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www.ildialogo.org ROSANNA FINETTO CON POESIE,di Sebastiano Saglimbeni

ROSANNA FINETTO CON POESIE

di Sebastiano Saglimbeni

“La grandezza di una poesia non dipende dall’importanza del tema, né dalle sue proporzioni o dai sentimenti. Si può fare un poema epico sulla lotta che sostengono i leucociti nell’intreccio imprigionato dalle vene, e si può dare un’indelebile impressione di infinito con la semplice forma e il profumo di una rosa”. Una proposizione, questa, in nome della poesia, a firma di Federico García Lorca. Il poeta andaluso, al quale venne stroncata la parola, perché alta e libera, da un potere di ritorno infame, si era espresso così nel 1927 durante una conferenza dal titolo L’immagine poetica di Don Luis de Gòngora.

Abbiamo voluto rievocare le parole di un grande poeta in seguito alle impressioni ricevute dalla lettura di una breve silloge di poesie composte dalla veronese Rosanna Finetto, che, genitrice, sa come si sconta l’esistere in un mondo ove gli umani continuano a vivere con le medesime passioni di grandezze e di miserie. Sei poesie dal titolo Donami la tua tristezza, dalle quali traspare certa valenza creativa e linguistica che prende i temi dell’eros, dell’affetto, del conforto e della natura. Un razionale, ricorso dell’autrice al verso, non per mero diletto, ma per un’ esigenza interiore di crescita e di conseguente elevazione in questo nostro tempo “tanto nevrotico e duro, moralistico e infelice”, come scriveva l’inqueto Pier Paolo Pasolini.
“Donami la tua tristezza, si sentirà meno sola la mia,/ asciuga le mie lacrime, io sorriderò alle tue,/ accompagnami sui ripidi sentieri della solitudine, vinceremo anche la tua/ e guardami. Che i nostri sguardi non vaghino più”. Il primo testo, questo, di quattro versi liberi, come quelli di tutta la silloge. La tristezza di lei e lui, se si coniugherà, asciugherà il pianto di lei. Ed insieme, la solitudine sarà vinta e l’esistere sarà più esistere.
Il secondo testo, “A Michele”, di cinque versi, dice, con una finezza di sintesi, di un riconoscimento all’uomo vessato da un’anima muliebre vessata durante gli “inverni della vita”. Si itera il motivo del testo di prima.
Il terzo testo “A Fabio, mio figlio”, di sei versi interrogativi, esprime l’attesa della genitrice, speranzosa di essere intesa dal figlio con un sì e potersi così liberare dallo “sconsolato tormento”.
Invero poesia quando l’immagine muliebre si rende capace di sorreggere la un uomo vigoroso e debole. Si apprende dal quarto testo “Al mio prof.”. L’autrice scrive in otto versi: “Se gli occhi stanchi non vedono che buio,/ tu guarda con i miei.//Se le tue membra esauste cedono alle fatiche,/ io le sorreggerò.// Se le tue afflitte mani non trovano più requie,/ abbandonale al mio/ grembo e non partire/ solo incontro alla notte”.
In “Risveglio”, il quinto testo, che sa dei frammenti quali quelli dei Lirici greci, una nota di eros, come nel testo precedente.
Infine, l’ultimo testo, da dove emerge il rapporto dell’autrice con la terra, insuperabile poesia, quando puramente fiorisce. Un testo, rispetto agli altri, più intenso, dove ricorre ancora il tema, detto con una metafora, del sangue, il figlio. Un’attesa ansiosa e l’affetto materno, sentimento insostituibile, generano tratti di poesia. Che sono nella brezza che reca “l’effluvio dei ciliegi in fiore” e nella primavera sognata. La madre guiderà per i campi battuti dal sole il figlio, ma pure, poiché tutto il tempo dell’esistere non è tutto sole, per le radure prese dalle nebbie autunnali.
Sì, l’amore materno, di cui un poeta del nostro Ottocento, Giuseppe Giusti, in una sua poesia, “Affetti d’una madre”, molto antologizzata un tempo, fa pronunciare alla genitrice dolcissime ed armoniose parole, che recitano, fra l’altro:
“Nessuno t’amerà dell’amor mio.
E tu nel tuo dolor mesto e pensoso
ricercherai la madre…”.



Lunedì 12 Ottobre,2015 Ore: 22:53
 
 
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