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www.ildialogo.org ROSE DI POESIA,di Sebastiano Saglimbeni

ROSE DI POESIA

di Sebastiano Saglimbeni

Sono venuta a morire
ogni volta,
nella mia terra avara.
Rosa Maria Ancona, nata in Sicilia, a Castellammare del Golfo, nel 1973 si proponeva ai lettori con una silloge di versi dal titolo Il filo di Arianna, una scrittura ispirata, quasi di risposta e di orgoglio alla sua gente sonnolenta, oscura e tragica.
Da questo incipit, altre sillogi poetiche e testi di varia cultura, contenenti segnali di fervore creativo, affatto personalizzato ed eplosivo di autobiografismo, non appannato di lirismo scontato. E qui vale ricordare Dal diario di un amore senza aggettivo, un piccolo caso letterario editato nel 1979 da Niccolò Giannotta, allora con sede a Catania e a Verona. Un titolo, questo, fra l’altro, discusso al Premio Viareggio, se pure può contare questo dato. Segue la silloge Farfalla (Verona, 2006). Che si distingue come un percorso poetico intenso e, come tale, compiuto, che sa di mito e di certa religiosità orientalista intesa intus et in cute. In questa silloge, di tre sezioni, in diversi tempi maturate, riecco l’autrice e il suo quotidiano, come nei versi seguenti:
C’è lo scirocco nell’aria
ma è in tempesta
il mio cuore...
(...)
La tua nebbia, Erice,
scende sino a valle,
grigia come la noia....
L’autrice, che, in un altro testo, si identificava una “rosa selvatica, non ancora dischiusa/ coperta di rugiada, tutta rorida”, non sembra che appaia, sotto il profilo psicologico, diversa, rispetto a prima, ma forse elevata, grazie a questa sua parola scritta, se è pure vero che, in qualche modo, questa le giova come identità.
Ma è tanta la parola della poesia che oggi si continua a proporre, latente/patente. Ed è certo che pochi la leggono, ad iniziare dallo stesso poeta che si contempla spesso nella sua, trascurando quella degli altri.
Non vanno dimenticata di Rosa Maria Ancona la plaquette di poesie Parlare di sé, (Verona, 1981), che riletta oggi, dopo un trentennio, ci rimane non superata in quella essenzialità linguistica e contenutistica riposta in quei versi che ci richiamano quelli di alcuni Lirici greci. In Parlare di sé, la terra avara, l’Isolamondo, la Sicilia, presa di mira, le faceva scrivere, fra l’altro:
(...)
e consumo parole
nel cielo di cobalto
il dono di un sogno....
un treno parte
vuoto
sopra binari sporchi.
Recentissimamente, l’insonne seminatrice di sillabe, Rosa Maria Ancona, si ripropone con due opere. Una è silloge di versi liberi lasciata al tempo. Ma - va subito detto - certe cose dimenticate, ritrovate, possono offrirci inaspettatamente il gradevolissimo sapore del tempo passato, per nulla sdegnato. Il titolo Appunti per un libro di versi, che è un omaggio al poeta popolare Ignazio Buttitta, non molto tempo fa, quando rifiorivano le idee del grande Antonio Gramsci e di altri grandi uomini della vera sinistra italiana, un poeta, meritatamente, in auge. Per quel suo impegno civile, soprattutto.
L’altra opera s’intitola Ignazio Buttitta. Trattasi di un appassionato ritratto di uomo e di opera, con delle immagini rare, eloquenti.
Da entrambi i titoli emerge in vero la febbre della scrittura. Che , mentre invade, illude, eleva.
Da uno sguardo all’opera Appunti per un libro di versi, ancora l’io campeggiante di una donna che si immerge nello stesso cielo e nella stessa storia, quelli del suo luogo di nascita; cielo e storia che non mutano ma che generano la parola, la poesia all’autrice, rimasta nel suo luogo, perché “l’uomo deve fiorire là dove è nato”, secondo il Buttitta.
Mia terra sembri
uno sciame di lucciole che volano
fra Scilla e Cariddi
Volevo prendere appunti
e non avevo che un pacchetto di Kim
e la matita rossa delle labbra
E’ sera(Ho freddo) Nello scompartimento
si abbassano le luci
C’è il silenzio che viaggia nei vagoni
il controllore stanco che sonnecchia
dopo il suo viaggio a Vienna.
Con questo testo del 1978, nel quale, come negli altri, viene elusa l’interpunzione, l’incipit della silloge, editata, con certa finezza, da “ Thalía”.
La poesia qui di un tempo; qui l’autrice, che pure non ha sperduto la lingua dialettale, che è “come la mammella della madre a cui tutti hanno succhiato”(Pasolini), inserisce brevi versi, che sanno di suoni rari e di saggezza. Piccole aggiunte, un bilinguismo, ancora un omaggio a Buttitta, ma pure un recupero della lingua dei padri, analfabeti strumentali, ma che avevano nel cuore musiche melodiche. Un’operazione del genere era stata eseguita dall’autrice in una sua commedia, in quattro atti, dedicata ai mitici frateli Attilio ed Emilio (Verona, 1986).
In questa Appunti per un libro di versi vi sono testi lindi, originali, nuovi, che raramente si leggono nella tanta messe creativa di poeti e poetesse di oggi.
L’opera Ignazio Buttitta, una pubblicazione in proprio, in nome della memoria al poeta di Bagheria, amico fraterno di Renato Guttuso, di Leonardo Sciascia, di Giuseppe Tornatore, di Carlo Puleo, di Melo Freni e di altri uomini e donne di spicco dell’Isola e di altrove. Un tributo di benevolenza all’uomo singolare scomparso il 5 aprile 1997.
Queste due opere ora intensificano la fatica creativa dell’autrice, il cui vario racconto di un quarantennio si assorbe fresco ed esplosivo di certe tinte, quali quelle delle rose nella primavera del mitico golfo di Trapani.



Martedì 13 Maggio,2014 Ore: 17:29
 
 
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