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www.ildialogo.org MASOLI LUCENNIO A DUELLO CON LA POVERTA’ E LA CARITA’ DEL RICCO AVARO.,

Poesia
MASOLI LUCENNIO A DUELLO CON LA POVERTA’ E LA CARITA’ DEL RICCO AVARO.

Siamo nel Polesine in quel di Fiesso Umbertiano, paese di oltre 5000 abitanti negli anni che corrono dai ’30 al 60, anno in cui il poeta muore nel giorno di Pasqua.

Il libro “Passioni poetiche” di Lucennio Masoli è uno spaccato di quella vita di paese, dove amore e odio, benevolenza e pettegolezzo si intrecciano nello scorrere della vita.

Nella poesia ‘amica povertà’, questa viene ironicamente vista come una di famiglia, sia pur mal sopportata. L’aggancio con La carità di un ricco avaro’ la rende tragica. La prima ci accoglie nella casa dello scrittore con la moglie e gli otto figli. L’altra ci porta in paese, dove vive il parente ricco proprietario terriero, l’avaro. La finta comprensione e l’avarizia larvata da una dissacrante ‘divina provvidenza’, sono usate dai ‘buoni cristiani’ per nascondere un cuore di pietra, cieco e senza le palpitazioni evangeliche.

 

----------AMICA POVERTA’------------

Povertà, fedel compagna,

non mi lascia un sol istante

e l’ho sempre alle calcagna:

il suo amor è ben costante.

 

Alle volte un po’ adirato,

io la mando a quel paese,

tosto lei mi dice: “Ingrato,

perché meco sei scortese?

 

Che ti fan le ristrettezze

E gli affanni quotidiani,

se tu hai le mie carezze

che ti dono a piene mani?

 

Il mio amor per te è sì forte

Che giammai si spegnerà;

sarò tua fino alla morte,

te lo dico in verità.

 

Se ben poco hai da mangiare

Ed è scarso il tuo vestir,

non ti devi poi lagnare,

ma la sorte tua subir.”

 

Più la fuggo, più la sento

Che l’ho sempre a me vicina:

quale strazio, che tormento,

a me dà quest’assassina.

 

Se l’insulto non s’offende

Se la scaccio non si muove,

aggredisce, mai s’arrende:

che piacer s’andasse altrove!

 

Il destino assai maligno,

me la mise fianco a fianco

e l’orribile suo ghigno,

di beffarmi non è stanco.

 

 

---------- LA CARITA’ DI UN RICCO AVARO----------

 

Deh! Guardate, mio signore,

questi poveri miei figli,

che di fame ognuno muore;

eran belli come gigli.

 

Or son tutti macilenti,

per il troppo digiunar;

han sol l’ombra dei viventi:

oh! mio Dio che debbo far?

 

Già da giorni il pan lor manca;

a me sembra d’impazzir,

ma sventura mai si stanca

di vederli, ahimè, languir.’

 

‘Voi mi fate compassione’,

dice il ricco che ha coscienza,

‘ma di grano e di granone

Son rimasto proprio senza.

 

 

Di fagioli, in verità,

ne ho ben pochi, quasi niente,

che la troppa siccità,

non lasciò che la semente.

 

E nemmeno di patate,

pur volendo posso darvi,

il gran freddo le ha agghiacciate;

non saprei di che sfamarvi.

 

O mio caro buon Giovanni,

tu mi spezzi mi spezzi proprio il core,

nel saperti negli affanni,

ma confida nel Signore.

 

La Divina Provvidenza,

il tapin non abbandona,

abbi dunque tu pazienza

che verrà la volta buona’.

 

Ascoltate, mio signore:

sin che aspetto il pan del Cielo,

non potreste per favore,

darmi invece un po’ di quello?

 

Che, a voi tirchio, troppo avanza,

ma che essendo, ahimè, spietato

vi godete l’abbondanza,

nulla dando al disgraziato.

 

E la legna da bruciare,

nel rigore dell’inverno,

or pur quella dee arrivare

dai magazzin del Padre Eterno?

 

E le vesti, signor bello,

per coprire ogni bambino,

sono gli angeli del cielo,

a spedirle, o san Quintino?

Quando vien tal mercanzia,

un piacer io vo’ soltanto;

tutto inviate a casa mia.

L’indirizzo? Il camposanto!’

 



Lunedě 30 Aprile,2012 Ore: 19:36
 
 
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