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www.ildialogo.org Riflessioni in libertà.,di Mario Mariotti

Riflessioni in libertà.

di Mario Mariotti

Ci abbiamo mai pensato che le migrazioni si fermeranno solo con la giustizia; che quest'ultima si sostanzia in egualitarismo; e che questo a sua volta e frutto dello "Spezzare il pane", cioè dell'Incarnazione dello Spirito, cioè del condividere il necessario alla vita?
Finché il 20% della popolazione mondiale godrà dell'80% della ricchezza prodotta, ed all'80% della popolazione povera resterà solo il 20% di tale ricchezza il fenomeno-migrazione rimarrà strutturale, inevitabile ed incontenibile.
Quando ci renderemo conto che tutti noi invochiamo la pace, ma, contemporaneamente viviamo la cultura che la nega? Essa è figlia unica della giustizia; la giusti zia, a sua volta, è figlia unica della condivisione; quest'ultima ha la propria radice nella "compassione", che ci spinge ad incarnare
il Verbo, o i Valori (il ché e la stessa cosa)) cioè allo "spezzare il pane” fra noi. La nostra cultura, invece e purtroppo) serve fedelmente gli idoli del Beati i ricchi, quello del mercato che si sostanzia nella legge del più forte; quel1o della competizione che trasforma il nostro prossimo o in un avversario da battere, o in un nemico dal quale guardarsi.
A questo punto la fraternità e la solidarietà sono defunte, perché chi le generava, la compassione, non ha più trovato spazio nel profondo dell'uomo; è stata lasciata morire soffocata dai miti della competizione, del successo, della visibilità, della ricchezza, del potere e del piacere.
E ancora: quando ci renderemo conto che il nostro giudizio sulle cose, ad esempio quello sul comunismo, spacciato come il male assoluto anche dai cristiani, che avrebbero dovuto accusarlo solo nella forma e non ella sostanza, è correlato, è determinato, è dipendente dalla nostra collocazione esistenziale come persone? Per il ricco, per l'imprenditore che vuole sentirsi libero da lacci e lacciuoli, per colui che pensa di pagare sempre troppe tasse, per colui che ha già mangiato e bevuto, che è fuori dalla condizione di precarietà perché ha il posto di lavoro o una rendita sicura, per colui che ha da vestirsi, e ripararsi dal caldo e dal freddo, per colui che quando si ammala ha di che curarsi e farsi curare, bene, per tutti costoro il comunismo è il maligno, è una dittatura che soffoca la libertà, la democrazia, i diritti umani.
Per il povero invece, la musica sarebbe del tutto diversa. Per lui non sarebbe una dittatura, ma, finalmente, libertà dal bisogno; cibo, lavoro, scuola, sanità accessibili e garantiti; uscita dalla miseria e dalla precarietà; entrata in una vita dignitosa correlata alla cultura del necessario ed all'esercizio sia dei diritti che dei doveri di ogni cittadino.
Il comunismo realizzerebbe finalmente il "per tutti"; ognuno contribuirebbe secondo le proprie capacità al bene comune, e riceverebbe ciò di cui ha bisogno.
Perché poi il sottoscritto, invece di usare il verbo all'indicativo, cioè "il comunismo è", ha usato il condizionale "sarebbe"? Perché il povero, che avrebbe dovuto far propria quell'utopia, ed impegnarsi per farla passare nella realtà è rimasto vittima, del rincoglionimento ad opera del ricco, che gli ha passato un'informazione secondo gli occhi suoi da ricco, e lo ha trasformato, da povero, a ricco mancato, a ricco non di fatto ma di desiderio, a suddito del "Beati gli indefinitamente ricchi".
In questo modo sono state create le condizioni di quell'inferno, deserto di compassione e saturo di violenza, che abbiamo sotto gli occhi, ma al quale ci stiamo abituando.



Sabato 05 Maggio,2018 Ore: 18:35
 
 
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