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www.ildialogo.org "Lo sviluppo inclusivo".,di Mario Mariotti

"Lo sviluppo inclusivo".

di Mario Mariotti

La sfida dello sviluppo inclusivo - Perché partire dagli ultimi - Un sistema che giustifica la povertà e l'emarginazione è disumano- Misericordia: la sola risposta al nostro tempo - Il povero lo aiuto perché so che mi arricchisce - La povertà è al centro del Vangelo.
Tutti questi slogans che leggo sul mensile degli Amici di Follereau, tutti questi bellissimi messaggi, che nella sequenza della maturazione delle persone, rivelano che è già stato fatto un buon percorso, hanno però ancora un grosso limite di genericità, ed hanno bisogno di essere precisati, contestualizzati, approfonditi, completati. Quello che io scriverò qui di seguito, però, non vorrei venisse preso solo come critica distruttiva, e che venisse usato da quei sepolcri imbiancati che dicono che i poveri vanno aiutati a casa loro, mentre a fare questo, non ci pensano assolutamente
Dato che gli aspetti soggettivi e strutturali della realtà sono interconnessi, io mi pongo l'obiettivo della coerenza fra loro, perché, se manca questa, ognuno vanifica il positivo dell'altro; e questo é il problema di fondo che anche il volontariato, che anche quelli che cercano di impegnarsi a favore degli ultimi, devono affrontare.
Il pensiero unico neoliberista, che caratterizza la globalizzazione che si è verificata dopo la caduta del Muro di Berlino, dopo il naufragio dell'utopia della Fratellanza, è costituito dai tre dogmi del capitalismo, del mercato e della competizione, che sono i nomi del sistema che giustifica la povertà e l'emarginazione, e che non vengono mai focalizzati.
Ai ricchi viene riconosciuta la libertà di diventare sempre più ricchi, la libertà d'impresa, di speculazione finanziaria, di rifugio nei paradisi fiscali, il mercato segue l'etica del massimo profitto, per cui non c'è problema anche nel vendere armi a Paesi in conflitto con altri Paesi; non c'é problema neppure a vendere armi ai propri nemici, così ci si guadagna due volte: nel vendere armi a loro e nel fabbricare le proprie armi per contrastarli ed alla fine distruggerli. La competizione, poi, completa il quadro, rendendo gli ultimi, i poveri, gli scarti, strutturali al sistema, perché è inevitabile che nella competizione ci siano coloro che vincono e coloro che perdono.
Ora, quando si parla di sviluppo inclusivo, se non si ha ben presente il quadro sopradescritto, se non, si dà il nome alle radici del cancro, se non si ha ben presente il problema sia del tipo di sviluppo che si vuole favorire, che quello del contesto nel quale includere coloro che ne sono ancora esclusi, si corrono dei grossissimi rischi: si lavora per includere gli esclusi in un quadro strutturalmente maligno, che sotto il profilo ecologico sta impestando e portando al collasso tutto il pianeta, e sotto quello della giustizia, dell'uguaglianza e della fraternità è completamente negativo e fallimentare.
La riabilitazione su base comunitaria finisce col lavorare per includere gli esclusi in un sistema che strutturalmente produce esclusi; che esclude i poveri, gli ultimi, gli scarti.
Ripeto qui il discorso che ho fatto su Don Milani: Mentre lui dava lo strumento della lingua italiana agli emarginati delle montagne del Mugello, contemporaneamente proponeva il progetto da costruire al quale integrarli: l'uguaglianza di tutti i cittadini in una Repubblica fondata sul lavoro. Nella lotta di classe che i ricchi ed i privilegiati pongono in essere ai danni dei poveri, il Priore di Barbiana si poneva dalla parte di questi ultimi; indicava gli strumenti per il riscatto: lo sciopero e il voto; indicava il Progetto: l'attuazione dell'Art. 3 della nostra Costituzione: quello dell'uguaglianza fra tutti i cittadini del nostro Paese e di tutto il pianeta.
Se manca la consapevolezza di questa dimensione del problema, viene mancare un fondamentale; ed il positivo del soggettivo, che lavora per integrare, viene bruciato dallo strutturale maligno di una macchina, il neoliberismo capitalista ,che genera continuamente nuovi esclusi.
Ed ora passo agli altri slogans. Al centro del Vangelo non c'è la povertà; ma la lieta novella che Dio ci è Padre; e che Lui è venuto in Gesù per servire e non per essere servito. Il servizio, poi, ha come destinatario l'uomo, ed a questo punto che il povero diventa il centro del Vangelo: la sua esistenza denuncia il nostro peccato, la nostra omissione di solidarietà, il nostro rifiuto ad amare e condividere, il nostro rifiuto a porci alla sequela del Signore incarnando amore e condivisione. Se noi avessimo fatto questo, lui non esisterebbe più in quanto povero, ma solo come fratello. Allora la sola risposta al nostro tempo non è la misericordia, ma l'incarnazione della giustizia, e della condivisione che la supera, da parte di noi stessi, che, per prima cosa, prima di integrare, dovremmo, cambiare noi stessi, vivere la cultura del necessario, condividere ciò che eccede con chi ne è ancora privo, e al tempo stesso lavorare per costruire una società che vive e funziona secondo un’economia di comunione.
Solo a questo punto si potrà parlare di sviluppo inclusivo, il quale, attraverso l'amare ed il condividere, porterà all'estinzione della categoria dei poveri, alla fine della divisione dell'umanità in servi e padroni, e darà vita ad una società di uguali, senza più ricchi e senza più poveri. Ho detto: abbastanza? E' quello che sto dicendo e ripetendo da tantissimi anni, anche all'interno di AIFO, e che spero trovi qualcuno che continui a dirlo, quando lo “sviluppo inclusivo” di compagna-Morte avrà equalizzato anche me.



Venerdì 01 Aprile,2016 Ore: 23:20
 
 
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