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www.ildialogo.org Le beatitudini: fughe da sinistra e fughe da destra…,di Augusto Cavadi

Le beatitudini: fughe da sinistra e fughe da destra…

di Augusto Cavadi

“L’incontro”
Novembre 2012

NATI PER SOFFRIRE ?

Non so quanti siano d’accordo con la mia opinione, ma ho il forte sospetto che il messaggio evangelico delle beatitudini costituisca una delle ragioni principali della fuga dalle nostre chiese. Per uscire, però, ci sono almeno due porte: la maggior parte scappa da sinistra, qualche altro - attualmente in minor parte – scappa da destra.
Da sinistra scappano quelli a cui arriva la versione dominante, ma deformata, dell’annuncio originario di Gesù. Che cosa avrebbe detto, infatti, il Maestro secondo l’interpretazione ‘volgare’? Che siamo nati per soffrire e ci riusciamo benissimo. Che Dio ci ha posto in una valle di lacrime per metterci alla prova: chi tenta di nuotare e se la cava alla meno peggio, attraversa la valle senza troppo dolore ma non può pretendere pure di godere nell’altra vita. Se poi, per giunta, nel tentativo di stare a galla, si appoggia sulla testa altrui e li lascia affogare, è un “maledetto” al quale si spalancheranno le porte dell’inferno. Al contrario, chi non ce la fa, chi resta disoccupato e senza potere, chi soffre la solitudine e l’abbandono, deve rallegrarsi: è il candidato ideale per il “paradiso”. Se poi gli capita pure di fare un po’ la fame in vita e di andarsene roso da un tumore, può considerarsi un privilegiato, Un eletto. Lo attende infatti, dopo un pellegrinaggio terreno da incubo, la felicità senza fine per l’eternità.
Molti di quanti recepiscono così il discorso della Montagna, scappano inorriditi: non vogliono che una simile dottrina religiosa li narcotizzi, gli renda in qualche modo tollerabile l’intollerabile sperequazione in questo mondo fra chi ha e chi non ha, fra chi sa e chi ignora, fra chi può comandare e chi deve soltanto obbedire.
Se pastori e teologi, catechisti e insegnanti di religione, avessero tutti quanti dedicato la vita a capire con metodo ‘scientifico’ i testi biblici, probabilmente sarebbero arrivati alle conclusioni di un p. Dupont che - in numerosi scritti di varia mole ed accessibilità – ha spiegato che cosa veramente ha detto Gesù di Nazareth. Che il senso della nostra esistenza, personale e collettiva, è fare spazio al “regno di Dio”: il quale si caratterizza perché, dove attecchisce, fioriscono dignità e libertà, fraternità e giustizia, solidarietà e rispetto per la natura. E che la sua missione nella storia non era nient’altro che questa: aprire la pista all’inserimento del “regno di Dio” nelle strade delle donne e degli uomini del suo tempo, di ogni tempo. Dunque non un annuncio puramente ‘spirituale’ nell’accezione riduttiva che diamo a questo termine (quasi sinonimo di immateriale, impalpabile, astratto), bensì ‘integrale’: rivolto - come dirà Paolo VI – “a tutto l’uomo e a tutti gli uomini”. Sconcertantemente concreto. E immediato. Gesù era convinto che fosse ormai imminente la liberazione dei poveri e degli impoveriti, degli affamati di pane e degli assetati di giustizia. Come scriverà Sergio Quinzio, la sua morte in croce è la smentita clamorosa del suo sogno. E noi credenti in Lui siamo tutti quanti figli di questa radicale, originaria, incalcolabile “sconfitta di Dio”.
Ma ogni tanto, per fortuna o per caso o per grazia di Dio, qualche vescovo o teologo o prete o catechista propone la versione corretta delle beatitudini. La versione scomoda, inquietante, rispetto alla quale ognuno di noi - io per primo – si sente inadeguato. La versione non accomodante, non moderata, non rinunciataria: in una parola, la versione autenticamente rivoluzionaria. Che lascia spazio non al se creare condivisione e uguaglianza di opportunità, ma solo al come sia più opportuno ed efficace crearle. Ogni tanto può capitare di aprire libri, come quello di Elio Rindone intitolato E’ possibile essere felici? (Di Girolamo, Trapani 2004) , e leggervi: “In conclusione, possiamo dunque riconoscere tre strati della trasmissione del messaggio: quello iniziale, di Gesù che inaugura il regno che pone da subito fine alle sofferenze degli oppressi; quello della redazione lucana, che vede gli oppressi nei seguaci di Gesù che stanno per entrare nel regno; e quello della redazione matteana, che indica le condizioni per entrare nel regno: far parte della massa degli oppressi o condividerne la sorte, operando per l’avvento del regno. (…) Se questo è il messaggio originario, bisogna riconoscere che l’interpretazione tradizionale se ne è allontanata parecchio” (pp. 57 – 58).
Che cosa succede quando in una comunità, in una parrocchia o in un’associazione cattolica comincia a diffondersi la lettura fedele, e corretta, delle beatitudini evangeliche? Anche in questo caso si assiste ad esodi. Ma chi esce perché ha capito davvero il messaggio di Cristo esce, per così dire, dall’altra porta: da destra. Scappa da un ambiente in cui l’aria comincia a farsi irrespirabile per quanti vogliono convivere con Dio e con Mammona; con la verità e con l’ipocrisia; con l’aspirazione interiore alla santità e con una vita di comodi, perfino di lussi. E’ il caso di inseguire quanti fuggono dall’utopia evangelica? Non saprei. Ciò di cui sono certo è che, prima di preoccuparsi di riacciuffare i ricchi e i potenti che volgono le spalle alle chiese quando in esse risuona la voce del Messia, bisognerebbe occuparsi di accogliere i poveri e i senza-potere che ritornano. Sì, perché una chiesa più evangelica (compirà mai questa conversione la chiesa cattolica soprattutto gerarchica?) è una chiesa che perde i fortunati e i prepotenti, ma riacquista la fiducia delle vittime.
Quando, ogni tanto, a me siciliano viene chiesto se sono favorevole alla scomunica dei mafiosi, rispondo che la questione essenziale è un’altra: come mai i mafiosi, che vivono l’ossessivo accumulo di potere e denaro mediante violenza, vogliono restare nelle nostre chiese? Se in esse si vivesse seriamente la povertà e la condivisione dei beni, il rispetto delle regole democratiche e l’accoglienza dei diversi, i mafiosi non sarebbero i primi ad andarsene (magari dileggiando questi poveri folli che credono veramente in un mondo di giustizia e di pace)? Infelice la chiesa che ha bisogno di scomuniche! Si illude di eliminare con la repressione autoritaria le mele marce, pur di evitare la purificazione dal marciume dei propri compromessi teorici e pratici.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.eu




Lunedì 14 Gennaio,2013 Ore: 16:16
 
 
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