava pronta e disponibile a qualcosa di nuovo. Ma quel qualcosa di nuovo era lui, Gabriel, a doverglielo dire.

« Senti » incominciò « C’è un bambino in viaggio. Che aspetta una madre. Il padre ce l’ha. Ma è lontano. Molto lontano. È, come dire, in viaggio anche lui. Viaggia continuamente. Vorrebbe depositare qui il bambino e affidarlo a te. »

‘ Venga il bambino. E sarà il benvenuto. Benché io non sappia molto di bambini. Qual è la sua età? ‘

« Oh, è molto piccolo. È talmente piccolo che si potrebbe dire che non è ancora nato. »

‘ Se non è ancora nato, allora avrà bisogno di una madre. E io sono qui. ’

Gabriel allargò le braccia le ali la grande veste adesso immacolata e alzò il viso al cielo.

Un raggio di luce color oro si proiettò su di lui:

« SIGNORE. ECCO LA MADRE DEL FIGLIO TUO. »

Un altro raggio di luce scese su Maria e la attraversò:

Grazie del tuo gesto. Molti altri ti ringrazieranno nei secoli a venire.

‘ Perché? Ho solo detto: venga a me il bambino, poiché mi sembra di aver capito che è stato in qualche modo abbandonato. ’

Non è così: è stato INVIATO. Il bambino è messaggero di pace per le genti. Come tale è da custodire come un tesoro: come il tesoro di un Re.

‘ Forse tu sei Re? Forse tu sei il Re che abbandona il bambino? ’

Sì, io sono Re, sono il Re delle Genti. E abbandono mio figlio fra le tue braccia.

‘ Signore, ora ti riconosco, ma te l’ho detto, non m’intendo di bambini. ’

Avrai tempo di imparare, non avere timore, mentre il bambino crescerà in te. Sarà dolce ascoltarlo mentre passano i giorni e i mesi. Gli parlerai e anche lui ti ascolterà volentieri. È questa la prima educazione: quella all’ascolto. Poi ti parlerà lui con dei piccoli colpi, come a dirti: sono qui, voglio ascoltarti ancora. Tu canterai qualcosa, scoprirai che lo sai fare e diventerai autore di favole per lui che ne sarà beato.

‘ Tutto questo accadrà tra la mia pancia e me? ’

Tutto questo accadrà.

‘ Signore, tu mi consegni a qualcosa di meraviglioso, a qualcosa che non avrei mai potuto sperare. ’

Sì: tu dipingerai la tua e la sua vita, invece che dipingere vasi di terracotta.

‘ Lascia stare i vasi di terracotta, erano il mio passatempo fino a qui, ma, non credi che dovrei sapere di più? Per quanto tempo lo avrò dentro di me? Quanto durerà questo mondo felice? ’

Non temere. Ci sono cose delle quali sono poco pratico ma ci sono persone che sanno. Ad esempio tua cugina Elisabetta che ha appena avuto il dono di un figlio. Vai da lei e ti dirà tutto quello che desideri sapere.

‘ Hai ragione, Signore, avevo già in animo di farlo, ma, dopo le tue parole, la mia visita diventa urgente. Preparerò il dolce somarello bianco e partirò prima che il sole sia alto. Hai altro da dirmi, Signore Dio mio? ’

Ho predisposto il tuo futuro e vedrai che non sarai mai sola. Proprio adesso, un uomo della tua terra è in viaggio di ritorno. E ti chiederà in sposa. Aiutalo a credere in te come tu credi in me. Soffrirà molto, ma poi saprà capire qual è il tuo destino e il suo. Non sarà facile questo passo, né per te né per lui. Ma non ci sono strade facili nel compiere il disegno di Dio.

‘ Signore, io l’ho già accettato. ’

Lo so. Vedo dentro di te e sento la tua infinita fiducia. Vedi, è questo che mi ha portato a te: per amor mio tu non temi il mondo.

La voce del Padre si allontanò. E Gabriel si ritrovò di fronte alla donna.

« Maria » le disse « Ti parlerò di una stalla e di una stella. Non ti preoccupare se non sai dove sono: quando sarà il momento le riconoscerai. E il resto, che sto per dirti, riguarda solo te. Non ci sarà pubblico per questo. Né umano né divino. Per ora. »

Gabriel congiunse le mani di Maria e le chiuse fra le sue. Tutta la sua musica piovve allora dal Cielo. Fu uno scroscio di applausi.

E Gabriel, bagnato in quella pioggia, fu benedetto dal mondo per l’eternità. E anche Maria.

(da un’idea della notte fra 26 e 27 agosto 1991 in trasferta a Milano, scritto nel 2006-2007-2008 a Ferrara Ortigara, stesura finale febbraio e aprile 2012 a Ferrara CNN)

Vi ho raccontato:

STORIA di GABRIELE ARCANGELO

o

DELL’ANNUNCIAZIONE




Mercoledì 21 Novembre,2012 Ore: 16:28
 
 
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