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www.ildialogo.org Riedita "Teología Popular, La Buena noticia de Jesús" (Desclée),Traduzione di Lorenzo TOMMASELLI

Riedita "Teología Popular, La Buena noticia de Jesús" (Desclée)

Traduzione di Lorenzo TOMMASELLI

José Maria Castillo: "La maggior parte dei teologi scrive una teologia che il popolo non capisce nè gli interessa". "Il meglio della mia vita l’ho ricevuto dalla Chiesa, voglio esserle fedele e morire in lei"


(Jesús Bastante).‐ José Maria Castillo è uno dei migliori teologi spagnoli ed una delle colonne di Religión Digital. Viene a presentarci il suo nuovo libro, "Teología Popular, La Buena Noticia de Jesús", pubblicato con Desclée.

Docente di Teologia a Granada, fu destituito dal cardinal Ratzinger nell’anno 1988, e "mai ebbi spiegazioni", racconta. Critica il fatto che "la maggior parte dei teologi scrive una teologia che il popolo non capisce e che non gli interessa " e che "il catechismo soffre degli stessi problemi che ha la teologia ufficiale erudita che si insegna nelle aule universitarie ".

J. M. Castillo denuncia anche che "la teologia che va per la maggiore oggi è una raccolta di contenuti strutturata e sistematizzata da minimo 9 secoli", e conclude esprimendo la sua opinione sulla gerarchia della Chiesa spagnola (lo stesso discorso vale per quella italiana, ndt): "La Conferenza Episcopale dà l’impressione che le interessa solo conservare i suoi privilegi e le leggi che la favoriscono, aver assicurato la sua eredità, il suo patrimonio ed aumentarli".

E’ un libro che hai rinnovato, ritoccato e riformato?

Si, effettivamente. La Teologia Popolare, che è il nome che ebbe dall’inizio, nacque negli ultimi anni ’70 del secolo scorso, come risultato di una preoccupazione, che è l’allontanamento della teologia e della predicazione ecclesiastica, della catechesi, del Vangelo, etc, dal popolo e dalla gente. La maggior parte dei teologi scrive una teologia che non è compresa dal popolo e che non gli interessa. E la maggior parte del popolo non ha idea di ciò che è la teologia, di quali sono i contenuti della fede spiegati.

Ossia, che il libro è una specie di adattamento di questa “alta teologia”, perché la gente semplice possa avere una certa base teologica per discutere e dibattere?

Si. Anche se, più che un adattamento, quello che desidererei (e non so se l’ho raggiunto) è un nuovo metodo o modo di fare teologia. Una teologia che non nasce da quello che hanno scritto altri teologi, ma dalle preoccupazioni della gente, dai suoi problemi e dalle sue aspettative. E soprattutto della gente più semplice.

Normalmente, nei seminari e nelle facoltà ecclesiastiche la teologia che si insegna, in una percentuale altissima dei suoi contenuti e del suo linguaggio, non è compresa dal popolo e non interessa al popolo, come ho già detto. Allora, bisogna fornire una soluzione a tutto questo. E non se ne vengano con la questione del catechismo, perché il catechismo, per il fatto stesso che è un condensato della teologia “ufficiale erudita”, soffre degli stessi problemi che ha la teologia che si insegna nelle aule universitarie.

Ossia, che il messaggio della teologia non arriva alla Chiesa di base, a causa del linguaggio usato dalla Chiesa e soprattutto dalla sua gerarchia?

La teologia ufficiale, quella che si insegna e che si impone, è una raccolta di contenuti organizzata, strutturata e sistematizzata da minimo 9 secoli. Nei suoi contenuti base continua ad essere la stessa del secolo XII e Roma è molto attenta a che resti la stessa. Questo genera un controllo, una minaccia costante sul pensiero, la lingua e la penna dei teologi, minaccia che genera un’esperienza terribile, la paura.

Come può un teologo scrutare o studiare i disegni della Buona Notizia senza libertà?

La teologia, secondo l’ideale di Pio XII che recuperò dopo brillantemente Giovanni Paolo II e che sta prolungando Benedetto XVI, è una teologia il cui progetto è ripetere quello che si è già detto. Ed una teologia ripetitiva produce il prolungamento e la conservazione della situazione attuale, con due problemi che mi preoccupano moltissimo. Uno di questi, anche se ci sono importanti e valide eccezioni, è il fallimento della predicazione. Un gran numero di omelie, prediche, sermoni, etc.,non interessa alla gente, né per il suo contenuto né per il suo linguaggio, né per il problemi che affrontano, né per i risultati o conseguenze che da ciò si tirano.

Questo da una parte, la predicazione: dall’altra c’è la lezione o la materia della religione.

Perché, dal momento in cui i predicatori ed i docenti di Religione sono controllati e minacciati (e parlo per esperienza, perché nell’anno 1988 un bel giorno mi chiamarono e mi comunicarono oralmente, senza che ci fosse neanche una carta scritta, che ero destituito dalla mia cattedra a Granada), non c’è libertà per fare teologia.

Chiedesti spiegazioni per la tua destituzione?

Chiesi che mi si spiegassero almeno i motivi per i quali fu presa questa decisione, ma l’unica spiegazione che mi diedero fu che l’attuale papa (allora cardinal Ratzinger, prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede) aveva fatto visita, insieme ad altri prelati, al generale dei Gesuiti ed il risultato di quel colloquio fu la mia destituzione fulminante.

Non ho ottenuto, chiedendo e domandando a Roma l’anno dopo, che mi dicessero i motivi che erano intervenuti.

Né da parte della Santa Sede né da parte di Kolvenbach?

Da parte di nessuno dei due. Nei confronti di Kolvenbach ho un gran rispetto e penso, che, probabilmente, non avrebbe potuto fare diversamente, perché quello che ho saputo, da parte di una persona molto autorevole all’interno della Compagnia di Gesù, è che dell’accordo della mia espulsione non fu lasciato neanche un pezzo di carta. Quindi, non avendo alcuna documentazione, non si può sapere se in quella conversazione si attaccarono al voto di obbedienza o no.

Si può comprendere questo tipo di fallimenti, di rotture e di scomparse facendo parte della Chiesa nella quale credi? Si può continuare ad amare la Chiesa e ad appartenere a lei?

Io amo molto la Chiesa, desidero esserle fedele e rimanere in lei e morire in lei; perché debbo alla Chiesa la conoscenza del Vangelo e di Gesù. Il meglio della mia vita l’ho ricevuto da lei, grazie al fatto che, a partire da Gesù fino a questo momento, una catena ininterrotta di credenti ha conservato questa fede, e questo è avvenuto grazie alla Chiesa. Per questo devo elogiarla e devo anche elogiare l’eminente esempio di solidarietà, di carità e di preoccupazione per gli altri che stanno dando oggi tanti preti, religiosi, religiose e laici volontari.

Ora, mi fa molto male il comportamento (e lo dico senza esitare) della gerarchia ufficiale, della Conferenza Episcopale, un’istituzione che dà l’impressione che quello che le interessa è conservare i suoi privilegi, le leggi che la favoriscono, avere assicurati la sua eredità ed il suo patrimonio ed aumentarli, se possibile. Quello che non capisco è come mai non si rendono conto che la maggior parte degli alunni che educano in religione poi non credono.

E perché molti che optano per l’insegnamento della religione alla fine arrivano a rinnegarla? Le lezioni di religione sono ugualmente noiose come le omelie?

La cosa più preoccupante, a mio modo di vedere, sono i contenuti che si insegnano. Ed capita lo stesso delle omelie e dei sermoni: che la maggior parte delle lezioni di religione non interessa agli ascoltatori.

Una persona molto preparata, che ha passato molti anni a studiare tecnicamente e scientificamente quest’argomento, mi diceva che è dimostrato che, per quello che si insegna ai bambini in religione, mostrano interesse fino ai 12 anni, poi non sono più interessati. E poi, siccome nelle altre materie insegnano loro proprio il contrario, queste hanno per loro più credibilità di quello che ha la lezione di religione; quest’ultima la sopportano come possono e poi puntano ad altro.

A me sembra che ancora resti molto di quello che, già negli anni ’20 del secolo scorso, Antonio Gramsci intuì in maniera geniale: quello che interessa, credenti o no, praticanti o no, è trarre fuori quadri intermedi di comando che, tra le alte cariche di governo e la gente, si comportino come canali che veicolino e portino a decisioni concrete quello che interessa all’istituzione ecclesiastica.

Potrebbe essere la tua Teologia Popolare un buon manuale di studio per le scuole?

Non so se si possa aspirare a tanto, ma per lo meno desidererei che le parrocchie, i gruppi cristiani, i gruppi di credenti interessati a conoscere l’origine del primo cristianesimo trovino in questo libro la risposta per capire cos’è quello che volle ed insegnò Gesù. Perché da ciò risulta quello che abbiamo nei vangeli, che non c’è una teologia speculativa, di concetti, verità e dogmi; ma una teologia narrativa, di racconti apparentemente semplici, ma, nella misura in cui si studiano, mai se ne comprende la profondità. Perché sono di una profondità che smonta molte delle cose che diamo per indiscutibili e ci aprono cammini ed orizzonti che non immaginiamo.

Per me il Vangelo, prima di essere un libro religioso, è un libro per la vita, per condurre una vita onesta, trasparente, coerente. Per generare persone buone, oneste e rispettose. Questo è quello di cui più abbiamo bisogno e quello di cui più sentiamo la mancanza.

Poco tempo fa Ernesto Cardenal giunse a Barajas e, quando gli chiesero di un famoso governante dell’America Latina, disse: “Non posso parlare di lui perché un ladro”. Mi capita la stessa cosa, non posso parlare di tanti governanti perché sono ladri, ma denunciarli sì, come Gesù nel tempio, quando fece compiere alla religione la svolta radicale condannando i falsi profeti. Gesù tirò fuori Dio dal tempio e lo mise nella vita, nella convivenza sociale, nelle relazioni private e pubbliche. Questo è quello di cui c’è bisogno.

Questo libro è il primo tomo della serie?

Si, ci saranno altri due che usciranno in primavera ed in estate.

______________________

Traduzione dallo spagnolo ed adattamento di Lorenzo TOMMASELLI

della trascrizione del video pubblicata su www.periodistadigital.com/religion




Lunedì 31 Dicembre,2012 Ore: 17:56
 
 
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