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www.ildialogo.org La croce e il potere,di ALESSANDRO ESPOSITO

La croce e il potere

di ALESSANDRO ESPOSITO

Dal Blog di Micromega

aespositoLe riflessioni che vorrei condividere insieme con le lettrici ed i lettori di MicroMega prendono spunto da un recente studio pubblicato dal professor Giovanni Filoramo, docente di Storia del Cristianesimo e di Storia delle Religioni presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, significativamente intitolato: «La croce e il potere. I cristiani da martiri a persecutori»[1].Il testo costituisce una rilettura approfondita e documentata del secolo che ha cambiato il volto della nascente chiesa cristiana, il IV secolo dell’era volgare, che si aprì con la promulgazione dell’editto di Milano (313) da parte dell’imperatore Costantino, attraverso cui venne sancita la libertà di culto per i cristiani, per chiudersi poi con l’editto di Tessalonica promulgato da Teodosio (380), mediante il quale la linea ortodossa prevalsa in seno al concilio di Nicea (325) e ribadita in seguito dal concilio di Costantinopoli (381) divenne religione ufficiale dell’impero. Nell’analisi dell’autore «la storia del formarsi e dello strutturarsi di questo nuovo tipo di chiesa è strettamente legata alla ricerca di un’ortodossia unitaria (…) Il punto di arrivo di questo secolare processo fu il concilio di Costantinopoli del 381, che fissò il dogma trinitario e impose la fede ortodossa uscita vincente dal concilio come verità dottrinale per tutti i sudditi dell’impero»[2].

Sullo sfondo di questo quadro interpretativo l’autore svolge, nel corso del testo, alcune affermazioni sulle quali vorrei soffermarmi insieme con voi, poiché le considero particolarmente significative anche per ciò che concerne la disamina critica dei fondamenti della dogmatica teologica cristiana, tutt’oggi scarsamente discussi.

Questo processo che condusse la chiesa del IV secolo alla «affermazione definitiva del credo niceno (…) ha potuto aver veramente luogo al prezzo di una duplice violenza: l’eliminazione di ogni dissenso interno alle varie chiese cristiane in nome di una verità dogmatica ritenuta unica e definitiva e di una chiesa veramente cattolica, e cioè universale»[3]. Credo che sia tempo di concedere all’analisi storica un pieno diritto di cittadinanza all’interno della discussione relativa all’origine del dogma, che sovente viene confinata dalle chiese nell’angusto perimetro del dibattito teologico. L’unità dell’ortodossia è un risultato storico, non un presupposto teologico: l’interpretazione che ha finito per prevalere è quella che si è affermata, non l’unica plausibile, men che meno l’unica corretta. Sovente, invece, il dibattito teologico si rifiuta di analizzare le ragioni in virtù delle quali l’ermeneutica ortodossa è andata affermandosi e ne difende, con un’ostinazione sospetta, l’ineccepibile validità. Una delle principali motivazioni per cui l’ortodossia prevalse risiede nell’estromissione violenta di ogni dissenso e delle ragioni che lo sostanziavano, che non vennero confutate ma demonizzate e, per ciò stesso, eluse.

Difatti, prosegue Filoramo, «quel che, alla luce del concilio del 381, appare evidente è che il richiamo alle scritture e il confronto esegetico non erano in grado di dirimere quale dottrina fosse ortodossa e quale invece eretica»[4].

Questa affermazione di buon senso è quella che solitamente diserta i dibattiti teologici ai quali mi è stato dato di poter assistere o di prender parte: è del tutto evidente, infatti, che né le scritture, né le molteplici interpretazioni che ne derivano, si rivelano sufficienti a suffragare in maniera incontrovertibile una ed una sola ermeneutica e, di riflesso, una ed una sola dogmatica. L’approdo ad una ortodossia non può che essere il frutto di una soppressione arbitraria del dibattito e delle ragioni che lo istruiscono e lo sostanziano, poiché la tematica cristologica su cui verté la controversia ariana è, in ultima analisi, una vexata quaestio – una questione controversa – e tale, in una prospettiva biblico-esegetica, è destinata a rimanere.

È a motivo di questa sostanziale impossibilità di addivenire ad una soluzione definitiva che, ricorda Filoramo, «le decisioni del concilio non riuscirono ad eliminare le profonde divisioni che si erano create in quasi un secolo di controversie (…) L’imperatore si era dunque illuso, pensando di aver chiuso con il concilio la questione del conflitto interno alla chiesa»[5]. Non a caso, altri concili furono convocati, fino a pervenire alla formulazione calcedonese (451 e.v.) che, una volta ancora, pretese illusoriamente di porre fine al dibattito con la formulazione compiuta del dogma trinitario. Ma la controversia, se vi sono (e ve ne sono) ragioni per mantenerla aperta, non può essere dichiarata arbitrariamente conclusa da decisioni conciliari che si autoproclamano insindacabili.

E ciò per il fatto che, come ripete sovente Filoramo all’interno della sua opera, in misura considerevole le decisioni conciliari furono decisioni politiche e non squisitamente teologiche: e furono ragioni di opportunità politica a consentire il consolidamento di un pensiero unico che ogni teologia storica ed evangelica dovrebbe rifiutare recisamente. Meglio sarebbe per la teologia cristiana tirarsi fuori da ogni tentazione assolutistica e riscoprire quella tolleranza che, nel corso della sua storia, le è stata più volte riproposta dal pensiero laico. Provò a ricordarcelo già il senatore romano Simmaco, quando difese, nel 383 e.v., «la pluralità delle vie con le quali è possibile pervenire al mistero divino (…) [Il vescovo Ambrogio replicò sostenendo che] non esiste una pluralità di vie a Dio, ma soltanto quella che Lui ha rivelato e che i cristiani posseggono»[6]. Ennesima, amara riprova di un dogmatismo intransigente che, sin dalle origini, ha volutamente ignorato ogni pluralismo e qualsivoglia invito a percorrere le vie feconde – perché complesse – del dialogo.

Alessandro Esposito – pastore valdese

(10 giugno 2013)

NOTE

1 Giovanni Filoramo, La croce e il potere. I cristiani da martiri a persecutori, Laterza, Bari, 2011.

2 Op. cit. p. XII dell’Introduzione.

3 Op. cit. p. 241.

4 Op. cit. p. 252 (corsivo mio).

5 Op. cit. pp. 269-270.

6 Op. cit. pp. 279-280.




Mercoledì 19 Giugno,2013 Ore: 13:43
 
 
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