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www.ildialogo.org Chiesa in sinodo… senza saperlo,di Alberto Bruno Simoni

"IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO 3" - Napoli 17-19 settembre
Chiesa in sinodo… senza saperlo

di Alberto Bruno Simoni

Verrebbe da sintetizzare la tre giorni di Napoli così: una chiesa diversa possibile c’è già… sotto il moggio! E dopo aver detto tra noi di una “Chiesa sinodale alla prova”, ora forse possiamo dire di avere una prova di chiesa sinodale. Per cui penso si possa parlare tranquillamente di questo evento come sinodo di una chiesa in diaspora, che cerca la sua luce ed i suoi spazi per poter crescere come nuovo pollone della pianta antica. In effetti si è avvertito ed è emerso un sentimento unitario di fondo in cerca di convergenze chiare e verifiche storiche.
Ciò è avvenuto quasi per incanto attraverso un passaggio impercettibile dalle “relazioni” (interessanti quanto si vuole, ma sempre “lezioni”) alla “relazione” e alle comunicazioni libere ad esse ispirate, tanto che gli interventi liberi sono risultati anche più significativi come espressione di chiesa in cammino. È stato un primo moto spontaneo ed un primo segno di capovolgimento dalla “lettera” allo “spirito”, dai discorsi al vissuto, dove la contrapposizione di partenza tende a diventare rapporto dialettico tutto da perfezionare.
Ci sono state lamentele su parole altisonanti senza eco di vita e denunce quasi di rito della teologia, ma c’è stato anche un chiaro richiamo a non andare per la tangente di una immagine sognata e disincarnata di chiesa. Con questo strano esito: che proprio le forze e le tendenze innovative potrebbero ingenerare la sindrome dei “perfetti” ed affrancarsi da ogni tipo di struttura mentale e istituzionale, fino alla evanescenza! Anche senza la contrapposizione emersa in “Firenze 1”, una polarizzazione rimane presente, sia pure in un quadro di maggiore accoglienza e di ascolto: qualcosa che va comunque rimosso e risolto, al di là del clima di intesa che si respirava. E forse è proprio questo il compito che rimane per tutti, se non si vuole rimanere allo stato di gratificazione interna, ma arrivare a dare sbocco ad una novità di chiesa quale il “Vangelo ricevuto” richiede.
Come si sa, l’indicazione di marcia per fare un passo avanti erano le parole di D.Bonhoeffer “pregare e fare ciò che è giusto tra gli uomini”, quasi una parafrasi anticipata della definizione che la chiesa darà poi di se stessa: “segno e strumento della unione con Dio e dell’unità del genere umano”. Ed allora forse è utile fare ricorso ad un altro passo dello stesso testo bonhoefferiano (vedi Forum 225), che ci offre parametri di interpretazione e di valutazione di quanto tutta l’assemblea ha espresso nel suo insieme.
“Abbiamo vissuto troppo intensamente nel pensiero e abbiamo creduto che fosse possibile garantire in precedenza, mediante una ricognizione di tutte le possibilità, il risultato di qualsiasi azione, in modo tale che essa si compia, in conclusione, da sola. Un po' troppo tardi abbiamo imparato che non il pensiero, ma l'assunzione della responsabilità è l'origine dell'azione. Per voi, pensiero e azione entreranno in una relazione nuova. Penserete esclusivamente ciò di cui risponderete agendo. Per noi il pensiero era spesso il lusso dello spettatore, per voi sarà interamente al servizio dell'azione. "Non chiunque mi dice: Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli ", ha detto Gesù (Mt. 7, 21)”.
Come uscire dalla spirale di un pensare autoreferenziale e tautologico in sé compiuto e da un operare autosufficiente, quasi poli contrapposti? Riconoscendo che per molti “il pensiero era spesso il lusso dello spettatore”, Bonhoeffer si rivolge ai giovani dando questa chiave di soluzione veramente preziosa: “Penserete esclusivamente ciò di cui risponderete agendo”.
Queste parole mi sono tornate spesso alla mente durante il dibattito - insieme ad altre presentate come “decalogo per un metodo di riforma” - e mi sono parse il modo migliore per “fare verità”, ma al tempo stesso per riportare il problema ai suoi termini essenziali: e cioè alla responsabilità e quindi al soggetto che se ne fa carico. In realtà, per quanto riguarda il “Vangelo che abbiamo ricevuto”, non sono mancati i pensieri giusti e le buone intenzioni, ma rimaneva latente o assente il soggetto reale di questa operazione. Per cui veniva spesso da chiedermi: basta continuare a dirci come le cose sono idealmente e come dovrebbero essere, e magari contentarsi di denunciare che non vengono fatte, senza farsene carico in solido e in prima persona? E nel caso si facessero realmente, le cose potrebbero rimanere come sono? Spesso avveniva, come già in passato, che dentro un discorso del tutto normale venissero fuori affermazioni così dirompenti e radicali, che se se ne dovesse “rispondere agendo” saremmo alla rivoluzione totale, mentre tutto poi viene placato!
Ed allora, se è vero che camminando s’apre il cammino, il passo decisivo da fare è quello che porta al soggetto-chiesa come comunità di fede o dei credenti: più volte è stato ripetuto che il problema dei problemi è la fede ed è stato detto testualmente che per Bonhoeffer si tratta di “concretezza della fede”. Ma all’atto pratico, le preoccupazioni poi sono altre, anche se non è mancata la testimonianza di una pastorale impostata esclusivamente sull’accoglienza, sull’ascolto e sulla solidarietà, davanti alla quale veniva da chiedersi come si conciliasse col sistema e cosa dovrebbe succedere perché diventasse prassi ordinaria di servizio evangelico.
Altre vive testimonianze – prevalentemente di donne – ci hanno fatto toccare con mano che tutto questo è possibile e che forse quello che cerchiamo c’è già – come in qualche modo è emerso – ma che deve essere portato a consapevolezza e a tema, per diventare nuovo modo di essere condiviso. Quando prima dicevo che in realtà si è trattato di un sinodo di chiesa in diaspora, è una affermazione plausibile o è una forzatura retorica e appropriazione indebita? Basta contentarsi di portare acqua al mulino di una forma di chiesa stabilita che non sentiamo più nostra, o è necessario macinare in proprio?
Il punto è se quanto ci diciamo una volta, due e di continuo (rilievo fatto da molti) sia poi praticabile e traducibile in volto riconoscibile di chiesa, non solo per qualche ritocco o maquillage, ma come forma evangelica di vivere (evangelica vivendi forma); e se tutto questo sia possibile diversamente che in termini di riforma globale, senza giocarci sopra, e senza la paura di dire pane al pane: e cioè, che se si dicono certe cose, bisogna chiamarle con il loro nome, così come per ottenere certi effetti bisogna adottare i procedimenti adeguati! Il discorso è stato imperniato su “Costituzione” e “Vaticano II”: non si tratta di due riforme incompiute e da riprendere alla radice?
L’iniziativa “Il vangelo che abbiamo ricevuto” è partita sull’onda del “disagio”, che in prima battuta sembrava esorcizzato in forza di un appiattimento sull’esistente, ma che poi era riaffiorato. La libera convocazione non si qualificava in altro modo (incontro di preghiera, lectio divina, lezione di teologia..), ma rimaneva aperta a qualunque sviluppo. Questa volta il disagio appariva metabolizzato, lasciando spazio però ad una sorta di ripiegamento e di vuota attesa, come chi non voglia tagliare il cordone ombelicale o come uno strano prodigo che rivendica quello che gli è dovuto per consumarlo rimanendo tranquillamente in casa.
E’ davvero troppo pensare che un’altra chiesa è possibile, e che se questa ci fosse già – come c’è – è bene toglierla di sotto il moggio e porla sul candelabro? Mi si permetta allora di dire – anche sulla base di un lungo impegno in tal senso – che questo compito non può essere affidato saltuariamente  a “Firenze”, “Napoli” e forse “Palermo” (come è stato ventilato), ma deve diventare  “assillo quotidiano e preoccupazione per tutte le Chiese” (2Corinzi 11,28).
Alberto Bruno Simoni


Giovedě 23 Settembre,2010 Ore: 11:58
 
 
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