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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Il senso profondo del Natale,di Antonino Drago

Il senso profondo del Natale

di Antonino Drago

Cari amici e care amiche, permettetemi di inviare un messaggio di Natale un po' lungo (otto pagine) ma che vuole esprimere il senso profondo di questo evento bimillenario.
Partecipando ad un gruppo di aprofondimento del Vangelo, non mi sono trovato in consonanza con altri fratelli e mi sono chiesto il perché; ho riconosciuto che io seguivo l'insegnamento di Lanza del Vasto sulla nonviolenza; allora ho cercato di esplicitarlo fino in fondo.
Auguri di buon Natale in spirito e verità
Antonino Drago
PERCHE’ SONO VENUTO?”
Questo scritto comprende quattro brani. I primi tre brevi sono traduzioni parziali di Lanza del Vasto: Commentaire à l’Evangile, Denoël, Paris, 1949, pp. 183-189 e pp. 190-209 (una loro prima versione è uscita su Notiziario MIR n. 80 Aprile e n. 81 Maggio 1977) e una precisazione dei primi; sono tutti testi di più di cinquant’anni fa, ma che conservano la loro originalità nell’andare in profondo nel comprendere le parole evangeliche. L’ultimo è una mia aggiunta. Una prima lettura può andare subito all’ultimo per capire dove vado a parare: il senso più profondo della fede cristiana, e infine il legame tra “Non Uccidere” e nonviolenza.
ABOLIRE LA LEGGE O PERFEZIONARLA?
“Non crediate che io sia venuto per abolire la Legge o i Profeti; sono venuto non per abolire, ma per portarla a compimento1. Perché, in verità vi dico, che finché il cielo e la terra non passeranno, non perirà neppure uno iota o un apice della legge, prima che tutto sia adempiuto. Chi dunque violerà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli; chi invece li metterà in pratica e li insegnerà, sarà chiamato grande nel regno dei cieli” (Mt. 5, 17)
E’ utile cercare di quale legge si tratta. Se sfogliamo la Bibbia, ci incontriamo con il libro Levitico; se lo leggiamo punto per punto, dall’inizio alla fine, siamo obbligati a constatare questo: che nemmeno uno iota e nemmeno un apice è rimasto valido per coloro che hanno seguito Cristo.
La legge data da Mosé al suo popolo si divide in tre parti. La prima è la Legge Sacra, la Legge del Sacrifìcio, le prescrizioni rituali per il sacrificio degli animali, della farina, dell’olio e del sale.
La seconda parte è quella, che si potrebbe chiamare la Legge della Purezza: è una serie di puntigliose prescrizioni relative alla purezza personale, la maniera di lavarsi dalle sporcizie, sia corporali che invisibili. E’ sporco anche quello che ha un contatto con una persona o con un animale dichiarati impuri; ed è impuro chi ha compiuto un atto, anche involontario, dichiarato impuro. Per lavarsi occorrono numerose abluzioni, ritiri e sacrifici al Tempio.
La terza parte riguarda i Comandamenti morali. Sono indicati i diversi crimini: incesto, adulterio, furto, menzogna, sodomia, bestialità, anche certe indelicatezze o durezze di cuore.
Di tutto questo formidabile edificio, che per secoli è stato mantenuto da un popolo a prezzo di sforzi e privazioni, non è rimasto di più di quello che è rimasto del tempio di Gerusalemme, pietra su pietra (anche se i Cristiani e molti altri popoli mantengono i comandamenti morali e anche se alcuni israeliti mantengono tutte le prescrizioni della intera legge).
Bisogna dire che il primo a dare il segnale della grande demolizione è stato proprio Gesù Cristo. Una buona parte del suo insegnamento è la negazione con le parole e con i fatti dei comandamenti di Mosé, piccoli e grandi. Tra tutti i profeti ebrei, Gesù si distingue in questo: egli lancia fulmini non contro i peccatori, ma contro i puri, o quelli che si dicono tali. Questo non vuol dire che egli permette il peccato e tanto meno che egli abbia indulgenza verso di esso, perché non manca di minacciare la giustizia divina su quelli che non osservano il loro dovere; ma insiste poco su queste minacce, e molto di più sul perdono. Allora come si spiega il brano che abbiamo letto?
Se non ostante quanto detto prima a proposito della Legge non abbiamo molto chiaro il senso del precetto e della profezia, basta continuare la lettura: “Perché vi dico che se la vostra giustizia non sarà maggiore di quella degli Scribi e dei Farisei non entrerete nel Regno dei cieli. Avete udito che fu detto agli antichi: Non uccidere, e chi ucciderà sarà sottoposto al giudizio. Io invece dico a voi: Chiunque si adira contro il suo fratello, merita di essere giudicato. E chi dirà al suo fratello “Raca” sarà sottoposto al sinedrio. E chi gli dirà “Stolto” sarà condannato al fuoco della Geenna. Se dunque tu, nel fare la tua offerta sull’altare, ti ricordi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare e va prima a riconciliarti col tuo fratello; poi ritorna a fare l’offerta”.
Ecco allora il senso [che Gesù dà all’osservanza] del “più piccolo dei comandamenti”: che sia osservato nel minimo dettaglio [interiore]. “Non sono le cose che entrano per la bocca che sporcano l’uomo sono le cose che escono dalla bocca dell’uomo”, cioè i cattivi pensieri che riempiono il cuore, cioè le maldicenze, cioè le frasi inutili, questo sporca l’uomo. Non sono i contatti con quelle cose che sono giudicate sporche che sporcano l’uomo; è l’agitazione interna che sporca l’uomo, è la collera che sporca l’uomo, è la lussuria che sporca l’uomo, è l’avidità, l’avarizia.
Ed allora ecco il Compimento della Legge: “Gli Antichi vi hanno detto, ed io vi dico...”. Tutto il seguito, o una buona parte del seguito del Sermone della Montagna sarà una enunciazione di questo compimento della Legge. Le osservanze esterne non valgono da sole. Purificatevi nel di dentro, agite bene e con purezza nel segreto, perché è nel segreto che il Padre vostro vi vede. Ciò che è glorioso davanti agli uomini non vale niente davanti a Dio. Gli atti importanti e utili agli occhi degli altri non hanno valore tra le cose invisibili.
Il compimento della Legge non è altro che il compimento della Legge in profondità, la sua applicazione al di dentro in spirito e in verità. Il compimento della Legge non è la promulgazione di una nuova lista di azioni permesse e proibite, perché gli stessi atti che ieri erano proibiti in nome dell’Eterno lo sono e lo saranno sempre; e tutte le azioni lecite e obbligatorie dall’inizio dei tempi lo resteranno fino a che tutto sia compiuto, fino a che arrivi il regno dove non ci sarà più bisogno della legge, ma dove tutto si farà per grazia e per amore. Il compimento della legge non è una nuova lista di prescrizioni, un rituale più meticoloso e più scrupoloso di quello degli Antichi, ma il ritorno su sé stessi, il che è la ragione d’essere della Legge. Il compimento della Legge Morale sarà una apertura di cuore verso gli altri senza secondi pensieri, senza calcoli e senza reticenza. ll compimento della Legge di Purificazione sarà un assoluto controllo di sé, della cupidigia dei sensi, delle curiosità dell’intelletto, della sfrenatezza dell’immaginazione e della lingua (quel timone che potrebbe portare l’intera barca alla perdizione), il rifiuto delle misture, delle menzogne e degli accomodamenti.
“AMATE I VOSTRI NEMICI”, OVVERO DELLA CARITA’
Il legame interiore della predicazione del Cristo sfugge a chi legge rapidamente il Vangelo; invece c’è un filo preciso che lega tutto. Possiamo tracciarlo, per esempio, dal discorso delle Beatitudini fino al punto dove siamo arrivati.
Le Beatitudini esprimono il ribaltamento di tutta la nostra natura per entrare in una nuova vita: beati i poveri, beati quelli che piangono, beati i perseguitati, beati i disgraziati, beati quelli che il mondo dice disgraziati. In continuità con questo pensiero, ecco le frasi sul sale della terra, sul sale del dolore, sul sacrificio necessario per entrare nella via spirituale. Poi l’annuncio della luce: questa via è la via della luce e questa luce deve essere diffusa, non è fatta per essere messa sotto il moggio, ma per rischiarare gli uomini e per dare gloria a Dio. E questa luce viene dalla Nuova Legge.
La nuova legge non è affatto nuova; come potrebbe essere nuova una cosa eterna? Ogni volta che una cosa eterna viene affermata si presenta a noi con la folgorazione della novità assoluta, ci dà lo choc che ci danno le grandi sorprese. Ma, a differenza delle sorprese ordinarie che, dopo un poco portano alla abitudine e smettono di sorprenderci, le novità eterne ci colpiscono sempre più in profondo tanto più le penetriamo ed esse ci penetrano.
E il Cristo ha detto: Non sono venuto ad abolire la Legge ma per portarla a compimento. E poi l’enunciazione della Legge Nuova, dell’eterna nuova legge: Gli Antichi vi hanno detto... E io vi dico... Il Completamento della Legge non è che un approfondimento della Legge. Vi hanno detto: “Tu non ucciderai, e io vi dico che se voi entrerete in collera con il vostro fratello, voi siete già passibili di condanna come se l’aveste ucciso….”
Qui arriviamo a un punto culminante, se non il punto culminante della Nuova Legge:
Voi avete udito che è stato detto: occhio per occhio e dente per dente. Ma io, io vi dico di non resistere al cattivo. Se qualcuno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, presentagli l’altra…. Vi è stato detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: Amate i vostri nemici, fate del bene due volte di più a quelli che vi odiano e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; perché Egli fa alzare il sole sui buoni e sui cattivi, fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Se voi amate quelli che vi amano, quale ricompensa meritate? Non fanno forse lo stesso i pubblicani? E se voi salutate solo i vostri fratelli, che cosa fate di più? I Pagani non fanno altrettanto? Siate perfetti dunque come è perfetto il Padre Celeste” (Mt 5 21-48).
Il tutto corrisponde perfettamente a (Lc 6, 27-36): “Ma io dico a voi che mi ascoltate: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano,…”
Eccoci giunti al nucleo della Nuova Legge, così nuova per noi che si può dire che non è stata intesa da duemila anni che è stata promulgata.
Chiediamoci per prima cosa: ma che cos’è quest’amore che non è l’unione degli sposi, nè l’ardore degli amanti, nè l’accordo degli amici, né il piacere del vicinato, ma è l’amore del prossimo, cioè di non importa chi, di quello che si trova là? Questo amore che non è una dolce e confortante effusione di cuore, nè scambio di benefici, ma dono e abbandono totale senza calcolo e senza ripensamento.
Ma innanzitutto, c’è un nome per esso? Sì, ed è un nome divinamente bello, perché si chiama Carità. E se questo nome, che significa Grazia, ha perso il suo sale, con che cosa si salerà, con quale sale di fuoco? Comunemente oggi si dice “fare la carità”; il che spesso non ha nessun rapporto con la Carità, come il “fare all’amore” non ha molti rapporti con l’Amore, o “fare dello spirito” con lo Spirito. No, la Carità non è una cosa che si può fare, essa è il soffio stesso di Dio.
La Carità è infinita, infinitamente buona come Dio stesso, il che dimostra che essa viene da Dio, che è lo Spirito di Dio. Si rivolge ugualmente a ciascuno senza guardare alle persone, così come fa la giustizia; ma quant’è meglio della giustizia! Perché la giustizia è il “minor male”, mentre invece la Carità è il bene supremo; perché la giustizia rende occhio per occhio e dente per dente, rende il male per il male al fine di ottenere un equilibrio nel male e di impedire sviluppi incontrollati; mentre invece la Carità rende il bene per il bene e il bene per il male; e là dove le si oppone la malizia, essa raddoppia l’ardore per compensarla e così cercare di bruciare o addirittura fondere questa barriera. Allora è esatto dite che la Carità è la sovrabbondanza della giustizia e il completamento della legge; e non sono io a dirlo, ma il Cristo stesso quando dice “Se la vostra giustizia non supera quella dei Farisei…” e “se voi amate quelli che vi amano e fate del bene perché ve lo si renda, che avete fatto di più?
La Carità è ciò che san Giacomo chiama la Legge della Libertà. Se io amo, forse è la Legge che impedisce di uccidere, di rubare, di ingannare, di insultare colui che amo? Forse è la Legge che mi forza a rendergli quello che li debbo? Se amo non ho bisogno di ricordare la Legge e le sue costrizioni e io non la violo né l’abolisco, al contrario la perfeziono, colmo la sua misura e la supero. Però non agisco così come mi viene, nè mi getto nel disordine: seguo liberamente la nuova Legge. E’ il carattere infinito di quest’amore, che fa sì che esso, invece di imprigionarmi, mi liberi; perché fino a che l’amore resta limitato, è un legame, un attaccamento, e cioè un impedimento alla libertà.
Affinché la forza del grande amore mi faccia veramente crescere, esso deve venire dal fondo e dal centro di me; per questo la carità alla sua origine è volontaria. E’ un buon volere; piuttosto che un buon sentimento. Anzi, è anche un volere che va contro tutti i miei sentimenti: contro le mie ripugnanze irragionevoli, contro le mie preferenze ingiuste, contro i miei desideri e i miei piaceri, contro i miei interessi e contro le mie ammirazioni.
E’ la conversione (o ribaltamento di tutte le cose) annunciata e predicata in ogni pagina del Vangelo: “Brucerai quello che adoravi, adorerai quello che bruciavi”, si potrebbe dire di ogni convertito; odierai quello che amavi, amerai quello che odiavi e anche quelli che ti odiano, i tuoi nemici.
[Perché] C’è un uomo più difficile da amare del povero o lo straniero; è il nemico, quello che mi attacca e mi strapazza; perché se l’amo rischio di rovinarmi, mi espongo al ridicolo e forse anche alla morte. Ma l’uomo che giunge a quest’amore ha rotto la sua ultima scorza e si avvicina alla perfezione del Padre Celeste che dà la pioggia e il sole agli ingrati come li dà ai giusti.(s.a.)
Allora la Carità è un amore difficile e pericoloso. Per svilupparsi ha bisogno della sofferenza, così come l’altro amore [di attrazione e di attaccamento] ha bisogno del benessere. Esige un controllo dei sensi maggiori di quello di qualsiasi ascesi, è un fuoco purificante ed un sacrificio perpetuo: “Amo più la Carità che il Sacrificio” ha detto il Signore; questo perché la Carità è il sacrificio più vero e più valido.
LA PRECISAZIONE DI LANZA DEL VASTO: IL “NON UCCIDERE”
Qualche anno dopo, un suo scritto (del 1958, in occasione dalla lotta della Comunità contro la bomba nucleare francese, la prima lotta di questo tipo in Europa2) chiarisce perché ha scritto che “la Nuova Legge [risulta] così nuova che si può dire che non è stata intesa da duemila anni che è stata promulgata”. Egli dà grande enfasi, anche tipografica, alla parola della Legge antica, che è quella della legge di Dio, non di Abramo:
NON UCCIDERE / che fu scritto su una tavola di pietra e senza margini affinché non si potessero agganciare commenti (p. 81).
Questa è un’affermazione secca, che non ammette tentennamenti. Ce lo confermano due testi successivi. Il primo è nella sua opera fondamentale di teoria religioso-politica; parla di “Comandamento Assoluto” nel senso che esso non può essere relativo a particolari tempi storici, circostanze sociali, società, popoli; soprattutto non è relativo al solo tempo di pace:
Le giustificazioni religiose della guerra mantengono un forte gusto pagano o barbaro…/ Le giustificazioni della guerra per cause di giustizia sono false. I “Dio lo vuole!” e i “Gott mit Uns” hanno ricevuto delle smentite esemplari perché Dio non ama affatto che si disponga così della sua volontà e che ci si appropri della sua preferenza./ La volontà di Dio si è espressa con dei Comandamenti Assoluti. Colui che brandisce la spada per fare la Volontà di Dio dovrebbe ricordarsi il Comandamento: “Tu non ucciderai”…/ Se [poi, in te] la volontà di Dio ha girato come il vento, se per una [tua] ispirazione speciale essa ti ha dettato di fare, eccezionalmente, il contrario dei Suoi Comandamenti Assoluti, questo è un fatto inaudito del quale devi darci le prove irrefutabili3.
Il secondo è in un articolo successivo, intitolato proprio “Tu ne tueras pas”4, laddove, per indicare il senso della Nuova Legge, ne considera le conseguenze per la società. Qui egli presenta un parallelo, tra la scoperta rivoluzionaria della geometria non euclidea nella storia della matematica e la scoperta della nonviolenza in politica; ne conclude:
Sarebbe tempo, analogamente, di riconsiderare quello che [oggi] costituisce il postulato di ogni politica: che il cammino più corto verso lo scopo (che è l’ordine, la giustizia e la pace) è di sopprimere il nemico. Altrimenti detto: che lo Stato ha il diritto di uccidere… Se [invece] al posto degli oscuri calcoli della paura, della avidità e dell’orgoglio, la prima pietra [della costruzione] delle società umane fosse il Comandamento divino: “Tu non ucciderai”, divino, cioè assoluto e senza eccezioni, lo vediamo [allora] abbastanza chiaramente quale rinnovamento rivoluzionario ne risulterebbe? (pp. 49-50)
LE CONSEGUENZE SOCIALI E SPIRITUALI DELLA NUOVA LEGGE
In effetti di tutta la Legge antica data da Dio Padre, cioè di tutti i dieci comandamenti (o meglio: le dieci parole) uno è stato malinteso dagli uomini (o forse essi hanno fatto finta di non capire). Questo comandamento non è il “Non dire falsa testimonianza”, o il “Non rubare”, o il “Non commettere adulterio”, le cui inosservanze danno luogo a scontri e conseguenze negative con gli interessati e con la organizzazione pubblica; ma è il “Non uccidere”: gli si dà un significato molto forte quando riguarda una persona singola, ma gli si dà un significato esattamente opposto, che bisogna dimenticarlo, quando riguarda un collettivo; il quale allora scarica le conseguenze negative dell’uccidere su “gli altri”, “i cattivi”, “i nemici che impersonano il Male”. Infatti in tempo di pace quel comandamento vale strettamente, invece in tempo di guerra vengono esaltati ed onorati coloro che uccidono più nemici. In tempo di difesa collettiva, tutta la società, addirittura la stessa organizzazione sociale, è unita nell’opera di uccisione; anche le autorità religiose, accettando sempre ogni guerra dichiarata dal potere politico, benedicono le armi e le armate, chiedendo a Dio la vittoria del proprio Paese al costo dello sterminio dei nemici.
Allora il Figlio di Dio doveva venire per “completare la Legge” non perché il Padre avesse scritto male o insufficientemente sulle tavole di Mosé, ma perché gli uomini dovevano capire che il 5° comandamento del Padre chiedeva ben di più di quello che loro avevano fatto fino ad allora. Infatti Gesù, per dire quale compimento della Legge è venuto a portare, incomincia proprio dal 5° comandamento. E se poi parla anche del “Non commettere adulterio” è perché anche su quel comandamento la legge pubblica aveva introdotto compromessi socialmente più comodi; ma certamente questi compromessi erano di minore importanza rispetto a quello considerato in precedenza. Infatti il brano evangelico prosegue con Gesù che ritorna sul “Non uccidere”; e mentre prima, per far capire la sola direzione dell’impegno, aveva chiesto uno sforzo di contrapposizione: “Odierai… amerai”, ora rincara la dose facendone una condizione minimale: “…che merito avreste…?”.
Tutto questo riceve una grande conferma nel Vangelo stesso. Per presentare Gesù alla folla, S. Giovanni battista dice il perché il Figlio di Dio è venuto in Terra; ma questa frase cruciale non riguarda, come prima, l’obiettivo spirituale di Gesù, ma il risultato della sua venuta per l’umanità: “Ecco colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1, 29, s.a.).
Però qui occorre interpretare la frase, perché altrove nel Vangelo si trova: “… che toglie i peccati del popolo” (Mt 1, 21) e la tradizione cattolica (Messa) dice “… i peccati del mondo”. Le tre versioni pongono la domanda: la (straordinaria, eccezionale, meravigliosa, ecc.) venuta del Figlio di Dio in mezzo all’umanità sulla Terra che cosa ha tolto?
Per prima cosa, chiediamoci il significato di “… che toglie…”. Se quella parola significasse che il suo sacrificio sulla croce è stato così enorme da aver liberato tutti da tutti i peccati, si dovrebbe concluderne che il suo atto non sarebbe ripetibile, né imitabile; a noi, appartenenti all’era del dopo Cristo, resterebbe solo di goderne. Inoltre, se lui avesse già tolto “i peccati del mondo” (come purtroppo si dice durante la Messa), allora dalla sua venuta i peccati non abiterebbero più sulla Terra. Non c’è nulla del Vangelo o degli Atti degli apostoli che fa pensare questo. Se poi questa situazione di assenza dei peccati venisse ristretta (contro l’intenzione di Cristo che certamente si rivolgeva sia ai buoni che ai cattivi) solo a quelli che si fanno battezzare, la situazione di assenza di peccati caratterizzerebbe la Chiesa cattolica, che allora sarebbe perfetta in Terra; così la si credeva ai tempi dello Stato Pontificio, per cui il Papa era proprio Sua Santità in terra. Nessuno oggi ha il coraggio di affermare questo.
Se poi questo “togliere” non è avvenuto una volta sola ma avviene continuamente, allora non resta che interpretare la frase sottintendendo: “… colui che può togliere”, al suo tempo come adesso. Ma allora c’è da capire in quale occasione Lui li toglierebbe. Forse (come suggerisce la dizione “i peccati del suo popolo”) con la confessione di ogni singolo peccatore? Non sarebbe nulla di straordinario; tutte le religioni hanno sempre proposto un sacrificio che purifica il peccatore; non c’era bisogno del Cristo degli ebrei per affermare una frase del genere. Infatti la frase di S. Giovanni non riguarda il peccato di qualche singolo (Gesù non ha mai confessato nessuno), ma quello di un soggetto collettivo; o il popolo, o il mondo, o tutti gli uomini di tutti i tempi.
Allora, tra le due letture, quella usuale al plurale, “i peccati”, e quella al singolare, “il peccato”, resta solo la dizione al singolare, il peccato. La quale però ha senso se si esce dagli astrattismi intellettuali generalizzanti, del tutto estranei al Vangelo e all'ebraismo: “il peccato” non è la somma dei peccati di tutti gli uomini di tutti i tempi, pensata in astratto; piuttosto, esso è il peccato originale, quello per cui Paolo mette in parallelo Adamo (che lo fa) con Cristo (che ce ne libera) (Rm 5, 12-21); e che Agostino può chiamare felix culpa, perché ci ha portato Cristo e la redenzione.
Allora sì che troviamo straordinario, rispetto a quello che le altre religioni hanno sempre fatto in tutti i luoghi, che il Figlio di Dio sia venuto nella storia.
Qui però c'è la difficoltà che oggi al peccato originale non si dà un valore etico personale. E anche il sacramento che rappresenta la sua liberazione, il battesimo, da più di un secolo viene ricevuto in così tenera età che non si sa che senso dargli.
A questo proposito è molto importante la lettura di Lanza del Vasto nel libro che re-interpreta quattro passi della Bibbia (I quattro flagelli, 1959). Qui egli lo intende come inclinazione personale di utilizzare la conoscenza-amore in maniera egoistica (Genesi 3), per lo sfruttamento degli altri; e quindi come peccato posto all'origine delle organizzazioni umane. Infatti questo stornare la conoscenza-amore in conoscenza-sfruttamento, moltiplicato dalle interazioni della vita sociale (preferibilmente sotto copertura di una legge, magari fatta dai più furbi), porta a strutture sociali negative, economiche e di potere. Allora Lanza ricostruisce il percorso di crescita di questa negatività in strutture della società sempre più grandi e potenti; le quali giungono ad opprimere i popoli, fino a diventare dei flagelli sociali e delle dittature (Apocalisse 8 e 13). Con ciò diventa chiaro che cosa significhi il peccato originale: nella società è il peccato strutturale, quello che fanno tutti, buoni e cattivi, onesti e disonesti; perché tutti partecipiamo alle strutture sociali di peccato (Nel 1988 la Sollicitudo rei socialis ha incominciato a dire ciò).
Allora Gesù è venuto a togliere “il peccato” in quanto, con la sua Nuova legge "amate i vostri nemici" ha delegittimato la più importante struttura di peccato, la guerra e poi, in sottordine, quella del divorzio socialmente ammesso; e, in definitiva, tutte le strutture sociali di peccato.
Però, per essere convincente davanti a qualsiasi uomo, egli doveva non aggiungere ulteriori parole nelle tavole della Legge; né doveva creare una ulteriore struttura di potere sociale, superiore a tutte quelle già esistenti, per dimostrare con una lotta distruttiva che poteva vincerle tutte; ma doveva dare l’esempio di un uomo in carne ed ossa che sapesse indicare come amare i propri nemici all’interno di una lotta mortale: una cosa che nell’antichità appariva giustamente incredibile. Perciò egli doveva dimostrare che colui che nella società lotta (ad es. contesta il potere delle istituzioni negative) senza uccidere colui che gli contrappone una condanna a morte (addirittura con la crocifissione), alla fine vince (almeno risorgendo a vita eterna).
Quindi Gesù è venuto per esemplificare come si osserva il 5° comandamento della Legge di Dio Padre all’interno di un conflitto tale da essere indicativo di tutti i possibili conflitti, anche i più grandi (per lui: una struttura politica imperiale mondiale coalizzata con la struttura religiosa millenaria del popolo eletto).
In definitiva, Cristo “ha tolto il peccato del mondo” perché ha dimostrato (perché lui l’ha fatto personalmente) che si può combattere e vincere anche il peccato che sia organizzato a potentissima struttura sociale. Verso l’umanità, che ha la tendenza a diventare nemica di Dio in maniera anche strutturale, il Cristo ha esemplificato come qualunque persona, in qualsiasi regime sociale egli si trovi, possa compiere atti di liberazione analoghi, che rendono l’uomo perfetto come lo è Dio, cioè figlio di Dio.
Questo punto viene confermato da un’altra pagina del Vangelo. Qui parla quella persona che più di tutte ha compartecipato il progetto dello Spirito Santo sulla venuta del Figlio di Dio nella storia umana: Maria. Ella, avendo nel proprio corpo Gesù (= Dio salva), lancia quel grido di lotta nonviolenta che è il Magnificat (“… ha rovesciato i potenti dai troni…”), dettatole dalla certezza che Dio può vincere tutte le istituzioni umane e la storia umana stessa; e che questo potere sta anche in “un’umile ancella”.
Per inciso, perché Cristo presenta la Nuova legge invitando ogni uomo ad “amare il nemico”,dove si può equivocare su “il nemico” in antipatico? Cristo ha spiegato questo insegnamento divino non insistendo sul “nemico” (che per lui non c’è), o puntando il dito sulla sofferenza necessaria), ma ha seguito lo spirito propositivo, non imperativo delle “dieci parole o consigli” di Dio Padre; e quindi ha spiegato il completamento della Legge solo positivamente: rispondere bene per male (quindi ben di più che buone intenzioni o sentimenti, ma secondo la cultura che è tipica degli Ebrei: atti concreti).
Allora il Vangelo è veramente "la buona novella": ci dice che è possibile combattere e vincere, ogni male, anche quello strutturale, financo le strutture dittatoriali, anche quelle psicologiche!
Infatti lo sforzo individuale del cristiano (=seguace, imitatore di Cristo) è quello di combattere conflitti sicuramente minori a quello di Cristo: oltre a combattere i peccati personali (come insegna ogni religione), il cristiano completa questa lotta col combattere anche i peccati strutturali ai quali egli partecipa nella società; dove egli deve, pur combattendoli, non uccide i nemici che li rappresentano; per invece amarli sull’esempio di come Cristo l’ha fatto. Quindi ora ciascuno può liberarsi anche dai peccati strutturali del mondo (è questa visione che S. Paolo esprime in Rm 5; benché usi parole inadeguate, perché come peccato strutturale vede solo la legge romana; infatti dov'è scritta la parola “grazia” o “giustificazione” nei Vangeli?)
E’ la capacità di potersi liberare totalmente che è la “grazia” data dal Figlio di Dio una volta per tutte, a tutti gli uomini, buoni e cattivi. Con ciò tagliamo la testa al toro del dilemma paolino sulla grazia (data a tutti, o secondo preferenze di Dio?), sul quale si può continuare a discutere con i protestanti per secoli, come abbiamo già fatto. E allontana la concezione di un Dio che, per avere un compenso alle offese subite dagli uomini, vuole dal Figlio un sacrificio di morte, per di più umiliante. Come pure allontana il Dio assistenzialista; che (siccome Gesù ci ha assicurato che Lui non ci dà pietre, ma è misericordioso) risponderebbe sempre alle nostre telefonate, con sempre una nuova “grazia”.
Intendendo il Cristianesimo in questo senso, la nonviolenza non è tanto un impegno morale, ma è l’essenza stessa della fede cristiana. In questa concezione, la conversione dell’amare i nemici diventa la parola chiave del Cristianesimo; e quindi la personale conversione dai mali anche strutturali è il vero atto fondativo della fede cristiana.
Perciò il battesimo è l’aver iniziato ad esercitare questa capacità. La quale prosegue con un cammino pedagogico di conversione continua dalle proprie tendenze e dalle istituzioni sociali. Questa è la ricerca del vero Sé, al di là della spontaneità del io e delle costanti pressioni che subisce dalle istituzioni negative. Si noti che la ricerca del Sé riporta la fede cristiana in dialogo con le fedi orientali, cioè le rimette in un rapporto universale con tutte le fedi.
Perciò Lanza del Vasto ha posto sul petto dei suoi seguaci una croce che può salvare la gente del mondo esploso in conflitti: è il grande simbolo della nonviolenza dei cristiani, intesa come sacrificio d’amore (v. le Beatitudini, quarto brano biblico interpretato da Lanza del Vasto come la magna charta della nonviolenza).
Inoltre nel suo commento al voto di ‘Nonviolenza’5 Lanza del Vasto sottolinea un importante parallelo che appartiene alla storia delle grandi religioni; quello tra 1) il “complemento e compimento” che “il Nuovo Testamento porta all’Antico”, il che consiste nell’applicare il “Non uccidere” del vecchio Testamento anche agli scontri collettivi; e 2) le “nuove accezioni che l’epopea di Gandhi ha dato” alla antica ahimsa induista applicata anche all’ambito sociale. Da due millenni Gesù ha già dato una svolta epocale applicando al sociale l’ebraico 5° comandamento; ciò ha rivoluzionato la religione ebraica generando una nuova religione, il Cristianesimo; ma poi anche il Figlio di Dio fu male o poco inteso dal suo seguito storico: la cristianità ha continuato a fare guerre. Però dal XX secolo la applicazione di Gandhi dell’analogo principio indù, l’ahimsa, al sociale, sta completando questa svolta epocale perché sta rivoluzionando la vita politica mondiale (si vedano le tante rivoluzioni nonviolente avvenute nell’ultimo secolo).
Questo processo storico rappresenta, a livello personale, il passaggio dalla subordinarsi ad un comando oggettivo che viene dall’esterno, di non dover uccidere, alla interiorizzazione individuale del non voler uccidere, cioè a motivazione soggettiva della persona che, come diceva prima Lanza del Vasto, compie la Legge in profondità, la applica al di dentro in spirito e in verità”.
Allora ne segue una definizione ebraico-cristiana di nonviolenza (che era troppo forte per il tempo di Lanza e fors’anche per il nostro): la nonviolenza è il“Non uccidere”, diventato un atteggiamento interiore, costante ed universale, senza limitazioni. Infatti il parallelo tra il “non uccidere” e la nonviolenza può essere stretto fino a considerarli lo stesso insegnamento che comporta una stessa logica (quella delle doppie negazioni), ma che è stato semplicemente espresso in due tempi molto diversi e in due culture diverse.
Notiamo che allora tutto il Cristianesimo va ad associarsi intimamente con questa definizione della nonviolenza di tipo gandhiano. Di fatto, Gandhi aveva già compreso ciò, come mostra questa citazione:
Ho attinto molte delle mie convinzioni dalle opere religiose della Giaina, ma anche dagli scritti delle altre grandi religioni. Ho trovato l’identico comando dell’amore puro tanto negli scritti indù che nella Bibbia e nel Corano. Così le mie opinioni sull’Ahimsa [= nonviolenza], le quali sono il risultato dello studio di tutte le religioni del mondo, non dipendono più dall’autorità di un’unica opera. [Ora poi] Esse sono parte della mia vita; se d’un tratto, venissi a scoprire che bisogna interpretare i libri religiosi diversamente da quanto mi è stato insegnato, rimarrei ugualmente fedele alle mie convinzioni circa l’Ahimsa6.
NOTE
1 Fino a poco tempo fa questo verbo veniva tradotto con “perfezionare”, in mood che tutto lo slancio del Vangelo diventasse un messaggio per pochi, al più i religiosi.
2 Raccoglie: “Le problème de la Bombe, ou désintégration logique”, Nouvelles de l’Arche, 8, n. 3 (1959) 36-41 e “Prestige, honneur et bombe”, ibidem, 8, n. 4 (1959) 49-56; poi ripubblicati come brochure:“De la Bombe”; poi dopo incorporati da M. Random in Lanza del Vasto: Che cosa è la non violenza, ), Jaca book, Milano 1978, pp. 75-85.
3 Lanza del Vasto: I Quattro Flagelli, (1959), SEI, Torino, 1996, cap. V, par. 44, che amplia il discorso qui riportato molto in breve.
4 Id.: “Tu ne tueras pas”, Nouvelles de l’Arche, 9, n. 4 (1961) 49-53.
5 Id.: L’arca aveva una vigna per vela (1978), Jaca book, Milano, 1980, p. 164. Ricordo che questo scritto risale al 1952.
6 Citato in R. Fueloep-Miller: Gandhi. Storia di un uomo e di una lotta (1928), Bompiani, Milano, 1930, p. 170 (s.a.).



Lunedì 23 Dicembre,2013 Ore: 21:44
 
 
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