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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org ALTRI ACCAPO,di Sebastiano Saglimbeni

ALTRI ACCAPO

di Sebastiano Saglimbeni

Pubblichiamo con grande piacere questa silloge di poesie del carissimo amico Sebastiano Saglimbeni, poeta siciliano che vive a Verona, che ci onora della sua amicizia e della sua collaborazione.
Sono il suo ultimo lavoro poetico in ordine di tempo che ci ha inviato per la pubblicazione sul "nostro dialogo".
Sono poesie dal sapore antico, delicate, che suscitano sogni, ricordi, riflessioni, gioia e amarezza, tristezza e speranza, come solo la vera poesia sa fare. Un ristoro per l'anima affranta, come un bicchiere di acqua buona per l'assetato; uno stimolo per l'anima in cerca di speranza e di luce.
Grazie Sebastiano per questo bellissimo regalo e auguri vivissimi per i tuoi 85 anni. (Giovanni Sarubbi) 
 
Sebastiano Saglimbeni
UN VIRTUALE ESISTERE
Soprattutto ricava un’ enorme muta
umana, ignara, fresca di vita in questo
tempo piceo, un virtuale esistere
complice quell’aggeggio digitato.

 

TRAGICHE RIVALSE
Grande lo schermo davanti,
godibile, in attesa della tazza
d’ acqua appena tinta o lorda,
si osservano le tragiche rivalse
del pianeta che forte si contorce
forte e reclama di essere deserto,
solo, prolifico, selvaggio.

 

STORPI MENTALI
Non facile la conta degli storpi mentali-
l’ ho annotato ancora-, particolarmente
ripugnanti, pure di provenienza aurea,
dalla sempre zeppa mangiatoia. Ad eroi
si erigono, quando lanciano sassi.

 

UMILE ECCELSO SACERDOTE
Un mito, umile eccelso sacerdote.
Assodate le tue parole: “uno scandalo
salvare le banche”, mentre per l’estesa,
infida acqua, crepa una solitudine
crescente di fuggitivi.
                       Tu, in ore omnium,
lindo, dirompente ti esprimi, tenti
una bonifica della cloaca dei tuoi
antichi e prossimi predecessori.

 

IL DOLCE GUSTO DEL SEME
Fu dopo la quiete di un’ennesima
strage del disumano al disumano.
Il millenovecento diciassette……
Deambulava con la protasi agli arti
Inferiori mozzati. Sortiva abbellito
per camuffare la menomazione.
               Lei, che accettò di volerlo
compagno, era illibata campagnola,
aveva asceso, lungo terre a zig zag,
alberi di more nere e tagliato messi
svettanti piene e nane.
           Quando vide sul letto di paglia
d’orzo quell’uomo nudo in quel modo,
disdegnò ad aprirsi, fuggì per la dimora
di suo padre che burbero le intimò:
“ Vai da quell’uomo!”. Ubbidì, s’apri
e dopo il dolce gusto del seme, più volte
germogliato e carne al mondo…

 

ELOGIO DELLE DEIEZIONI
Perché elogiarle proprio non dobbiamo
con degli accapo, a parte la rima?
Che poi, pensa, sono state i nostri
alimenti crudi, cotti, erbe, frutti
di vario genere, legumi ed altro
mangereccio.
               Benedette quelle femmine
quando al paese (le case nere tane,
con qualche orinale arrugginito), come
frutti cascati dalle piante, in canestri
raccattavano quelle delle bestie
senza escludere quelle degli umani.
E in campagna, nell’orto, aperto
con solchi per le rape da poco calate
nella terra. Così una rigogliosa resa,
alimento gustoso pure alle mense
del benestante.
Riflessione. Perché apostrofare
un traditore amico, un governante
mariolo con quell’epiteto usurato.
Allora vale dirgli: “Sei un cibo digerito”.
Bello che siamo tali da maligni.

 

LANGUIDA ROSA
Se la languida rosa ti fiorisse
e lacrimasse, cosa sogneresti?
Stagioni dell’intenso
trapassate, libeccio agli occhi
tuoi quasi spenti.

 

RISPOSTA
Sovente mi domandi del mio esistere
pure consumato con parole. Ed io:
“Sì. Ho creduto, insano, seminarle
tra terre fiorite, ora pietre, erbacce,
a maggio illuminate dai fiori
di ginestre, non soccombenti
al fuoco dell’ anonimo capraio.

 

MI BIASIMO
Nel mentre avanzo di altra conoscenza
mi biasimo per un passato quasi
d’istinto animalesco.

 

LAMENTO E POESIA
Leggevano
sul giornale del luogo
l’inconsistente sapore della frutta,
il pallore del pane insipido,
e di altro assai trattato.
Ad elevare gli animi, vicino,
altri declamavano versi,
che aveva scritto Rilke, il poeta
dell’Est inquieto divorato
dal sangue avvelenato.
Ma lì, dentro il locale, nel cuore
giovanile italiano, egli si attendeva,
dopo “la grande arsura,
il vento sopra la pianura.”

 

IMPREVISTI
Ne accadono dall’oggi al domani
e tu - ancora te l’ho scritto? -
mi chiedi di vederci nel tempo
che il sole pure all’ombra arde.
                          Se non riuscirai
a vedermi, non vale adombrarti,
e se in un luogo non mi son piantato,
mi troverai in un altro vessato,
in attesa che tu,
                     greve di cure, arrivi.
Pensavo che nelle iberiche isole
indugiante, te le avesse alleviate
lo sciacquio del mare.

 

ESTATE, ESTATE
a Franca Sinagra Brisca
Mi dici (e s’era inverno niveo?)
di questa con cicale, che laddove
soggiorni sola sul clivo di ulivi,
insaniscono al Cane incalzante.
Qui nella città del teatro e dell’Arena
romani ove è rinata nelle notti
la nipponica dama e si è esclusa
sulla scena sento i cari eterni insetti
tra le scaglie dei tigli sotto casa.
Evocano le mie lontane epoche
vissute in alto alle acque dell’Ionio.
Rientrerà settembre o il mese
appresso, un refrigerio; qui io mai
potrò vantare giornate di ozio
quale quello dei figli di caprai
che a Miami si mangiano l’estate,
ad onta, ad onta di quel paese
dove con l’accetta si tagliava
la nera miseria.
                      Amica, non dovrai
lacrimare; consegnati all’ombra
degli ulivi, a me nel sogno ormai:
quelli di una chiusa ora negletta.
Assai remote l’infanzia e le aie.
 



Mercoledì 26 Luglio,2017 Ore: 16:51
 
 
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