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www.ildialogo.org Una speranza senza confini,di Aldo Antonelli

Una speranza senza confini

di Aldo Antonelli

Non so se capita anche a voi, ma a me intriga questa figura di Gesù che si preoccupa della folla fino a chiedere a Filippo: “dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?” e subito dopo si ritira «di nuovo sul monte, lui da solo».
Ecco, vorrei provare a mettere sullo sfondo di questa dialettica “Presenza-Assenza” l’ammonimento di Paolo di ricordarci della «speranza a cui siamo stati chiamati».
Questo richiamo alla Speranza fa da parallelo alla raccomandazione di Pietro alla sua comunità: «Non vi sgomentate, né vi turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi». (I Pt.3,14-15)
Evidentemente questo richiamo alla Speranza non è un optional all’interno del messaggio cristiano, né una consolazione distrattiva nel discorso eucaristico/messianico del Regno.
Pane e Speranza, Convivialità e Attesa, Regno e Futuro sono realtà che si compenetrano e si fecondano a vicenda, sì che il pane della convivialità dà consistenza alla speranzosa e vigilante attesa nella costruzione del regno futuro. Là dove saltano le categorie dell’effimera e immediata efficienza cui la tecnica ha piegato le nostre coscienze per restituirci ai grandi orizzonti di una umanità riconciliata nella condivisione gioiosa delle cose più che nella solitaria fruizione vorace dei beni.
Purtroppo dobbiamo lamentare questo cambio di residenza della Speranza cristiana che dai bisogni reali della vita è emigrata nei bisogni artificialmente indotti dal mercato. Abbiamo interiorizzato un tipo di cultura che ci porta a pensare, sentire e avere comportamenti funzionali alle convenienze del momento più che alle necessità del futuro. Per cui si rende necessaria un’opera di trapianto: reinserire la Grande Speranza nella materialità (la fame) dei grandi bisogni.
Il 9 ottobre del 1936, in un convegno che si teneva a Pechino, Theilard de Chardin ebbe a dire: «Penso che il Mondo non si convertirà alle speranze celesti del Cristianesimo se prima il Cristianesimo non si converte (per divinizzarle) alle speranze della Terra».
E non molto più tardi il grande teologo Moltmann scriveva: «Poiché nelle chiese veniva proclamato un dio senza speranza, i poveri andarono a trovare speranze senza Dio».
Ecco, noi sappiamo che la speranza è il moto di fondo dell'uomo; l'uomo colloca continuamente nel futuro la propria verità, la propria pienezza, perché è l'unico essere che non coincide con sé, non può ripiegarsi su di sé in una equazione tranquilla: il suo essere e il suo non essere coabitano in una matrimonio non facilmente gestibile. Così come la “Sua Presenza” e la “Sua Assenza”!
Quel “tutto solo” è una indicazione potente del fatto che Gesù, il Cristo, è sempre al di là dei perimetri in cui noi lo vogliamo costringere. La sua presenza non sarà mai esaustiva, così come la sua assenza non sarà mai vuota.
Il banchetto della condivisione sarà, allora, il “luogo” in cui la speranza riacquisterà la sua giusta concentrazione, la giusta prospettiva, di modo che in noi vengano a dominare non le spinte centripete dell’egoismo, ma quelle centrifughe dell’amore che va sempre nei luoghi dove Gesù è solo, dove l’uomo è solo.
Una speranza senza confini «quella ribellione, scrive Gustavo Esteva allievo di Illich, che rifiuta il conformismo e la sconfitta, una Speranza che si chiama anche dignità, una patria senza nazionalità, un arcobaleno che è anche un ponte, il mormorio del cuore, la ribelle irriverenza che si prende gioco di frontiere, dogane e guerre».
Aldo Antonelli



Sabato 25 Luglio,2015 Ore: 16:37
 
 
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