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www.ildialogo.org POETA DEL NORD E POETA DEL SUD,di Franco Casati

POETA DEL NORD E POETA DEL SUD

di Franco Casati

Nell'immagine: C. Segala, S. Saglimbeni, G. Piccoli, A. Bernardini
Nell'immagine: C. Segala, S. Saglimbeni, G. Piccoli, A. Bernardini
La presenza di Sebastiano Saglimbeni a Verona, a partire dagli anni ’70, poeta siciliano per così dire ‘emigrato’ e poi approdato nella città scaligera dopo una temporanea permanenza a Treviso, coalizzò attorno a sé l’attività di scrittori, poeti e artisti che aderirono alle sue proposte, collaborando alla casa editrice da lui fondata, col nome di “Edizioni del Paniere”, nonché alla rivista letteraria “Mondo Nuovissimo” che diede voce a scrittori e poeti contemporanei, veneti e non. Io stesso fui tra i primi collaboratori di questa rivista, da lui avviata, attratto dal bagaglio culturale di marca meridionale che questo poeta siciliano portava con sé, i cui vertici potevano essere rappresentati da Elio Vittorini, da Salvatore Quasimodo e da Leonardo Sciascia, oltre che, naturalmente, dalla produzione poetica, narrativa e critica dello stesso Saglimbeni. In quegli anni egli iniziò anche la sua collaborazione con la “Gazzetta di Mantova”, mentre io approdavo alla pagina letteraria de “L’Arena” di Verona.
In questa orbita culturale venne attratto anche il giovane Giuseppe Piccoli, un poeta veronese che si andava affermando per l’originalità e la qualità della poesia. Di lì a pochi anni egli sarebbe diventato una delle voci più autentiche della poesia italiana del secondo Novecento e una delle figure più tragiche della nostra letteratura per l’atroce destino personale a cui andò incontro. Morì, suicida, nel manicomio criminale di Aversa nel 1987.
Durante questo ventennio 70/80, Saglimbeni poté usufruire della collaborazione letteraria del Piccoli, non perdendo l’occasione di soccorrerlo anche materialmente in momenti di difficoltà personale. Anch’io mi legai di forte amicizia con Giuseppe, e ne tracciai la figura nel romanzo “Pomeriggio”, edito da Morelli nel 1983.
Il mio sodalizio letterario con Sebastiano Saglimbeni dura a tutt’oggi, e proprio in questi giorni egli mi ha fatto partecipe di una felice e fortunata scoperta. Si tratta di questo: che sistemando vecchie carte, datati dattiloscritti, egli ha rinvenuto il testo manoscritto di un poemetto che il Piccoli gli dedicò nel 1977, intitolato “Per una musa vivente. A Sebastiano Saglimbeni”. Con molta gioia egli mi ha comunicato questa scoperta, commosso dal risorgere di quella giovanile voce di poeta che, a suo modo, con metafore ardite, fantastica immaginazione e tenero sentimento, ricrea i sensi della loro amicizia.
Ho il piacere di offrire questo testo al lettore, su richiesta di Sebastiano, sottolineandone alcuni punti che ritengo particolarmente significativi.
Dopo un incipit che rivela una visione sofferta del mondo, frequente in Piccoli, il poeta si rivolge direttamente all’amico Saglimbeni: “Tu salito dal sud/ a queste mammelle,/ tu porti i fiori diversi/ la frutta generosa nei colori,/ le profonde acque/ che ancora ti bagnano gli occhi”.
Una visione, se vogliamo, un po’ stereotipa dell’uomo venuto dal Sud, ma che tradisce la curiosità per un mondo diverso e foriero di nuovi doni. Che poi continua:
“Ma sempre hai un sogno/ per scrutare la donna/ e rechi tra i capelli arruffati/ la memoria generosa/ della tua terra di parte”. Per poi proseguire: “E tu getti un gesto caro/ ti rimiri in tua figlia/ con baci di lontano”.
Pennellate sul poeta siciliano per poi richiamare la sua condizione di emigrato, di sradicato dalla propria terra: “Ma tu, profugo/ di ogni casa, di ogni amore,/ se vinci il tempo/ pur da quello sei vinto”. Fino a trovare quel qualcosa, al di fuori del contingente, che li unisce:”… “da sempre, tu ed io,/ ci nutriamo di stelle”. Per attribuire, poi, all’amico Sebastiano, in una visione esistenziale sempre problematica, quella funzione mitopoietica che eternizza e sublima l’uomo attraverso la catarsi operata dalla poesia: “Nella bufera di carta/ da tempo è stato arso/ il nome di Ulisse:/ solo chi sale/ con mitezza di agnello/ la collina di porpora/ con luce umile luce/ tra fronde e vizi/ torna costantemente/ al primo mito”.
Qui mi fermerei, con questo commento, per non togliere al lettore il piacere della scoperta del testo, evidenziando soltanto come nella chiusa del poemetto il Piccoli associ ancora se stesso all’amico, in un ideale programma di vita: “…chiedi e fischietta anche tu,/ dopo aver chiuso il libro,/ come un forte ragazzo/ che conosce le dipinte vocali/ sorto precocemente/ e rimasto eterno”.
Anch’io, come Sebastiano, ho provato una forte emozione nel leggere questi versi, che mi hanno riportato con la memoria alla presenza di un giovane poeta, che mi è stato amico per tanti anni, in un periodo di dimensione quasi utopica della nostra vita.
PER UNA MUSA VIVENTE
A Sebastiano Saglimbeni
E la terra che ruota
mostri i segni indifesi.
Perché così immota?
Il breve occhio inganna
e la bocca che canta è prigioniera.
Tu salito dal sud
a queste mammelle,
tu porti i fiori diversi
la frutta generosa nei colori,
le profonde acque
che ancora ti bagnano gli occhi.
Tutto dunque
è curioso amore,
giace con quelli
che ci sono simili;
simpatia per chi cede.
Ah fatica di vivere!
E raccogli ogni prezzo
ogni salvezza
tu sempre giovane
tra quanti abitano
le vecchie vagabonde
piazze di pietra.
Ma sempre hai un sogno
per scrutare la donna
e rechi tra i capelli arruffati
la memoria generosa
della tua terra di parte.
E vivi siamo presi
nei giorni grevi,
nella colpa di essere,
nella fortuna di vivere.
Ecco la primavera ci feconda,
stranieri o amici,
mondo e anima
e tu getti un gesto caro
ti rimiri in tua figlia
con baci di lontano.
O uomini perduti
dietro una moneta,
il tesoro è più oscuro.
O egoisti che salate la terra
con il sale del mare,
neppure per i vostri figli.
Ma tu, profugo
di ogni casa, di ogni amore,
se vinci il tempo
pur da quello sei vinto.
Tra verzura e sassi
è la coscienza;
e, l’amore, che passi
se non è amore
che conduca allo spazio
dove l’antico volo ci osanna.
Il volo che affanna
il cuore del vile.
Vedi allora l’uomo e lo fissi:
da sempre, tu ed io,
ci nutriamo di stelle.
Troppa è l’ignavia
umanità sepolta
che ancora ride e sorride
e va per nulla.
senza una parola.
Nella bufera di carta
da tempo è stato arso
il nome di Ulisse:
solo chi sale
con mitezza di agnello
la collina di porpora
con luce umile luce
tra fronde e visi
torna costantemente
al primo mito.
E tu, tu che fecondi
con passo di inquieto
la città e la stanza,
le nuvole e le foglie,
tu che accogli
se l’ospite chiede,
tu hai cucito un nido d’ombra;
e primavera non s’attarda più.
Cancella ogni falso residuo
e dovunque come ragazzo
zufola per la fontana.
Pròvati con lei,
la più dolce delle ragazze,
che bacia sul cuore
senza più maschera;
chiedi e fischietta anche tu,
dopo aver chiuso il libro,
come un forte ragazzo
che conosce le dipinte vocali
sorto precocemente
e rimasto eterno.
(Giuseppe Piccoli)



Domenica 04 Gennaio,2015 Ore: 11:10
 
 
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