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www.ildialogo.org GLI OCCHI CHIUSI E I PANNI IMMONDI,di don Aldo Antonelli

GLI OCCHI CHIUSI E I PANNI IMMONDI

di don Aldo Antonelli

Nel brano del Vangelo di questa prima domenica di avvento è insistente il richiamo alla vigilanza.
“Vegliate”! Il verbo viene ripetuto per ben tre volte.
Il termine greco significa in particolare “stare svegli”, mettendo insieme l’allerta e la vigilanza. Come per dire che ai seguaci del vangelo non è permesso dormire, e nemmeno distrarsi. A noi cristiani si richiede, dal nostro statuto di credenti, di essere sentinelle intrepide che vegliano e scrutano l’orizzonte invece che adagiarsi nel ruolo difensivo del custode pavido e geloso. Così come si evince dalla parabola dei talenti dell’altra domenica.
E’ sintomatico anche che questo richiamo alla vigilanza sia stato posto all’inizio dell’anno liturgico, oggi, prima domenica di Avvento. Come per ricordarci che se noi veniamo in chiesa ogni domenica non è per chiudere gli occhi, ma per graffiare le nostre coscienze, per stimolarci a vicenda nel perscrutare l’orizzonte della nostra quotidianità. L’immagine del fedele che entra in chiesa e congiunge le mani e china la testa e chiude gli occhi è quanto mai deleteria.
Noi si va in chiesa per continuare a stare svegli; anche quando altri ci vorrebbero assopiti e sottomessi.
Questa la prima riflessione.
Una seconda riflessione mi viene suggerita dalle parole del profeta Isaia.
Nel capitolo 64 al versetto 4 leggiamo “Tu (Signore) vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia”, e subito, nel versetto seguente, si legge: “come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia”, quasi a contraddire le parole precedenti.
Anche qui è necessaria la vigilanza.
Anche quando si fa opera di giustizia e di carità, anzi, soprattutto allora, è necessaria la vigilanza.
Di certo, quando misuriamo la giustizia sulle pretese delle nostre esigenze del momento, chiudendo gli occhi sulle possibili, future e lontane ripercussioni, allora sì: la nostra giustizia diventa un panno immondo.
Quando privilegiamo il nostro superfluo sulle esigenze vitali degli altri; allora sì che le nostre rivendicazioni di giustizia diventano panni immondi.
Troppo spesso, in questi ultimi tempi, ci è capitato di piangere e recriminare fatti conseguenziali a scelte cui negli anni passati abbiamo applaudito.
Negli anni del dopoguerra, quando a Genova si edificava su costoni scoscesi e si cementificavano e addirittura si incanalavano sotterra i torrenti, si osannava allo sviluppo e alla crescita della città. Oggi ci tocca piangere ad ogni rumor di pioggia.
A Monferrato, per fare esempi attuali, quando negli anni 60 (penso) si moltiplicavano gli stabilimenti di produzione di amianto e si importava manodopera dal Sud, il sorriso di compiacenza accompagnava quello sviluppo che poi avrebbe mietuto vittime a più non posso.
A noi non è mai permesso di ubriacarci nell’euforia del momento, perché dobbiamo saper guardare lontano.
A noi non è permesso attaccarci, in una visione miope e narcisista, alle nostre personali, a volte superflue, esigenze, dimenticando le più essenziali necessità degli “altri”.
Coscienti anche, come scrive la teologa Lilia Sebastiani, che “Gesù non è la risposta alle nostre attese, ma la sovversione delle nostre domande”.
Aldo Antonelli
Antrosano, 30 Novembre 2014



Lunedì 01 Dicembre,2014 Ore: 16:30
 
 
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