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www.ildialogo.org FEDERICO GARCíA LORCA*,di Sebastiano Saglimbeni

FEDERICO GARCíA LORCA*

L’infanzia, l’innocenza, l’eros e la morte


di Sebastiano Saglimbeni

Qui voglio vedere gli uomini di voce dura…

Qui voglio vederli. Davanti alla pietra…

Voglio che mi mostrino l’uscita

per questo capitano legato dalla morte.

“Fu visto, camminando tra fucili, in una lunga strada,/ uscire ai freddi campi,/ ancora con le stelle del mattino. / Uccisero Federico / quando la luce spuntava. / Il plotone dei carnefici / non osò guardargli la faccia. / Tutti chiusero gli occhi; mormorarono: / neppure Dio ti salva. Cadde morto Federico/ - sangue alla fronte e piombo nelle viscere - . / Sappiate che fu a Granada il delitto - / Povera Granada! -, nella sua Granada…”. Un tratto, questo, di un testo poetico che Antonio Machado scrisse per la morte di Federico García Lorca: qui fortemente intese la denuncia e la costernazione per la fine ignominiosa toccata al giovane poeta andaluso, tanto puro, quanto grande.

Con questo incipit ho voluto indicare l’epilogo di una vicenda umana, tutta culturale, creativa. Che ricordo non mosso da quell’eccessività di genere entusiastico per il poeta, ma come lettore e, in qualche modo, interprete della sua scrittura, assai estesa, che continua a coinvolgere per il linguaggio e le immagini, capaci di generare scelte presso le fresche generazioni. Ora nel discorso che segue mi propongo di trattare agilmente l’esistenza, l’ambiente, l’opera, la fine biologica di Federico García Lorca.

Nella pianura di Granada, a Fuente Vaqueros, dove nasce il 5 giugno dell’anno 1898, subisce le prime impressioni della singolare vegetazione, dei cieli statici, degli animali e dei contadini poco abbienti, ma fertili dentro di canti, da loro stessi composti, e trasmessi dalla tradizione popolare, elementi culturali, questi, che contribuiranno a comporre il memoriale dell’uomo e la conseguente elaborazione di questo che si farà poesia. Assai abbondante e recata nell’opera teatrale, la cui vocazione - stando ai biografici del poeta - risale al periodo della fanciullezza, quando egli inventava per i suoi fratelli le recite dei burattini, sentite per la prima volta nella piazza di Fuente Vaqueros dove era arrivata una compagnia ambulante di teatranti. Non proficui i suoi studi universitari, dopo quelli regolari, svolti con piena passione; abbandona la Facoltà di lettere per seguire quella di giurisprudenza ma pure con questa non si completa in quanto le “pandette” non gli vanno proprio a genio. In lui insorge la forza del canto e della musica e, pertanto, come natura generosa ed esuberante, non poteva, non sapeva accettare un’esistenza professionale obbligata, fredda, non creativa, insomma. Musica e poesia fanno di lui - come scriverà Pablo Neruda - una “persona magica y dorada”. La madre e la zia Isabel sono sue maestre di musica, una passione che Lorca educherà parallelamente alla poesia che va scrivendo con certa pregnanza della cultura primitiva del suo ambiente.

La chitarra, che gli ispirerà il canto esiguo, incisivo, testamentale, “Quando morirò / seppellitemi / con la mia chitarra”, e il pianoforte, ai quali lo avvia don Antonio Gema, sono gli strumenti sui quali accorda la sua poesia, sono l’altra poesia insieme. E tanto tempo incomincia a dedicare a questa, da quando, in seguito ad una escursione archeologica in Andalusia, conosce Antonio Machado. Siamo nel 1916, mentre imperversa la prima guerra mondiale. Di qui ad un anno, altri incontri ed estensione dei suoi progetti per la musica e per la poesia. Contribuisce a ciò l’amicizia che nasce con Manuel de Falla e con Fernando de Los Rios: l’uno indica al neo poeta la relazione di “parentela” tra la musica e la poesia, l’altro, orientato alla vita politica, entusiasma il giovane ventenne con le idee “liberal socialiste”. Siamo in un periodo in cui la Spagna attraversa una temperie storia, politica e sociale, molto tragica ed ignominiosa.

Risale al 1917 la prima pubblicazione di Lorca ospitata sul “Boletín del Centro Artístico y Literario de Granada”. Trattasi di un discorso commemorativo per il centenario di Zorilla dal titolo Fantasia simbolica con il quale Lorca ferma, non solo una sua costruzione variegata, ma anche una certa tendenza che sarà anima della sua futura poesia simbolica. Seguono Impresiones y paisajes, del 1918. Le società del mondo, chi più chi meno, sono uscite da una guerra devastante con infinità di morti, ferite e flagelli morali. Il ventenne Lorca ne sente profondamente l’inquietudine ed esce dalla sua Fuente Vaqueros; viaggia ed opera con i suoi occhi di pittore e poeta, per cui nascono le Impresiones. Dopo un soggiorno a Madrid nel 1919 intensifica i suoi interessi culturali, grazie all’incontro con Rafael Alberti, Jorge Guillén, Pedro Salinas, Gerardo Diego e Salvador Dalí. Ne viene fuori tutto un susseguirsi di scritture poetiche e teatrali che segnano, soprattutto, con le opere Romancero gitano del 1924 e con Mariana Pineda del 1925, l’atto storico di un grande poeta drammaturgo. Il Romancero ottiene più edizioni con rimaneggiamenti a molti testi, mentre Mariana Pineda, l’opera teatrale, completata dopo più stesure, viene accolta da un pubblico giovane che la predilige sin dalla prima rappresentazione del 1917, l’anno in cui Lorca conosce Ignacio Sánchez Mejías, il suo futuro protagonista nel testo tanto scelto e recitato da attori di vaglia(come Arnoldo Foà) “Llanto por Ignacio Sánchez Mejías”, traboccante di immagini, arcaismi, iterazioni, ma che continua a trovare, comunque, larghe ricezioni di lettori di varia estrazione culturale. Ora va detto che c’è una data importante che segna l’esistenza del poeta trentenne; è la data che va dal 1929 al 1930, periodo in cui Lorca si fa ospitare dalla Columbia University dove conosce Felipe Leòn che gli indica l’aspetto più vivido della cultura newyorchese: il jazz, lo rinnova nei gusti e lo fa un po’ uscire da quel mondo vetusto e mitico che si portava dentro di sé dalla sua Andalusia. E, pertanto, proprio da questa esperienza, in lui viene a svilupparsi certo orientamento verso i contenuti e gli stili del surrealismo. Cuba, che non tralascia di visitare e di scoprire, gli offre i suoni del folklore isolano che egli confronta, unisce a quello affine alla sua terra. Ѐ quella stagione newyorchese che lo fa tanto riflettere su una categoria di uomini offesi dalla forza industriale dilagante; la tomba di Walt Whitman, il grande poeta statunitense degli emarginati, il poeta della libertà, del verso libero e dell’amore libero, il poeta omosessuale, gli ispira la silloge poetica Poeta en Nueva York. In un testo di questa canta lo stesso Whitman nel turbine delle sue passioni, in un altro, ”Officina y denuncia”(Ufficio e denuncia), lancia il suo grido di disprezzo contro la vita americana dai contrasti stridenti, dalla civiltà avanzata, ricettacolo di afflusso di povertà assoluta, di solitudine e di sofferenza esasperata. Come si legge in questo testo riportato riduttivo: “Io denuncio tutta la gente/che ignora l’altra metà, / la metà irrimediabile / che alza i suoi monti di cemento /dove battono i cuori /dei piccoli animali dimenticati / e dove cadremo tutti / nell’ultima festa delle buche. /Vi sputo in faccia”. Il ritorno in Spagna, dopo aver sostato in Argentina (a Buenos Aires v’era la sede del suo editore Losada), in Uruguay e in Brasile per dibattiti e conferenze, si intensifica con un credo altissimo, che è poetico, sociale e politico; si tratta del pensiero che emerge dall’intervista concessa al giornalista Alardo Prats il 15 dicembre del 1934. In un tratto di questa, Lorca risponde: “A questo mondo io sono e sarò sempre dalla parte di coloro che non hanno nulla e ai quali si nega la tranquillità del nulla”. Intanto sta per concludersi l’esistenza del poeta; mentre egli scrive e rappresenta La casa di Bernarda Alba e, in seguito, Doña Rosita, la morte sta covando le uova dentro il suo cuore rimasto puro, tutto musicale e poetico. Siamo nell’anno 1935. La sua situazione è tragica; il poeta è già entrato nel ciclone della violenza di stato che lotta con tutti i mezzi l’avanzata ottenuta dal fronte popolare con le elezioni. Lorca, attento a questi accadimenti, da Madrid si porta a Granada, dove crede di poter sfuggire alla persecuzione tendente ora a colpire gli uomini liberi, scomodi. Il poeta, scomodo, infastidiva, non tanto per il suo pensiero, quanto per il suo atteggiamento anarchico nei costumi. Il bombardamento a tappeto dei tedeschi, entrato nella famosa opera “Guernica” di Picasso, toglie ogni speranza ai repubblicani, durante la lotta civile scoppiata il 17 luglio del 1936, di resistere ancora. Per Lorca è la fine e non serve l’essersi rifugiato presso gli amici falangisti Rosales, perché viene ugualmente scovato il 9 agosto e fucilato il 19, secondo più testimonianze, a Viznar. Il saggista Ian Gibson, autore del testo La Morte di F. García Lorca e la repressione nazionalista di Granata del 1936, edito da Feltrinelli, avanzando interessantissime ipotesi sulla morte del poeta, sul modo barbaro e sul luogo, è d’avviso che sarebbe stato ucciso a Granada e che “insieme con molti suoi amici e migliaia di più umili cittadini dell’amatissima Granada, cadde vittima dell’odio della chiesa cattolica e di quella ch’egli stesso aveva definito ‘la peggiore borghesia di Spagna’. Federico García Lorca venne assassinato da una mentalità”. Sono pure io di questo avviso, mentre ricordo il poeta con questo scritto, estratto e rielaborato da un mio saggio sul poeta. Dell’altro in questa parte? Non vanno dimenticati i nomi di Carlo Bo e di Claudio Rendina, grandi traduttori di Lorca. Carlo Bo inizia a scoprire Lorca traducendo una scelta poetica edita da Ugo Guanda, riedita dallo stesso completa nel 1979, in due splendidi volumi. Claudio Rendina, per l’editrice romana Newton Compton, ci ha offerto la sua versione, magistrale, pertanto, parecchio scelta da lettori. I testi citati nel corpo della scrittura che segue sono quelli della traduzione di Carlo Bo.

Le tematiche più intense di poesia tra tanta produzione lorchiana riguardano il mondo dell’infanzia o dell’innocenza, l’eros e la morte, pertanto, inizio esistenziale, godimento esistenziale e tragicità di una fine biologica. Di qui l’attualità della scrittura lorchiana, che è il tema che più interessa, in un’epoca durante la quale sembra che tutto deperisca, al contrario, con la passione poetica, tutto ri/vive se l’uomo dalla mente illuminata propugna il divenire, il non regresso.

Il tema dell’infanzia si sviluppa in Lorca dopo aver organizzato con l’amico de Falla la Fiesta de los niños percorrendo di molti anni un codice d’amore e di protezione per l’infanzia o l’innocenza con la sua puntuale sensibilità di poeta. Bambini sono annotati, infatti, mentre ignari della bella e brutta sorte, vanno lungo la strada allegri all’uscita della scuola:

Escono allegri i bambini

dalla scuola

lanciano nell’aria tiepida

d’aprile tenere canzoni.

Quanta allegria nel profondo

silenzio della stradina!

Un silenzio fatto a pezzi

da risa d’argento nuovo.

Qui un quadretto colto dentro un’atmosfera stagionale aprilina . V’è in quell’ “argento nuovo”, il segno simbolico del candore che contengono appunto i bambini. L’innocenza continua a trovare trattazione nel testo “Congedo” della silloge Canciones. Muta la stagione, ch’è autunnale ed estiva. C’è qui un solo bambino, nel quale vorrebbe rispecchiarsi il poeta, mentre muore:

Se muoio,

lasciate il mio balcone aperto.

Il bambino magia arance.

(Dal mio balcone lo vedo).

Il mietitore taglia il grano.

(Dal mio balcone lo sento).

Se muoio,

lasciate il mio balcone aperto.

Questo è un testo (e qui l’arte o l’artificio) dalle parentetiche che seducono la memoria giovane e adulta. Ancora l’infanzia. Questa volta inserita di comparsa nel famosissimo testo “Llanto por Ignacio Sánches Mejías”. Al bambino qui viene affidato un grande compito consistente nel recare un lenzuolo bianco con il quale si dovrà coprire il corpo ferito a morte del lottatore Mejías, amico di Lorca:

Un bambino portò il lenzuolo bianco

alle cinque della sera…

Ma proprio un bambino scelto per portare un lenzuolo bianco con il quale avvolgere il corpo del torero Ignacio? Lorca vuole questa presenza come simbolo del candore da accostare a Ignacio, l’ “andaluso così puro”. La silloge Cantares populares completa il tema sui bambini. I quali qui sono diversi, sono quelli che troviamo nella cultura della tradizione popolare, soprattutto, quella mediterranea. Lorca intese molto questa cultura, dove si sente il puro senso religioso.

Questo bambino

non ha culla:

suo padre che è un falegname

gliene farà una…

Dormi bambino,

tua madre non è in casa:

se l’è portata via la Madonna

per compagnia.

Non possono dimenticarsi i precedenti della nostra cultura letteraria che sviluppa tanta tematica dell’innocenza; così mi pare di ricordare il nostro Giovanni Pascoli al quale Lorca, per certi aspetti, è idealmente vicino. Lorca aveva una capacità d’amore e di sofferenza, amò molto, qualità che alcune considerazioni superficiali non gli vollero riconoscere; e soffrì “per amore, ciò che nessuno probabilmente seppe”, ci ricorda, fra l’altro, Vicente Aleixandre in un suo lavoro del1958 dal titolo Los encuentros” .

In una silloge poetica, costruita nel 1929 in seguito al viaggio di Lorca negli Stati Uniti d’America, trova altra continuità l’attenzione per i bambini. Che, questa volta, il poeta sceglie tra i negri. L’ambiente varia, è industriale, già lordo di civiltà, come scrive, con estesa scrittura, nell’ “Oda a Walt Whitman”. Lorca si porta dinanzi alla tomba di Whitman ed osserva. E poi canta:

Voglio che il vento forte della notte più fonda

porti via fiori e lettere dell’arco dove dormi

e un bambino negro annunci ai bianchi dell’oro

l’avvento del regno della spiga.

Al bambino negro la prerogativa di annunciare un mondo veramente mondo, nell’accezione di pulito: di lavoro e pane per tutti, temi assai, da sempre, dibattuti e che ora con certa spudoratezza masticano certi potenti collocati saldamente sul soglio di un governo bugiardo.

I temi dell’eros nascono dalla scelta di un esistere nuovo e libero, fuori dai codici morbosi sociali. Così, Lorca canta l’aspetto dell’esistere sensuale come liberazione del corpo e dell’animo oppressi. E si senta qualche testo, come “La bella e il vento”, “Lucia Martinez” e “La sposa infedele”:

Ragazza lascia che alzi

il tuo vestito per vederti.

Apri alle mie dita vecchie

la rosa azzurra del tuo ventre.

Qui l’invito alla ragazza ad aprirsi alla copula è d’ obbligo, da gitano, più che da galante. Mentre in “Lucia Martinez”, probabilmente una donna famosa tra la società colta o tra la cerchia degli amici, v’è espressa una bramosia sensuale, che va oltre la relazione carnale, sfociando in una forma sadica. E si senta:

Eccomi qui, Lucia Martinez.

Vengo a consumare la tua bocca

e a trascinarti per i capelli.

In “La sposa infedele”, l’eros s’intensifica nell’accostamento della donna-sposa ad una puledra calda che non si stanca di ricevere il maschio; l’eros assume caratteri tra l’animalesco e l’umano, come concezione gitana:

Le tue cosce mi sfuggivano

come pesci sorpresi,

metà piene di brace,

metà piene di freddo.

Corsi quella notte

il miglior dei cammini

sopra una puledra di madreperla

senza briglie e senza staffe.

La trattazione di un eros più scoperto e meno esplicativo è nell’ “Oda a Walt Whitman”; qui si riscontrano connotazioni di omosessualità teorizzata; il poeta statunitense entra nella scrittura dello spagnolo Lorca come un amante dei corpi sotto la rozza tela. Antonio Melis, nel saggio dedicato a Lorca, edito dalla Nuova Italia nel 1976, scrive che il “poeta nordamericano viene idealizzato come rappresentante di un erotismo non avvilito dalla mercificazione”. Tra orfismo si svolge altra parte dell’eros nella “Gazzella dell’amore” della silloge Divan del Tamarit. Siamo culturalmente in piena esplosione della stagione surrealistica: Dalí, Mirò ed altri hanno capovolto le tesi della loro arte iniziale, recando nelle loro pagine l’esoterismo, un certo sapore sensistico espresso con il simbolo che spesso interpreta forme falliche. Lorca si orienta dentro questa concezione e sente di esprimere le sensazioni delle notti bianche e trascorse, un sonno, un po’ nel sogno: la donna, il sesso, scorpioni, l’attesa tormentosa di uscire dalle tenebre della notte, portano “il suo garofano morsicato ai rospi”. Così nei versi:

Il giorno non vuole venire

perché tu non venga

e io non possa andare.

Ma andrò

portando il mio garofano morsicato.

Ma tu verrai

nelle cupe cloache dell’oscurità.

Né la notte né il giorno vogliono venire

perché io muoia per te

e tu per me.

“Granada” della silloge Otros poemas suetos è un lungo testo che tratta in chiave romantica l’eros il cui senso è nelle “pasiones gigantescas de amor”: un’evocazione di stagioni lontane, della città di Granada, teatro di vicende e di ozi e di orge. L’eros della storia più non trionfa in Granada:

Tu, città del sogno e della luna piena,

che albergasti gigantesche passioni d’amore,

oggi, morta, riposi su rosse colline

tenendo tra le edere annose delle tue rovine

l’accento dolente del dolce usignolo.

Il tema della morte ricorre ancora più costante: rivolta agli animaletti, alle cose e al poeta stesso, quando la prevede, assume una significazione che sa di una filosofia o sopportazione senechiana. La morte rivolta alle cose, nella “Ballata della piccola piazza”, si rivela nelle foglie, descritte, nel dialogo immaginario fatto dai bambini con il poeta:

Le pupille enormi

delle fronde secche

ferite dal vento

piangono le foglie morte.

Anche per la terra arriva la morte e si legge nel testo “Poema della solea”, dove, questa, è avara e vecchia e non mette occhi di vegetazione, come:

Terra

della morte senz’occhi

e delle frecce…

Il tema acquista trattazione più propria, ampia ed una sorta di uscita gnomica consistente nella caducità di molte cose create con la sopportazione e il sangue dei più deboli; ed anche su Ignazio cade l’inesorabilità dell’oblio, perché, famoso campione, è pure “morto per sempre /come tutti i morti della terra /che si scordano in un mucchio di cani spenti”. La morte cammina per torri ed è cenere sui graniti della città di Granada e, avendo, la morte, raso al suolo le mura, l’opera dell’uomo, una parte della sua storia, è ora nel tempo. Il poeta vuole che tra le rovine si addormenti il suo canto che sente simile a quello di un uccello “ferito da un cacciatore astrale”. Nei Cantares populares, la morte assume sembianze sacre, è la madonna che ha portato via la madre del bambino, per compagnia, come prima è stato fatto cenno. Ed ancora: la morte per Ignazio si trasferisce nella collettività che è “sotto l’orologio della città” nel testo “Oda a Walt Whitman”; è la stessa morte fisica, ma non ha la stessa cagione: Ignazio subisce il rimando della sua violenza alla bestia da circo, la quale, difendendosi, uccide come uomo-bestia e lecca il sangue del suo violentatore. E leggiamo nei versi il gesto della bestia:

La vacca del vecchio mondo

passava la sua triste lingua sopra un muso di sangue

sparso sopra l’arena.

“I morti che si decompongono sotto l’orologio della città” sono le vittime della fredda e disumana fretta nella sempre più insediata e plurietnica New York di fango,/ New York di fili di ferro e morte, dove “l’uomo, se vuole, può portare il suo desiderio/ per una vena di coralli e di nudo celeste”.

*Un estratto del libro Federico García Lorca, stampato da Editorial Melvin di Caracas, la cui anima è il liminese Eligio Restifo. Le immagini sono un caratteristico ritratto del poeta e due disegni di E. Treccani.


 



Domenica 30 Giugno,2013 Ore: 06:58
 
 
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