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www.ildialogo.org Una poesia dedicata a Nicola Barbato dal poeta dialettale Francesco Trassari, militante dei Fasci dei lavoratori siciliani a fine 1800.,di Di Franca Sinagra Brisca

Una poesia dedicata a Nicola Barbato dal poeta dialettale Francesco Trassari, militante dei Fasci dei lavoratori siciliani a fine 1800.

di Di Franca Sinagra Brisca

La vita e l’opera di Francesco Trassari ci portano a ripercorrere quel momento di grande presa di coscienza dei contadini siciliani della propria condizione inaccettabile che, dopo il passaggio di Garibaldi carico di promesse di riscatto dal feudalesimo, raggiunse per un triennio alti livelli di rivolta vincente, con espressione organizzata di un programma sociale di alto valore e partecipazione indomabile in tutta l’isola: i Fasci siciliani.
Francesco Trassari (1871-1942) era un giovane di famiglia benestante, esuberante, battagliero nell’ideale di convivenza basato sul senso di giustizia socialista, che militò nel movimento di rivolta contadina dei Fasci dei lavoratori siciliani nel suo paese, a Naso (ME), dove una sede era stata fondata nel 1892 dall’amico socialista, il coetaneo Francesco Lo Sardo, il futuro deputato comunista che morirà nel 1931 nelle carceri fasciste. In questo periodo giovanile di assunzione delle rivendicazioni di libertà e giustizia nello storico ideale e di ricerca di liberare anche le attitudini personali, mentre Lo Sardo confermò la propria capacità politica, Trassari sviluppò la passione poetica, ambedue in un contesto sociale di ribellione alle chiusure della mentalità paesana e, nel contesto poetico, al tradizionalismo della stilistica del poeta dialettale Meli.
Quel sogno sociale in avanti fu spezzato dalla repressione del capo del governo, il garibaldino siciliano voltagabbana Crispi, che decretando a gennaio del 1894 lo stato d’assedio su tutta l’isola, incarcerò e condannò la meglio gioventù e spinse le folle contadine a cercare un’altra vita possibile con la migrazione in massa nelle Americhe. L’amico Lo Sardo fu denunciato dal sindaco di Naso per attività istigatrice alla ribellione contro l’autorità civile e religiosa e fu mandato al confino alle Tremiti (da dove rientrò in seguito alle manifestazioni in suo favore degli amici universitari a Messina, sede dell’importante circolo anarchico di Noè e Petrina). La battaglia per il riscatto di operai e contadini, diffusa e repressa in tutta la Sicilia, trova un poeta anche in Giuseppe De Felice Giuffrida, di Acicastello sulla scosta ionica, fondatore dei Fasci di Catania e condannato a diciotto anni di carcere.
Di conseguenza, in aprile del 1895 Trassari dedicò una generosa poesia, a tutt’oggi sconosciuta, A Nicola Barbato, il famoso avvocato palermitano rappresentante dei contadini nelle battaglie per il loro riscatto (che sarà poi il nome di battaglia con cui il partigiano siciliano Pompeo Colajanni entrò nel 1945 in Torino liberata). Francesco Trassari gli offre solidarietà di affetto e il riconoscimento da parte dei giovani siciliani come lui che portano quel nome eroico nella mente e nel cuore:
A tia chi si’ ‘ntro’n funnu di galera A te che sei in un fondo di galera
comu un latru briccuni cunnannatu come un ladro briccone condannato
mannu stu libriceddu studiatu mando questo libricino curato
fruttu di l’arma mia tutta sincera. frutto dell’anima mia sincera.
Mentri li sciuri di la primavera Mentre i fiori della primavera
spuntanu ‘ntra li munti e ‘ntra lu pratu, spuntano fra le montagne e il prato,
o poviru picciottu cunnannatu o povero giovane condannato
porti di lu martiriu la bannera. porti del martirio la bandiera.
E la povira to’ mamma, trimannu E la tua povera mamma, tremando
cogghj tutti li sciuri di ‘stu munnu raccoglie tutti i fiori di questo mondo
e li duna a mia chi ti li mannu. e li dona a me che te li mando.
Ma li cosi cchiù granni e megghiu cchiù Ma le cose più valide e migliori più
di li sciuri chi a tia ti mannu, sunnu dei fiori che ti mando, sono
tutti li cori di la giovintù. tutti i cuori della gioventù.
Nella sconfitta politica che dissolse i raggruppamenti solidali colpendo le singole persone, a dicembre 1895 Trassari risponde a un nuovo amico, il noto poeta e drammaturgo dialettale Nino Martoglio, che gli aveva dedicato un sonetto, con una poesia colma di affetto che nella prima quartina recita: “Mi facisti davveru un comprimentu, / nun mi crideva chi m’amavi tantu. / Iu di l’amuri to’sugnu cuntentu, / vidiri ti vurrissi a lu me cantu.” (Mi hai fatto davvero un complimento, non credevo che mi apprezzassi tanto. Io sono felice del tuo affetto, vorrei vederti accanto a me), per finire nell’ultima terzina confermando “ora chi tu mi manni lu to’ cantu, / o Ninu amicu miu, sugnu cuntentu / pirchì truvavi a cu’ circavi tantu.” (ora che tu mi mandi la tua poesia, o Nino amico mio, sono contento perché ho trovato chi cercavo da tanto tempo). Trassari vive un momento di rinascita della speranza, la sua attitudine poetica è rimasta intatta e forte e ne è consapevole, infatti nel 1896 pubblica la raccolta di poesie giovanili e la intitola LI MINZOGNI.
Nello stesso anno si trasferisce a Roma per seguire gli studi di giurisprudenza, in cui convergevano la scelta e gli interessi della maggior parte dei giovani di allora che credevano nell’arma della legge affinché il di-ritto non si concretizzasse di-storto. Il giovane venticinquenne a Roma raggiunse presto la notorietà letteraria, fu ammesso a frequentare il circolo di Luigi Capuana, che lo accolse nella compagnia dei maggiori letterati come Carducci e Pirandello, coi quali stabilì rapporti di amicizia e scambio epistolare, presto anche con Verga e Pitrè, ed estese vivaci rapporti con i poeti dialettali di tutta l’isola. Aveva imboccato la strada della sua attitudine: la poesia e lo studio linguistico.
Ma insieme a quello sociale, anche il suo sogno in avanti personale fu spezzato da un lutto familiare che lo risucchiò nell’ambiente scontroso e tradizionalista del suo piccolo paese, dove nel 1899 ancora tentò generosamente il riscatto politico candidandosi alle amministrative nella lista “Democrazia Nasitana”, insieme all’amico Francesco Lo Sardo.
Gli altri candidati furono Rosario Giuffrè di Rosario, Cono Miragliotta di Giuseppe, Casimiro Tindiglia di Domenico, Giuseppe Sanfilippo di Giuseppe. La borghesia di allora, che ancora seguiva le convinzioni borboniche del compaesano sacerdote Buttà (che era stato cappellano del re a Napoli e in vari scritti riversava il suo odio contro i garibaldini), non poteva che trovare preoccupanti gli obiettivi del programma di quei candidati. Le intenzioni infernali dei candidati riguardavano l’attuazione di 1. La quotizzazione delle terre comunali con abolizione dei dazi e la riforma tributaria 2. La municipalizzazione della vendita del pane e la costruzione di forni comunali 3. La gestione diretta da parte del comune dei servizi pubblici 4. L’assistenza medica e farmaceutica gratuita per i poveri. Il programma fu accompagnato da una lettera aperta di Francesco Lo Sardo ai compaesani avversari, intitolata significativamente “Agli scettici e ai maligni”. Non furono eletti.
In quello stesso anno il poeta visse varie disillusioni perché, oltre alla nuova sconfitta politica, Martoglio sembrava che l’avesse abbandonato, l’amico Lo Sardo stava per partire per Napoli e dopo alcuni anni si sarebbe stabilito a Messina. La sua sensibilità lo porterà a chiudersi in se stesso, lui incompreso e ostacolato salverà la propria sopravvivenza interiore nell’espressione poetica, affidandola però a foglietti sparsi e dispersi. Ritroviamo la gioia di un Trassari diverso, riconciliato con l’amico catanese (probabilmente non era stato un vero litigio) e sembra essere diventato rinunciatario ma orgoglioso della lingua siciliana in un sonetto del 1901 dedicato a Martoglio in partenza per un convegno di poeti dialettali a Roma: “Parti pi Roma? e Diu mi t’accumpagna! / Possa tu aviri tutti li trufei! / Iu minni staiu ‘nta la me’ campagna, / cu l’arburi chi su’ l’amici mei. /… Tu di la nostra bedda puisia / ‘nta lu to’ cantu porti l’alligrizza / porti li sciuri di la simpatia. /…Iu di ssa festa sugnu assai luntanu / ma sentu puru cca la cuntintizza / d’essiri comu a tia sicilianu.” (Parti per Roma? E Dio t’accompagni! Possa tu ottenere tutti i premi! Io me ne sto nella mia campagna, con gli alberi che sono gli amici miei. … Tu della nostra bella poesia porti nei tuoi versi l’allegria, porti i fiori della simpatia. …Io sono molto distante da questo tipo di festa ma sento pure qua la contentezza d’essere come te siciliano).
Trassari si inserisce nella ricchissima schiera dei poeti dialettali siciliani ed è citato da Pasolini nell’antologia che attraversa l’Italia dal Friuli al Meridione, dove il più recente cantore sarà il notissimo Ignazio Buttitta.
Come per damnatio memoriae, la poesia di Francesco Trassari e lo stesso martirio carcerario del deputato Lo Sardo suo amico, saranno passati sotto silenzio per tutto il periodo postbellico e oltre, tomba dei molteplici delitti del fascismo. I delicatissimi componimenti mai pubblicati e giunti fino a noi su foglietti, solo oggi stanno per dare a Francesco Trassari il merito che già i grandi letterati di fine 1800 gli avevano riconosciuto, come Pascoli che amava farsi recitare questa poesia dal contenuto lirico planetario che onora il movimento di rivolta dei Fascianti siciliani: L’erba
- Crisci l’erbuzza ‘ntra li vaddunati, - Cresce l’erbetta dentro alle vallate
crisci supra li rocchi e ‘nta li mura: cresce sulle rocche e fra le mura:
e di ‘nvernu accussì comu d’estati, e così d’inverno come d’estate,
Jinchi la terra di la so’ virdura. riempie la terra della sua verdura.
- Crisci ‘mmenzu a li timpi sdirrupati, - Cresce in mezzo alle coste dirupate,
ntra li fangazzi di la sepultura… fra le pozzanghere delle sepolture…
e duna a l’acidduzzi ‘nnammurati, e dona agl’uccelletti innamorati,
duci riposu cu la so’ friscura… un dolce riposo con la sua frescura…
- Biniditta mi si’, erba chi pasci - Benedetta tu sia, erba che pasci
li pecuri, li vacchi, e puru aiutu le pecore, le vacche, e pure aiuto
duni a li puvireddi affritti e stanchi! doni ai poveretti afflitti e stanchi!
- Biniditta mi si’! ‘ntra li valanchi, - Benedetta tu sia! dentro i solchi,
nta l’orti, ‘ntra li prati…unni chi nasci, negli orti, nei prati…ovunque nasci,
erba, virdi spiranza, iu ti salutu. erba, verde speranza, io ti saluto.



Martedì 21 Novembre,2017 Ore: 19:12
 
 
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