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www.ildialogo.org Che significa ‘rivelazione’?,di Elio Rindone

Che significa ‘rivelazione’?

di Elio Rindone

È possibile, opportuno, utile un dialogo fra le tre religioni monoteistiche teso a creare luoghi comuni d’interazione tra i fedeli? Sull’opportunità e sull’utilità non avrei dubbi. Credo, invece, che sia necessario interrogarsi sulla possibilità di un confronto effettivo, che eviti sia chiusure preconcette che facili irenismi. Vorrei qui riflettere, appunto, sulle condizioni che rendono un tale dialogo praticabile, limitandomi a esaminare la posizione cristiana e lasciando ai rappresentanti dell’ebraismo e dell’islam il compito di esporre il loro punto di vista.
Anzitutto: quando parliamo di ‘cristianesimo’, di cosa parliamo? È scontato che ci sono profonde differenze tra cattolici, luterani, calvinisti, ortodossi… Ma non sono piccole neanche le differenze che si riscontrano, all’interno della stessa confessione, tra i credenti di un secolo e quelli di un altro secolo. E persino in una comunità come quella cattolica, che dovrebbe essere compatta perché guidata dal magistero del papa, è innegabile che il modo di intendere la fede di un assiduo ascoltatore di Radio Maria è abissalmente distante da quello di chi si riconosce nel movimento Noi siamo chiesa. Ed è ben noto quanto sia difficile il dialogo dei cristiani tra loro e degli stessi cattolici tra loro.
Per non parlare di come l’insegnamento ufficiale sia lontano dalle convinzioni e dalla prassi condivisa da milioni di uomini e donne, che pure si dicono credenti, o da quanto i biblisti, anche cattolici, danno ormai per scontato riguardo allo stesso fondamentale concetto di ‘rivelazione’. Quest’ultima è una questione decisiva per la nostra problematica, e quindi mi pare necessario approfondirla.
Non c’è dubbio, infatti, che i cristiani delle diverse confessioni considerano la Bibbia un testo sacro, che contiene la rivelazione divina. Nelle funzioni cattoliche, per esempio, le letture bibliche si concludono con la formula ‘Parola di Dio’. Ma qual è il significato di dichiarazioni del genere? Restringendo quindi ulteriormente, per ragioni di economia, il nostro campo d’indagine al cattolicesimo, che in Italia ci tocca più da vicino, non possiamo non chiederci, per affrontare la fattibilità del dialogo interreligioso, quale sia il significato di espressioni che, per una lunga assuefazione, i fedeli accettano come se fossero ovvie.
Bibbia e rivelazione
«Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, riprendere, correggere, educare alla giustizia» si legge nella Seconda lettera a Timoteo (3,16). Ispirandosi, è il caso di dire, a passi del genere, il magistero ha affermato che tutti i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento, essendo stati «scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore» (Concilio Vaticano I, costituzione Dei Filius, 1870). Espressioni quali parola di Dio sono da prendere, dunque, in senso letterale e non traslato: questi scritti contengono la rivelazione divina, cioè le verità comunicate direttamente da Dio agli agiografi e mediante questi all’umanità.
I libri che compongono la Bibbia hanno certamente degli autori umani, ma gli agiografi, dichiara il Vaticano I, non parlano da sé, in base alle loro conoscenze, ma come strumenti la cui mente è illuminata in modo soprannaturale dallo Spirito divino [1], che si serve di loro per manifestare «se stesso e le decisioni eterne della sua volontà» (Dei Filius). E già la scolastica medievale affermava, con Tommaso d’Aquino, che «L’autore principale della Sacra Scrittura è lo Spirito Santo, l’uomo invece ne è l’autore strumentale» (Quod libetales 7, a. 14, ad 5).
Logica conseguenza di una simile impostazione è quella che il magistero ha tratto: se l’autore principale della Scrittura è Dio, essa non può contenere alcun errore. Infatti, la sua assoluta inerranza, sia in materia religiosa che profana, è sostenuta con perfetta coerenza, per esempio, da Leone XIII: coloro che ammettono nella Bibbia anche il più piccolo errore «fanno Dio stesso autore dell’errore» (Providentissimus Deus, n. 34).  
Le novità del Vaticano II
Ma la tesi che la Bibbia contenga insegnamenti immutabili e privi di errore in campo storico, antropologico e scientifico ha dovuto fare i conti nella modernità con le acquisizioni dell’archeologia, della fisica e dell’astronomia. Il Concilio Vaticano II, infatti, non parla più della rivelazione come dell’immediata comunicazione di verità, naturali e soprannaturali, dettate da Dio all’agiografo che le trascrive come docile strumento, ma piuttosto come di eventi storici interpretati da uomini religiosi in modo da rintracciare in essi un disegno salvifico.
La rivelazione, in sostanza, più che un elenco di verità dottrinali, è la stessa storia umana letta in chiave religiosa: «gesti e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere e il mistero in esse contenuto» (costituzione Dei Verbum, n. 2, 1965).
E, preso atto che gli errori nella Bibbia ci sono, lo stesso magistero è stato costretto a riconoscere che «i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, a causa della nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle Sacre Lettere» (Dei Verbum, n. 11). Non tutte le affermazioni contenute nella Bibbia, dunque, hanno lo stesso valore: l’insegnamento biblico è vincolante per i credenti solo per ciò che riguarda la salvezza dell’uomo, mentre per il resto gli agiografi esprimono idee e giudizi, eventualmente erronei, propri della cultura del loro tempo.
E tuttavia…Si tratta certamente di un bel passo avanti: le affermazioni bibliche in campo, per esempio, storico o astronomico si possono saltare a piè pari. Dopo tre secoli il Concilio ha fatto propria la tesi proposta da Galilei! L’insegnamento cattolico ufficiale, però, non va oltre e anzi, con la restaurazione iniziata con Giovanni Paolo II, tende a riproporre le tesi tradizionali, mettendo l’accento non sulla storia da leggere in una prospettiva religiosa ma sulle verità comunicate una volta per tutte: nel Catechismo della Chiesa Cattolica del 1997, per esempio, si afferma che «Per amore, Dio si è rivelato e si è donato all’uomo. Egli offre così una risposta definitiva e sovrabbondante agli interrogativi che l’uomo si pone sul senso e sul fine della propria vita (n. 68)».
Quindi, in materia di fede e di morale, cioè per quanto riguarda la vita e la salvezza dell’uomo, la verità è rivelata dall’alto e custodita in maniera infallibile dal magistero. E, sulla linea di Tommaso d’Aquino, si ripete che «Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale della ragione umana partendo dalle cose create (n. 36). Tuttavia, nelle condizioni storiche in cui si trova, l’uomo incontra molte difficoltà per conoscere Dio con la sola luce della ragione (n. 37). Per questo l’uomo ha bisogno di essere illuminato dalla Rivelazione di Dio non solamente su ciò che supera la sua comprensione, ma anche sulle verità religiose e morali che, di per sé, non sono inaccessibili alla ragione (n. 38)».
Nuove prospettive
Tuttavia, come accennavamo all’inizio, una simile concezione della rivelazione, che ha dominato il pensiero cristiano da Agostino a Tommaso, da Pascal a Kierkegaard, oggi non è più unanimemente condivisa, e persino il magistero ecclesiastico, pur mantenendo le posizioni tradizionali, si guarda bene dal condannare i numerosi biblisti che ormai da tempo usano sempre minore cautela nello spiegare che la nozione di parola di Dio riferita alle pagine bibliche, se non vuole restare debitrice di una mentalità primitiva, deve essere accolta come espressione metaforica. Gli dèi, in effetti, non parlano: sono gli uomini che riflettono, meditano e cercano di cogliere un disegno d’amore nel groviglio, apparentemente insensato, degli eventi storici.
Subito dopo la chiusura del Vaticano II, infatti, un autore prestigioso come Léon-Dufour sfruttava le aperture della Dei Verbum – che, come abbiamo visto, presentava la rivelazione come l’insieme di eventi e parole, e definiva gli agiografi veri autori (n. 11) – per sottolineare che il messaggio biblico è veicolato dalle esperienze, dalle riflessioni e dalle idee di uomini vissuti in epoche e contesti differenti, e aggiungeva che proprio tali meditazioni di uomini religiosi «in linguaggio teologico si chiamano rivelazione»  [2].
E il domenicano Pierre Benoit, dopo aver messo in rilievo la libertà con cui gli agiografi esprimevano le loro idee senza sentirsi vincolati dalle affermazioni contrarie di altri autori, concludeva: «si ha torto a identificare, come fanno oggi ancora alcuni teologi, puramente e semplicemente il pensiero dell’autore con quello di Dio» [3], perché in tal caso si finirebbe con l’attribuire le contraddizioni a Dio stesso: «non si può prendere un passo qualsiasi della Bibbia e dire: è Dio che parla, è la verità assoluta. No; qui Dio dice questo, ma dice altre cose altrove» [4].
È possibile concludere questa breve rassegna di citazioni con quanto scrive uno studioso tedesco: «la riflessione critica si domanda, se ora in qualche modo la rivelazione avvenga come reale comunicazione di Dio all’uomo o se ciò che viene detto rivelazione sia soltanto riflessione di uomini religiosi» [5]. In effetti, è ormai acquisita tra gli studiosi cattolici la tesi che la Bibbia contenga le riflessioni di uomini che, nel contesto culturale ebraico, certamente diverso da quello greco, per secoli hanno meditato in una prospettiva profondamente religiosa sul senso della vita umana.
Demitizzare l’idea di rivelazione
Liberata dalla nozione mitologica di rivelazione divina, la Bibbia, come qualunque altro grande testo religioso, può allora offrire a chi è alla ricerca di senso spunti di grande ricchezza spirituale. È questa, a mio modo di vedere, la maniera corretta di leggere la Scrittura e credo che a queste condizioni – cioè liberandosi da interpretazioni letterali di espressioni antropomorfiche e da una mentalità magica che trasforma parole umane in parole comunicate direttamente da Dio stesso – i cattolici possano dialogare efficacemente con quei cristiani di altre confessioni e con quei credenti di altre religioni che siano capaci di un simile processo di revisione critica delle proprie tradizioni.
Note
[1] Tra gli interventi del magistero in campo biblico un posto di particolare rilievo occupa l’enciclica del 1893 in cui Leone XIII, a proposito degli agiografi, scrive che Dio «così li stimolò e li mosse a scrivere con la sua virtù soprannaturale, così li assisté mentre scrivevano, di modo che tutte quelle cose e quelle sole che egli voleva, le concepissero rettamente con la mente, e avessero la volontà di scriverle fedelmente e le esprimessero in maniera atta con infallibile verità» (Providentissimus Deus, n. 34).
[2] X. Léon-Dufour, I Vangeli e la storia di Gesù, Edizioni Paoline, Milano 1967: 125. L’edizione originale è del 1963.
[3] P. Benoit, La verità nella Bibbia. Dio parla il linguaggio degli uomini, in La verità della Bibbia nel dibattito attuale, Queriniana, Brescia 1968: 73.
[4] ibidem: 177.
[5] K. Schelkle, Teologia del Nuovo Testamento, EDB, Bologna 1980, vol. II: 61.

 

 



Venerdì 04 Novembre,2016 Ore: 19:02
 
 
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