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www.ildialogo.org I VIVI NON MUOIONO, I MORTI NON RISORGONO,di GRUPPO SHALOM

Riflessione biblica
I VIVI NON MUOIONO, I MORTI NON RISORGONO

di GRUPPO SHALOM

GRUPPO SHALOM – Domenica 10 novembre 2013
Parafrasando un testo di p. Alberto Maggi
Il tema è delicatissimo perché tocca un aspetto dell’esistenza che prima o poi ci coinvolge, e ci coinvolge in una maniera tragica e devastante ed è la morte di una persona cara.
Purtroppo andando avanti con gli anni inevitabilmente ci si imbatte in questa tragedia, ma quello che è il guaio è che questa tragedia è resa ancora più pesante da due fattori.
Da una parte le idee errate che abbiamo sulla morte e sull’aldilà, le false idee che ancora, nonostante il rinnovamento biblico e liturgico, ci portiamo dietro perché non è facile sradicare quello che ci è stato insegnato.
E anche d’altra parte da tutto quel clima consolatorio e confortatorio che
si riversa attorno alla persona che ha subito un lutto e in questo caso, le persone religiose sono sempre le più pericolose perché hanno sempre le frasi fatte e già confezionate per cercare di confortare. Quando muore una persona cara, si sente dire: il Signore l’ha chiamato, il Signore l’ha preso, il Signore l’ha tolto, era già maturo per l’aldilà - chi tra noi ha superato una certa età significa che è uno zuccone tremendo, che ancora non è maturo per l’aldilà... - oppure i fiori più belli il Signore li prende per sé, l’angioletto del paradiso, o anche, e questo è la chiave segreta di un certo nostro comportamento, i più buoni il Signore li vuole con se, quindi una buona dose di cattiveria è un’assicurazione contro le scelte del Padreterno.
Quindi abbiamo tutto un corollario di frasi fatte e di espressioni che malgrado ci sia un rinnovamento della ricerca biblica, certi aspetti sono difficili da sradicare, siamo ancora, riguardo al fatto della morte, eredi del "Dies irae". Non so se ricordate il "Dies irae": cos’era? Fu un Papa, Papa Pio V che nel 1570 lo introdusse nella Messa dei defunti il "Dies Irae".
Ne leggo un pezzo per dare l’idea di quale clima circondava la morte: "Giorno d’ira quel giorno, giorno di angoscia e di afflizione, giorno di rovina e di sterminio, giorno di tenebre e di caligine, giorno di nubi e di oscurità..." (Sof 1,15). Quindi l’incontro con il Signore era un incontro temuto, un incontro terribile.
È importante sottolineare questo perché abbiamo intere generazioni di persone che non sono riuscite a gustare la buona notizia del Vangelo, cioè una notizia che dà gioia e allegria perché vittime di un falso concetto di Dio, di un falso concetto del suo agire, persone vissute nel timore di Dio e nella paura dell’aldilà, non tanto della morte, ma di quello che seguiva la morte, l’idea di un giudizio di Dio, un giudizio spietato, poi con la facilità che c’era di andare all’inferno!
Cominciamo dall’inferno. Il card. Martini scrisse queste precise parole, che … “mandano all’inferno” l’inferno. Sentite: “ La storia non è un proesso infinito che si avvolge su sé stesso, senza senso e senza sbocco. E’ qualcosa che Dio stesso raccoglierà, giudicherà, peserà con la bilancia del suo amore, della sua misericordia, ma anche della sua giustizia. Cioè chiamerà “male” il male e “bene” il bene., ma il figlio che ha fatto del male lo fascerà della sua misericordia!” Queste parole dovrebbero toglierci per sempre la paura dll’aldilà. Quindi il termine "inferno" non ha diritto di cittadinanza nella spiritualità cristiana, perché è un’idea completamente sconosciuta nei Vangeli, dove non esiste questa parola; ripeto, c’è lo sheol, c’è l’Ade, e poi tradotto esattamente: inferi, da non confondere con l’inferno.
Poi nella Bibbia e nel Nuovo Testamento, ci sono altri termini per indicare questo luogo. Nel Vangelo di Matteo, più volte Gesù coinvolto parla della Gehenna e dice ad esempio: "Chi dice al fratello: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna" (Mt 5,22): se non cambiate comportamento - dice Gesù - finite nel fuoco della Geenna. Cosa è questa Gehenna?
La Geenna, ancora oggi si può vedere a Gerusalemme, è un burrone dove si bruciano e si distruggono i rifiuti della città. In passato ai tempi della Bibbia c’erano i forni crematori in onore del Dio Moloch, dove a volte si bruciavano bambini, per propiziarsi il dio..
Quindi quando Gesù sta dicendo: chi mi dice pazzo - dire pazzo a una persona aveva un significato diverso rispetto a oggi, il pazzo era colui che veniva escluso dall’accampamento, ed essere esclusi dall’accampamento a quell’epoca significava andare incontro alla morte -, allora Gesù sta dicendo: se tu escludi qualcuno dalla tua vita, se tu escludi qualcuno dal raggio d’azione della tua esistenza, guarda, la tua fine è la Gehenna di fuoco, che non è una punizione dopo la morte, ma la distruzione della tua esistenza, che perde ogni significato, senza l’amore.Ma quella di Israele era una religione e in tutte le religioni come vedremo c’è fondamentale la categoria del merito. Cos’è la categoria del merito?
L’amore di Dio va meritato, chi si comporta bene ottiene l’amore di Dio, quindi ottiene un premio, chi contrariamente si comporta male, va incontro a un castigo; questo fa parte della religione.
Questa è la dottrina che appartiene alla religione, ma Gesù ci ha liberati dalla religione, la religione che è fondata sul merito, sull’uomo che deve meritare l’amore di Dio; l’amore di Dio con Gesù non va più meritato ma va accolto.
***
Avete visto il titolo un poco strano di questa riflessione: "I vivi non muoiono, i morti non risorgono" -. Questa è un’espressione presa dal Vangelo di Filippo, un testo apocrifo dove c’è scritto: "se non si resuscita prima mentre si è ancora in vita, morendo non si resuscita più": cioè la vita eterna o comincia già in questa esistenza o non c’è più, non è che si muore e poi c’è la vita eterna, già in questa terra noi possiamo avere una vita di una qualità tale che sia eterna.
Ecco perché San Paolo in alcuni testi che possono sembrare molto strani, non parla degli schiavi come di coloro che resusciteranno, ma come di coloro che sono già resuscitati. C’è ad esempio nella lettera agli Efesini Paolo che dice "con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù" (Ef 2,6): "ci ha anche", non dice "ci risusciterà". Paolo è convinto che noi già viviamo la condizione dei resuscitati, ma come possiamo essere resuscitati se non siamo morti? La resurrezione non avviene dopo la morte, o si risorge quando si è in vita o non si risorge più.
Ancora Paolo dice: "con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti" (Col 2,12), oppure "se dunque siete risorti con Cristo" (Col 3,1): quindi la vita eterna non è un premio nell’aldilà, ma una condizione nel presente. Già adesso, in questa esistenza, possiamo avere una vita di una qualità tale - è la qualità divina - che è indistruttibile e capace di superare la morte: il termine "eterna" non si riferisce tanto alla durata ma alla qualità, è una vita che
provenendo da Dio è di una qualità tale che neanche la morte riuscirà a distruggerla.
Ma vediamo alcuni passi del Vangelo di Giovanni che ci fanno comprendere come si può già adesso, su questa terra, avere una vita di una qualità tale che permetterà che non faremo l’esperienza della morte.
Il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni dice "chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna" (Gv 6,54): attenzione, lo ripeterò fino alla morte, non "avrà", "ha" la vita eterna. Cosa significa? Mangiare la carne di Gesù, vuol dire assimilarsi a Gesù: se Gesù si fa pane, cioè alimenta la vita, promuove la vita, chi mangia quel pane, deve essere disposto a farsi pane per gli altri, cioè a promuovere vita.
Ebbene, Gesù ci garantisce che chi mette la propria vita al servizio degli altri, al bene degli altri, ha già adesso una vita di una qualità tale che è indistruttibile.
Chi beve il suo sangue - il sangue significa la morte -: significa che vivere per gli altri secondo Gesù non comporterà l’applauso da parte della società, ma inevitabilmente la persecuzione perché si tratterà sempre di mettersi dalla parte dei perdenti, dalla parte degli emarginati, dalla parte di chi viene manganellato e non di chi manganella, quindi si va incontro alla persecuzione inevitabile - ecco il sangue -.
Allora Gesù ci assicura: chi della propria vita ne fa un dono per gli altri mettendosi sempre dalla parte degli ultimi ha già adesso, su questa terra, una vita di una qualità tale che la morte non potrà scalfire. Chi vive facendosi pane per gli altri, dimora già in Gesù, cioè è entrato già nella sfera divina e Gesù entra in lui. Ecco la realtà di Dio: chi vive per gli altri si muove già nell’ambito della sfera divina.
Allora pian piano ci stiamo avvicinando al concetto di morte, per capire cosa significa la morte: secondo Gesù la morte è una trasformazione che comincia già su questa esistenza. C’è il bellissimo il prefazio nella Messa dei defunti che dice "la vita non è tolta ma trasformata", la vita è trasformata, viene arricchita dall’entrare nella vita di Dio. La morte non è una sconfitta o un annientamento e neanche un ingresso in uno stato d’attesa, ma il passaggio ad una dimensione di pienezza; non significa la cessazione di ogni attività, ma significa la pienezza della condizione divina per continuare a collaborare con Dio alla creazione del mondo.
Ma solo chi crea e comunica vita entra nella dimensione di vita divina.
Gesù ci assicura che in ognuno di noi c’è un’energia vitale, una pienezza di vita, una bellezza straordinaria che non è possibile manifestare fintanto che siamo in questa terra. La morte non solo non distruggerà l’individuo, ma permetterà la liberazione di tutta questa energia, di questa potenza e libererà ed espanderà e farà crescere la persona in una bellezza senza fine: quindi la vita che è nelle persone attende la morte per manifestarsi in una forma nuova.
Quindi Il pianto per la morte di una persona cara è un avvenimento che purtroppo prima o poi ci tocca nella nostra esistenza, ma attenti: la morte non è stata la distruzione della persona cara, ma è stato un momento della vita che le ha permesso di manifestarsi in una bellezza che noi avevamo potuto forse intravedere, ma non avevamo potuto sperimentare nella sua pienezza. La morte consente all’individuo di esplodere in un’esplosione vitale senza fine.
Ecco allora che la nostra morte, e soprattutto quella dei nostri cari, non è stata una diminuzione, non è stata una distruzione. Sì, abbiamo visto il disfacimento della parte biologica, ma noi non siamo questa parte biologica anche se ci serve.
Gesù ci assicura che chi vive per gli altri non farà l’esperienza della morte, non si accorgerà della morte perché la vita che ha in sé è di una potenza tale che anche se la parte biologica va in disfacimento, la persona non ne fa l’esperienza. Come nessuno di noi oggi si accorgerà che gli muoiono 20-30 milioni di cellule, così sarà il momento della morte: è la fine di tutta la parte biologica dell’individuo, ma un momento positivo che consente all’individuo di liberare tutta l’energia che ha dentro.
Nella nuova creazione alla quale siamo tutti chiamati a collaborare fin da adesso, collaborazione che non terminerà con la morte, ma che verrà potenziata dalla nuova vita che Gesù ci ricrea, che il Signore ci ricrea, nella nuova creazione non c’è spazio per la morte.
Chiariamo un altro concetto: Il concetto di “giudizio”. La concezione del giudizio di Dio, che hanno molti cristiani e che genera paura, è sbagliata, frutto di una teologia medievale: anche questa non ha diritto di cittadinanza nella spiritualità evangelica.
Non esiste nessun giudizio. Tante persone hanno vissuto nell'angoscia e nella paura, e in tutta la loro esistenza non hanno percepito la bellezza di quella che è stata chiamata "buona notizia": voi sapete che "Vangelo" significa: "buona notizia".
Gesù ci dice: "Vi lascio la mia gioia, perchè la vostra gioia sia addirittura traboccante e la potete trasmettere agli altri".
Come è vero quello che ha detto il Concilio Vaticano II: “Nella Chiesa che se molti sono atei, la colpa è delle rappresentazioni di Dio che sono state date”. Qui ricordo i vecchi catechismi in cui si diceva che tutte le nostre colpe sono registrate da Dio; addirittura, nel giorno del giudizio - pensate che vergogna! -, ognuno in fronte avrà scritto tutto quello che ha fatto, perché c’era quel triangolo con quell’occhio di Dio che ci seguiva dappertutto, pure al cesso per vedere se ci toccavamo o no. Era tremenda l'immagine di un giudizio di Dio: a Dio non sfugge niente.
Uno sa quello che fa. Chi di noi non ha commesso sciocchezze, infedeltà, tradimenti, stupidaggini, peccati se vogliamo utilizzare un linguaggio religioso, nella propria esistenza? Ebbene, il Vangelo di Giovanni non poteva essere più chiaro. Dio non ha mandato il figlio per giudicare il mondo, ma per salvare il mondo: da parte di Dio non c'è nessun giudizio, assolutamente. Gesù non giudica, neanche il Padre giudica. Non c'è nessun giudizio per la nostra condotta, c’è una proposta di vita piena, con le conseguenze di chi la accoglie e le conseguenze di chi la rifiuta.
Quindi non esiste nessun giudizio. Il giudizio, se vogliamo usare questa terminologia, ce lo facciamo da soli.
Voi sapete, che una volta era obbligatorio essere cattolici, non c’era possibilità di salvezza al di fuori, ma Gesù mai si sogna di imporre il suo insegnamento. Gesù fa una proposta e una chiamata: quelli che rispondono sono a posto, ma quelli che non rispondono non significa che sono dannati. Significa che quella pienezza di vita qui su questa terra Gesù la propone a tutti e pochi sono quelli che se la sentono di accogliere questo messaggio. Gesù non è venuto a parlare dell’aldilà, ma a cambiare il di qua. Quando Gesù dice che i ricchi non entreranno nel regno dei cieli non dice che non andranno in paradiso: significa che su questa terra non avranno la pienezza di vita che è venuto a proporre.
La preghiera per i defunti, una delle trappole meglio congegnate dai preti - come le sanno fare i preti nessuno le fa -, sono le messe gregoriane, le conoscete? Se date un’offerta per far celebrare per trenta giorni di seguito una Messa esclusivamente per il vostro caro defunto, il vostro caro ha una cupoletta centrale nella storia di Dio: questa è stregoneria, questo è furto, questo è paganesimo.
Cosa significa pregare per i defunti? Se preghiera per defunti significa pregare o fare celebrare una Messa per dare una spintarella in avanti nella hit parade del gradimento di Dio, questo assolutamente no.
Cosa significa che abbiamo celebrato l’Eucaristia nel giorno di tutti i defunti? E’il ringraziamento della vita, una celebrazione nella quale sono presenti tutti i nostri cari. Pregare per un defunto non significa pregare per favorirgli la sua salvezza, per farlo uscire - ricordate? Una volta c’era pure il purgatorio, per farlo uscire dal purgatorio -. Cosa significa la preghiera per i defunti? Significa ringraziare il Signore che ha concesso al nostro caro una vita che è stata capace di superare la morte.
Abbiamo detto che, secondo Paolo, "se Cristo non è resuscitato (...) è vana anche la vostra fede" (1Cor 15,14): quindi è importante credere che Gesù sia resuscitato, ma cosa significa che Gesù è resuscitato? Anche qui purtroppo abbiamo le idee un po’ confuse o addirittura deviate: Sapete che nessun Vangelo descrive la resurrezione di Gesù. L’unica descrizione della resurrezione di Gesù la Chiesa non l’ha considerata autentica, ed è purtroppo invece quella che ha eccitato la fantasia degli scrittori e degli artisti. La conosciamo tutti l’immagine del Gesù trionfante che esce dalla tomba con il vessillo della vittoria: non appartiene ai Vangeli, ma è in un testo apocrifo del 150 chiamato il Vangelo di Pietro.
Quindi nessun Vangelo ci descrive la resurrezione di Gesù. In tutti il significato che intendono proporre è identico: ci offrono la possibilità di sperimentarlo resuscitato. Non è possibile credere che Gesù è resuscitato perché ci viene insegnato dalla Chiesa, e neanche perché è scritto nei Vangeli: fintanto che non si sperimenta nella propria esistenza la realtà di Gesù vivo e vivificante, non è possibile credere a Gesù resuscitato.
Ecco perché, mentre nessuno dei Vangeli ci dice come Gesù è resuscitato, tutti, in maniera differente l’uno dall’altro, danno l’indicazione di come sperimentarlo resuscitato. La resurrezione di Gesù non appartiene alla storia ma alla fede, non è un episodio della cronaca, ma è un episodio che si chiama teologico.
Cosa significa? Se al momento della resurrezione di Gesù fosse stata presente, oggi, la televisione con fotografi, non avrebbero fotografato e ripreso assolutamente niente, perché la resurrezione di Gesù non è un episodio storico, ma un episodio che riguarda la fede: non è possibile vedere con gli occhi, con la vista fisica Gesù resuscitato, bisogna vederlo con la vista interiore.
Questo può sconcertare, ma è quello che ci presentano gli evangelisti. Se avete dimestichezza con i Vangeli, provate ad andare a leggere i racconti della resurrezione: ogni evangelista ce la presenta in maniera differente e non è possibile conciliare un Vangelo con l’altro.
Quello che ci sembra il più normale come relazione è il Vangelo di Giovanni. Nel Vangelo di Giovanni Gesù è stato assassinato a Gerusalemme, quindi è morto a Gerusalemme, è resuscitato a Gerusalemme; i discepoli sono racchiusi nel cenacolo per paura di fare la stessa fine di Gesù a Gerusalemme, Gesù appena resuscitato appare ai suoi discepoli.
Questa è la relazione che ci sembra, anche storicamente, la più plausibile; quindi Gesù resuscitato, la prima cosa che fa, appare ai suoi discepoli.
Questo nel Vangelo di Giovanni: ma nel Vangelo di Matteo, l’episodio è completamente diverso. Gesù, morto a Gerusalemme, resuscitato a Gerusalemme, non compare ai discepoli; manda a dire: "mi volete vedere? Andate in Galilea!" (cfr. Mt 28,10).
Allora vedete che tra i due episodi non è possibile alcuna conciliazione.
O Gesù è apparso il giorno della sua resurrezione ai suoi discepoli a Gerusalemme o, come dice Matteo, li ha costretti ad andare in Galilea. Da Gerusalemme in Galilea ci sono normalmente 4 giorni di cammino, perché questa bizzarria? Ma non è più normale quello che ha scritto Giovanni, che Gesù resuscitato appare subito ai suoi discepoli? Perché li manda in Galilea e ritarda l’esperienza importantissima della resurrezione?
Ebbene, tutti gli evangelisti indicano la stessa cosa: il significato è lo stesso, le forme per presentarlo sono differenti. Tutti gli evangelisti ci vogliono dire questa profonda verità: è possibile sperimentare Gesù resuscitato soltanto mettendo in pratica il suo messaggio, vivendo come lui è vissuto.
Ecco allora in un altro Vangelo, per esempio nel Vangelo di Luca, conosciamo tutti l'episodio dei discepoli di Emmaus: anche lì non è possibile conciliarlo né con Giovanni né tanto meno con Matteo. Tutti gli evangelisti indicano la stessa cosa: nessuno ci dice come è risorto Gesù ma tutti ci dicono come è possibile sperimentarlo resuscitato. E come è possibile sperimentarlo resuscitato? Vivendo come lui è vissuto.
Nel Vangelo di Giovanni Gesù dirà: "Come il padre ha mandato me, anch’io mando voi" (Gv 20,21), cioè praticate il mio messaggio e avrete in voi una qualità di vita talmente forte da essere indistruttibile, - cioè una vita divina -, e quindi sperimenterete che io sono vivo.
Nel Vangelo di Luca, quand'è che i discepoli si rendono conto chi è Gesù?
Quando Gesù spezza il pane: è Gesù che si fa pane per gli altri. In quel momento sperimentano nella propria esistenza la presenza di Gesù vivo e vivificante.
La resurrezione è una nuova creazione da parte di Dio, ma questa creazione non inizia al momento della morte: inizia già durante l'esistenza.
Chi accoglie Gesù e il suo messaggio e come lui mette la propria vita al servizio degli altri, appartiene già alla nuova creazione, e la nuova creazione non termina con la morte ma è capace di superarla.
Ecco allora perché non c'è la vita, la morte e poi la resurrezione, ma già quando si è in vita, dice: "voi che mi avete seguito, nella nuova creazione": quanti accolgono Gesù sono già ricreati. Ecco perché Paolo può dire: "Noi che siamo già resuscitati" (cfr. Ef 2,6). Quindi noi non crediamo che i morti resusciteranno, ma crediamo che i vivi non faranno l'esperienza della morte perché partecipiamo alla nuova creazione.
"Quando il figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele".
Qui l'affermazione va compresa nel contesto culturale giudaico: in quanto figli di Abramo, i Giudei ritenevano di non andare incontro a nessun giudizio, che era riservato solo per i pagani. Gesù rimprovera Israele per averlo rifiutato e li mette alla stregua dei popoli pagani: far sedere i suoi seguaci sul trono della gloria significa assicurare loro la condizione divina.
Quanti accolgono Gesù e il suo messaggio e lo mettono in pratica, hanno già adesso la condizione divina: il progetto di Dio sull'umanità, e la sua volontà, è che ogni uomo giunga alla condizione divina. Poi Gesù conclude: "Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna". La vita eterna non è frutto dello sforzo dell'uomo, ma è un'eredità: l'eredità cos'è? Un regalo completamente gratuito: la vita eterna è un dono che Dio fa ai suoi e non uno sforzo delle conquiste dell'uomo.
Cosa vuol dire: "Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, ...?". Che se questo desiderio di pienezza di vita, questo desiderio della nuova creazione ti fa trovare di fronte a qualcosa che si oppone, a qualche ostacolo, anche se importante come i fratelli, le sorelle, il padre, la madre, addirittura i figli, o i campi, cioè quello che ti assicura il mantenimento, lascia! Non c'è nessun impedimento che possa ostacolare la pienezza dell'uomo.
Chi è capace di fronte all'impedimento, anche importante, di abbandonarlo e di scavalcarlo, non va incontro ad una perdita ma a cento volte tanto: "cento volte tanto" è un’espressione biblica dell’Antico Testamento che significa la benedizione di Dio (cfr. 2Sam 24,3; 1Cr 21,3).
Quindi se per seguirlo, e quindi per andare incontro alla piena maturità della nostra esistenza, incontriamo un ostacolo, questo deve essere superato. Avere abbandonato questo ostacolo non sarà una perdita, ma effetto della benedizione divina. Spero si sia compresa soltanto una cosa: non è importante la vita dell'aldilà, ma chiedersi se questa vita che conduciamo qui è vita.



Lunedì 11 Novembre,2013 Ore: 15:24
 
 
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