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www.ildialogo.org Una rilettura di San Francesco,di Mario Mariotti

Una rilettura di San Francesco

di Mario Mariotti

Più passa il tempo e più mi trovo solo. Mi sento di essere solo, ma spero proprio, sono sicuro di non esserlo. La mia rinascita anche se vecchio mi porta a rileggere tutte le realtà con occhi nuovi: il parto dell’uomo nuovo non è ancora compiuto, la ricerca continua; mi sa che l’uomo nuovo non ancora nuovo fra poco contemplerà l’erba dalla parte delle radici. Comunque, in questa occasione, provo a formalizzare la mia rilettura di San Francesco alla luce di quella teologia dell’Incarnazione cui è giunta la mia ricerca e che mi ha dato gli occhi nuovi.

Prima cosa: Francesco diceva che bisognava prendere il Vangelo alla lettera, “sine glossa” e cercava di farlo. Secondo me questo non va, perché a volte esso Vangelo è ispirato da Dio, ma altre volte è frutto della cultura religiosa delle comunità di cui esso è espressione. Il criterio per capire è l’indicazione del Signore del servizio all’uomo e non a Dio, dato che Dio ama l’uomo attraverso l’uomo stesso, che è corpo di Lui, ed è figlio e non suddito, e tantomeno servo.

Poi lui diceva, e cercava di farlo, di porsi alla sequela del Signore, di cercare di imitarlo in tutto ciò che è possibile da parte dell’uomo. In questo, per me, non è riuscito, perché ancora prigioniero di una visione religiosa, non laica, di Lui. Il concetto di povertà e la prassi della mortificazione della carne, del corpo, che sarebbe la causa del peccato, in Francesco risentono della visione religiosa che San Paolo dà del Signore; e questo, per me, non funziona, perché la povertà di Gesù non è miseria e mortificazione del corpo, ma è cultura del necessario e valorizzazione del corpo, strumento necessario all’incarnazione dello Spirito. Anche il voto di castità, perciò, per me, non ha senso; se gli uomini seguissero questa indicazione si estinguerebbe il genere umano, prima che la creazione si compisse nel Regno. In quanto poi alla imitazione del Signore nella condanna degli scribi e dei farisei, cioè della casta sacerdotale, e quindi del concetto religioso di Dio, non sarà neppure il caso di parlarne. Se Francesco avesse imitato il Signore in questo, secondo la gerarchia, avrebbe fatto la Sua stessa fine, con la variante della croce trasformata in rogo, in un bel rogo alla Giordano Bruno; e lui, invece che santo, sarebbe stato qualificato come eretico bestemmiatore! Ancora: Francesco voleva imitare il Signore, ma non aveva ancora preso coscienza del fatto che, quando lui stesso amava, serviva e condivideva, lui era il Signore risorto che operava nel mondo. Egli è ancora prigioniero della concezione religiosa di Dio, della preghiera, dei miracoli, della casta sacerdotale mediatrice fra l’uomo e Dio, e pensa ancora di essere separato da Lui. Vede la nostra esperienza umana, e quindi il mondo, come un periodo di prova per vagliarci se siamo degni di entrare nella nostra vera patria, l’Alto dei Cieli. Umiltà, obbedienza, rassegnazione, accettazione di tutto quanto succede: ecco le virtù che santificherebbero la persona, ma che riescono purtroppo a mandare l’Incarnazione, la trasformazione positiva dell’esistente, in cassa-integrazione per l’eternità. Lui vede e canta la bellezza del creato, ma io non so se ne riesce a cogliere gli aspetti negativi, crudeli, terribili, e se li consideri tutti quanti inclusi nella volontà di Dio. Probabilmente vede il creato come un’opera compiuta, ma per il sottoscritto non è così, e penso che anche per il Signore non sia così, perché allora avremmo un Dio equiparabile ad un sovrano assoluto nella logica del potere di questo mondo, e non il Padre che ci ama di amore incondizionato come ci ha rivelato il Signore, e come ci viene esemplificato nella parabola del Figliol prodigo.

Francesco condanna la ricchezza e se ne libera, liberando se stesso dai lacci di mammona, ma non può dire che essa nega il progetto di Dio, che essa bestemmia Dio, perché la casta sacerdotale è ricca e potente, e gli farebbe fare la brutta fine cui ho accennato nelle righe precedenti.

La logica che ne consegue è che si può vivere il cristianesimo e contemporaneamente vivere la ricchezza: cioè che ci possono essere due modi di vivere il cristianesimo e , cioè ancora che è possibile far convivere Dio e mammona dentro a se stessi. Questa è anche la triste esperienza che sta vivendo oggi papa Francesco, che soggettivamente vorrebbe essere solo vescovo di Roma, ma non può perché è anche capo di uno Stato che lui sa bene essere una bestemmia del Vangelo, ma che va maneggiato con cura, per non finire anticipatamente a fare due chiacchiere col Santo, di cui ha preso il nome, in paradiso. Provo ad avviarmi alla conclusione. Il progetto dell’incarnazione dello Spirito, di cui Gesù è paradigma, ha come scopo il compimento della creazione nel Regno, che è questo nostro mondo epurato dall’ingiustizia, dalla violenza, dalle differenze blasfeme fra i primi e gli ultimi, e dalle due condizioni maligne che generano il negativo: la ricchezza e la religione, la prima perché è omissione di condivisione, e la seconda perché ci aliena dalla nostra responsabilità di mani di Dio necessarie a Lui per fare il mondo in cui tutti abbiano il necessario e la gioia, e la sofferenza non ci sia più. In questo quadro, sempre secondo me, come può essere collocato San Francesco? Di lui si salvano la sensibilità per il miracolo della vita, il sentirsi parte e non centro del creato, il rispetto per le piccole vite, dato che non mangiava carne, e infine e soprattutto la sua trasparenza alla compassione per la sofferenza dei poveri, segno della presenza dello Spirito, e qualità determinante per arrivare ad esprimersi come mano di Dio, del Suo amore per noi. Se io dovessi dire, nella situazione di oggi, qual è la qualità più assente, e al tempo stesso più necessaria per poter sperare in una evoluzione positiva del mondo attuale, io metterei al primo posto proprio la compassione, il patire insieme, il farsi carico della situazione dell’altro, il mettersi dalla parte del povero, del sofferente, dell’escluso.

Essa, se fosse stata presente, avrebbe impedito fra l’altro, che anche di San Francesco venisse fatta una religione, e che saltassero fuori coloro che ci hanno e ci stanno mangiando sopra; che venisse rifiutato come modello e pregato come santo intercessore di grazie e miracoli.

Venendo a lui, il suo rinunciare al mondo per conoscere, imitare, amare Dio lo colloca, secondo la mia sensibilità, fra coloro che Dio non lo hanno conosciuto; la sua compassione per la sofferenza dei poveri e degli altri viventi invece lo colloca fra coloro che Dio, pur non conoscendolo, lo hanno vissuto, fra coloro che gli hanno dato vita; lo pone fra coloro che sono le mani dell’amore di Dio per noi, che può arrivare a noi solo attraverso di noi. Questa rilettura, per essere compresa, va inquadrata in quella che la mia ricerca definisce teologia dell’Incarnazione. Dio è Spirito-Amore ed è Uno, e vive nel profondo di noi stessi. Quando l’Amore diventa Amare, il divino è umano e l’umano divino. Quando noi amiamo e condividiamo, è Lui che opera in noi, che siamo, sapendolo o ignorandolo, Suo corpo, nel momento in cui, amando e condividendo, Lo incarniamo nella concretezza della nostra esperienza quotidiana. La conoscenza diventa accessoria; è la prassi che gli dà vita ed operatività nel mondo, cantiere di una creazione ancora incompiuta. Noi, Corpus Domini, mani del Suo amore, siamo necessari perché Lui possa prendere vita nel mondo e trasformarlo secondo Amore, secondo Se stesso.

Mario Mariotti



Sabato 08 Novembre,2014 Ore: 17:50
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Alfredo Stirati Montelanico 09/11/2014 14.41
Titolo:San Francesco redivivo
Condivido le critiche che vengono mosse ad alcune convinzioni professate da Francesco, ma non bisogna dimenticare l'epoca in cui visse. A quei tempi, il suo operato era opportuno e si mostrava in linea con i movimenti pauperistici diffusi in tutta Eurppa. Se tornasse a vivere oggi, di certo modificherebbe molti comportamenti od affermazioni sostenuti a suo tempo.. Non possiamo insomma, col senno di poi e con le mutate condizioni storiche, esprimere giudizi negativi su epoche o personaggi del passato.

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