- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (351) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org I volti di Gesù: uno, nessuno, centomila,di ALESSANDRO ESPOSITO

I volti di Gesù: uno, nessuno, centomila

di ALESSANDRO ESPOSITO

Dal blog: Micromega

aespositoCome già accennato nel caso del lettore Stefano, ci sono commenti che un redattore, quando scrive ormai da alcuni mesi, attende quasi con una sorta di impazienza e di trepidazione: e confesso (ma non credo sia un mistero) che, per quel che mi riguarda, è quanto avviene nel caso del caro «Midirai» che, una volta ancora, ha arricchito questa rubrica con le sue considerazioni al contempo amare, ironiche e pertinenti. Il mio grazie, pertanto, è pleonastico, ma lo esprimo ugualmente con sincerità.

Le riflessioni offerteci dall’amico (se non ritiene eccessivo, da parte mia, definirla tale, poiché di fatto non ci conosciamo personalmente) e lettore sono, come di consueto, estremamente puntuali e fondate e richiederebbero, pertanto, una trattazione a se stante delle tematiche alle quale la lettera fa cenno: cosa che mi riprometto di fare al più presto, affrontando (sia pure per sommi capi, così come questo spazio consente di fare) la cosiddetta, spinosissima questione del «Gesù storico»: che cosa possiamo sapere di lui? E qual è, in proposito, l’attendibilità delle fonti di cui disponiamo? Si tratta di riassumere più di due secoli di ricerca storico-esegetica, la quale, oltretutto, è tutt’ora in corso: di qui la difficoltà e, va da sé, l’inadeguatezza ad affrontare la questione da parte di chi scrive; ciononostante, come detto, proverò a farlo, sia pure con tutti i limiti del caso. L’occasione, peraltro, mi viene fornita dal Giornale di Filosofia della Religione, per il quale dovrò redigere (spero a breve) un articolo che concerne proprio questa complessa tematica.

Per ora, care lettrici e cari lettori, vi prego di accontentarvi di questi pochi accenni di carattere introduttivo, i quali intendono riprendere, in maniera estremamente sintetica, due aspetti specifici della questione. Il primo lo mette in rilievo proprio lo stimato «Midirai» e concerne l’identificazione di Gesù come «profeta apocalittico»: ebbene, si tratta di un aspetto messo in luce all’inizio della ricerca sul Gesù storico, in particolare dal grande studioso delle origini cristiane Adolf von Harnack, esponente di quella che viene chiamata «teologia liberale» e che, specie in ambito protestante, ha cercato e cerca tuttora di contemperare le istanze della fede con quelle della cultura di cui, innegabilmente, ogni riflessione religiosa forma parte.

Ebbene, oggi come oggi la tesi dell’insigne storico del cristianesimo primitivo (celebre e, per molti versi, ancora insuperata la sua «Storia del dogma», recentemente ripubblicata, in cinque volumi, dalla casa editrice Morcelliana) è stata messa in discussione, specie mediante l’integrazione (a mio modestissimo parere opportuna) di altri aspetti che, indubbiamente, caratterizzano la predicazione di Gesù così come essa ci è giunta nelle fonti più attendibili (in particolare, come già accennato dal caro «Midirai», i vangeli sinottici – Marco, Matteo e Luca – ma, anche, alcuni scritti apocrifi di indubbio valore storico, come l’antichissimo Vangelo di Tommaso, consistente in una compilazione di detti di Gesù privi però, a differenza dei vangeli cosiddetti canonici, di una cornice narrativa).

In particolare, come balza agli occhi anche ad una lettura corsiva dei vangeli, ha destato interesse lo stile parabolico che Gesù, a parere unanime dei sinottici, ha utilizzato nella sua predicazione: da queste narrazioni, difatti, emerge sovente la tendenza del profeta di Nazareth a mitigare i tratti – per così dire – inflessibili che la tradizione apocalittica conferiva ad un Dio giudice con l’immagine ricorrente di un Padre assai più incline alla misericordia e al perdono, scandalosamente vicino a quante e quanti l’ortodossia giudaica del tempo (e del tempio) considerava «peccatrici» e «peccatori»[1].

Proprio qui, però, ci imbattiamo nel problema più complesso, già accennato, sia pure en passant, nel corso del mio ultimo intervento: la questione delle fonti, della loro attendibilità e – soprattutto, direi – della loro interpretazione. Chiarito, anzitutto, che si tratta di fonti che la storiografia moderna definirebbe, non a torto, tendenziose, poiché redatte da quante e quanti confessavano la loro fede in Gesù come messia d’Israele (la progressiva universalizzazione della figura di Gesù in seno al cristianesimo delle origini cui fa cenno il nostro lettore è questione, anch’essa, che richiederebbe una trattazione a se stante), resta comunque il fatto che la disamina delle fonti è, inevitabilmente, atto ermeneutico.

Prima ancora, però, che le nostre interpretazioni si cimentino con i testi, i testi stessi soggiacciono a questa regola inderogabile: ogni evangelista, difatti, propone nel proprio scritto il suo modo peculiare di guardare a Gesù e di restituirne la vicenda e l’annuncio. Questa consapevolezza rende assai più complessa, da parte nostra, la valutazione relativa ai dati da ritenersi storicamente incontrovertibili che, in verità, sono assai pochi. Ecco perché concludo rispondendo alle osservazioni del caro Kenny Craig in ordine alle affermazioni riscontrabili nei testi evangelici, rilevando, nel merito, che alcune delle sottolineature operate da uno o più evangelisti (come, ad esempio, l’apparente clemenza del procuratore romano Ponzio Pilato da lei citata) vanno vagliate alla luce dell’analisi critica del singolo testo, del suo ambiente storico-culturale (quello che l’esegesi classica definisce sitz im leben), del suo linguaggio narrativo e dell’universo simbolico che lo caratterizza.

Come si può intuire già da questi pochi rilievi, si tratta di un compito estremamente complesso. Ecco perché, sotto il profilo della disamina – per quanto accurata – delle fonti, la ricostruzione del Gesù storico non può che rimanere, proprio come la fede nella sua persona e nel suo messaggio, una questione sempre aperta e, in ultima analisi, insolubile.

Alessandro Esposito – Pastore valdese

 

(12 maggio 2013)

NOTE

1 Come accennato, la bibliografia, in tal senso, è ormai talmente vasta da risultare letteralmente impercorribile. Mi limito a citare, a beneficio di quante e quanti fossero eventualmente interessati ad approfondire l’affascinante e complessa tematica del cosiddetto «Gesù storico» (sulla quale, come detto, mi riprometto di tornare), quello che a parere degli esperti in materia, assai prima che a mio giudizio, rappresenta il più aggiornato ed approfondito studio su Gesù di Nazareth e sul suo ambiente storico-culturale: John P. Meier, Un ebreo marginale, 3 voll., Queriniana, Brescia, 2001-2007.




Mercoledì 15 Maggio,2013 Ore: 16:46
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
La parola ci interpella

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info