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www.ildialogo.org "Dalla competizione all'impegno comune".,di Mario Mariotti

"Dalla competizione all'impegno comune".

di Mario Mariotti

Quando io facevo scuola, sono un insegnante elementare oggi in pensione, il momento più difficile del mio lavoro, quello che mi creava tensione, paura di sbagliare, problemi di coscienza, era quello della valutazione, del giudizio sul prodotto del lavoro degli scolari che mi erano stati affidati (scrivo così perché l'aggettivo "miei" non mi piace). Quando i risultati erano scarsi, era mio compito indagare sulle cause, per cercare dl superarle e rimediare. Una causa era sicuramente la mia incompetenza, la mia incapacità di trovare il linguaggio giusto, e gli strumenti adatti per attivare il processo dell'apprendimento; una seconda causa erano le differenze culturali ed economiche delle famiglie di provenienza, che erano spesso rilevanti; ed infine c'era la terza causa, quella più significativa e determinante, quella ontologica: ognuno di noi è diverso dagli altri; la natura è estremamente ingiusta nella distribuzione dei talenti personali ci sono quelli pieni di doti e qualità, e ci sono anche quelli le cui capacità sono molto limitate. Si va dal superdotato all'ipodotato in rapporto all'apprendimento, e ci sono delle differenze quasi irreversibili, dei limiti suscettibili di spostamenti minimi.
Io mi sforzavo di prendere come priorità la valutazione dell'impegno del soggetto in difficoltà; davo rilievo ai progressi anche minimi; cercavo dei settori e delle esperienze che permettessero anche a lui di esprimersi e di sperimentare, delle gratificazioni. Ma la realtà presenta la propria durezza, la propria intrinseca crudeltà e ingiustizia. Io mi mettevo nei panni del bambino che vedeva il compagno imparare velocemente e senza nessuna difficoltà, quello che lui stesso non riusciva a mettere in memoria, a capire, ad esprimere, e mi caricavo della sua sofferenza, che è particolarmente significativa nel primo anno di frequenza, quando i bambini passano dai disegni al leggere e scrivere. La mia classe era a tempo pieno, l'altra insegnante era più matura, più sensibile e più competente di me; vivevamo entrambi lo stesso spirito e scala di valori, lei era abilissima nel mettere in atto delle esperienze che riuscivano a coinvolge re l'espressività di tutti; ma,alla fine, l'omogeneità, le pari opportunità restavano utopia.
Ed allora qui si arriva al nocciolo del problema: perché il Creatore, perché Dio, presunto buono, onnipotente e giusto, è così ingiusto e direi anche crudele nella distribuzione dei suoi doni fra tutte le sue creature? Le ipotesi sono solo due: o Lui ha creato un vero e proprio casino, dato che la natura è basata sulla competizione, ed il più forte prevale sul più debole, gli scarti vengono buttati, la vita degli uni implica la morte degli altri, e qui la natura rivela la sua affinità col nazismo, o Lui, Padre buono ma non onnipotente, sta ancora lavorando, la creazione è un enorme cantiere per costruire il Regno, gli strumenti per costruirlo siamo noi, ed il criterio di costruzione deve essere la comunità, la complementarità delle differenze, la collaborazione fra i diversi, la cooperazione fra loro, la messa in comune dei frutti dei talenti individuali per la crescita collettiva, per il bene comune.
La mia esperienza di insegnante che mentre cercava di educare, veniva educato dall'esperienza stessa era una ricerca continua per mettere a punto e dare concretezza alla seconda ipotesi. Siccome nel rapporto educativo uno trasmette quello che è lui stesso, se lui stesso è una ripetizione se è la fotocopia della cultura dominante, se e una bottiglia di Coca Cola, povero lui stesso, ma ancora più poveri e disgraziati quelli che devono prendere dal modello, da lui!
E siccome, perché ci sia educazione, ci vogliono i due momenti, entrambi fondamentali, della presa di coscienza del “dove siamo” e del progetto per trasformare in positivo il "dove siamo", cioè il “dove vogliamo andare” ecco che la classe rappresentava in piccolo il mondo nel "dove siamo", presenza di differenze enormi, ed il progetto era quello della seconda ipotesi: passare da una cultura della competizione a quella di un impegno comune per il bene comune.
Il discorso della mia classe vale per lei, per la società, per la cultura del mondo intero. Oggi, in. questa cultura, non hanno avversari i dogmi del capitalismo del mercato e della competizione.
Questo é il "dove siamo", e in questo dove siamo viene negata, strutturalmente, la solidarietà, la fraternità, la stessa umanità. La irrazionalità più evidente riguarda il dogma della competizione, della competitività, perché se uno imposta la società e l'economia su di essa, inevitabilmente si avranno i vincitori ed i perdenti, e questi ultimi si vedranno negata la fruizione di vari diritti umani fondamentali, primo dei quali quello al lavoro.
Poi c'è il mercato, che funzionerebbe se lo scambio fosse fra soggetti a pari condizioni siccome, però, ci sono i poveri e i ricchi, i primi si devono adeguare alle condizioni imposte dai secondi, perché questi ultimi possono rifiutare lo scambiò e i primi no.
Infine c'è il capitalismo, il "Beati i ricchi", l'idolatria di mammona, che mette in condizione chi ha di avere sempre di più, e chi non ha di perdere anche quel poco che ha. Questo nostro "dove siamo", che si è ormai g1oblizzato a livello planetario, e il cancro che produce tutta la violenza, le ingiustizie blasfeme, le guerre, il terrorismo, che caratterizzano il nostro momento storico.
Il "dove dobbiamo andare" era il lavoro che cercavo di mettere a punto con gli scolari, che costituirebbero la potenzialità del cambiamento positivo offerta al mondo dalle nuove generazioni, e che invece, nella maggior parte dei casi noi trasformiamo, scuola, famiglia, religione e informazione in squallide fotocopie dei modelli culturali americani. Se noi ci affidiamo alla competizione, il destino degli scolari in difficoltà è già segnato, e già emergono chi è in grado di strumentalizzare e chi è destinato ad essere guidato. Abbiamo lo specchio della nostra società. Nella mia esperienza invece i più bravi mi aiutavano per far crescere i meno bravi; nessuno doveva umiliare nessuno; tutti i disegni erano, anche se diversi belli. Per questo il problema più urgente di questi nostri schifosi tempi è quello pedagogico; bisogna cambiare radicalmente la nostra cultura, e quindi la nostra scuola, l'informazione, la stessa religione. Io penso che nel disegno di Dio non ci sia la competizione e la sofferenza e l'umiliazione dei perdenti, degli scarti, dei non competitivi.
Siccome la sofferenza c'è, ed è enorme, e sembra quasi disperata, questo significa che anche Dio sta soffrendo, e che la creazione è ancora in atto, e va portata a compimento. Cultura del necessario, rispetto del miracolo della Vita, di ogni vita; economia di comunione nella logica della famiglia, dove ognuno dà quello che può dare, riceve il necessario e la gioia, e gli ultimi sono al primo posto. Questo è il "dove dobbiamo andare", il progetto di Dio per noi che ha bisogno di noi per potersi realizzare, perché noi siamo le mani del Suo amore per noi.
Mario Mariotti



Venerdì 20 Marzo,2015 Ore: 21:56
 
 
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