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www.ildialogo.org Sudditi o figli ?,di Mario MAriotti

Sudditi o figli ?

di Mario MAriotti

I due enunciati che io condivido con tutto me stesso: Dio è nella Bibbia, ma non è la Bibbia; oppure, e ancora meglio, il Signore è nel Vangelo, ma non è il Vangelo, che fondano la tesi che la Parola va sempre presa in Spirito e mai alla lettera, possono trovare la loro conferma nel fatto che il nostro rapporto con Dio viene definito secondo due logiche diverse, quello esistente fra servo e Padrone, e quella fra il figlio e il Padre.

Io non ho il tempo, la competenza e la pazienza di andare a trovare tutte le pezze d’appoggio per sostenere questa tesi, ma la vedo confermata nella realtà dato che alla concezione religiosa di Dio sottende la prima logica, quella del rapporto servo-Padrone, mentre la rivelazione da parte del Signore che Dio ci è Padre fonda la logica dell’Incarnazione, quella del rapporto esistente fra un figlio e un padre.

Il Dio religioso è l’Altissimo, assiso sul trono nell’alto dei cieli; il Signore è alla sua destra, ed è sovrano, Re, anche lui; lo Spirito vaga per il mondo in cerca di chi lo lasci entrare dentro se stesso, ma poi viene a sapere di essere stato cooptato, e di trovarsi a disposizione di quella casta sacerdotale che detiene le chiavi del Regno.

Noi, allora, siamo sudditi, anche se ci sentiamo dei sudditi privilegiati, dei sudditi “eletti”, il popolo dei sudditi eletti; e il secondo modo di definirci è quello di servi”, servi più o meno devoti, più o meno fedeli, con lo sguardo rivolto al trono dell’Altissimo. E qual è il compito dei servi, di noi servi? Quello di adorare, di ringraziare, di placare e di pregare l’Altissimo perché ci riempia di doni nell’al di qua e ci faccia entrare in paradiso nell’al di là.

In alcune occasioni la Parola ci definisce inutili, in altre sofferenti: quando abbiamo fatto un po’ di più dell’impossibile, dopo dobbiamo stare zitti, perché si vede che il massimo per uno è il niente per l’Altro; e poi, quando prima o dopo ci troviamo sofferenti, ancora dobbiamo stare zitti, perché, facendo così, staremo acquistando grandi meriti che ci permetteranno la beatitudine eterna nell’al di là.

Il Signore stesso viene definito “servo sofferente”, l’Agnello di Dio che toglie, soffrendo, i peccati del mondo, l’Uno che paga per tutti per riconciliare i tutti col Padre vestito da imperatore sul trono dell’Altissimo. Siccome poi l’Agnello è stato sacrificato col beneplacito del Padre, in modo che il suo sangue potesse lavare e quindi perdonare tutti i nostri peccati, e riconciliarci col Padre stesso, allora il primo dovere di noi servi inutili è quello di rivolgere gli occhi verso l’Agnello, e di esprimere tutta la nostra riconoscenza a Colui che si è immolato per noi. Tutto questo nel quadro della concezione religiosa del nostro rapporto con Dio, mediato dalla casta dei suoi sacerdoti.

Poco nell’Antico Testamento, ma e soprattutto nei Vangeli, la Parola ci manifesta anche una logica diversa dalla precedente; e il nostro rapporto con Dio viene caratterizzato non in termini servo-Padrone, e la diversità è radicale, come le conseguenze possono essere radicalmente diverse, sostanzialmente diverse.

Quando il Signore ci rivela che Dio ci è Padre, in quel momento annulla la separazione divino-umano, e Lui stesso è la negazione di tale separazione, dato che in Lui l’umano si divinizza e il divino si umanizza. Se uno crede in questa rivelazione, confermata anche da quegli enunciati in cui il Signore ci dice che, chi fa la volontà del Padre, è padre, fratello e sorella di Lui stesso, da quel momento esce dalla dimensione religiosa, che separa l’uomo da Dio, ed entra in quella dell’Incarnazione, nella quale, quando l’uomo ama, serve e condivide, in quel momento egli è in Dio, è corpus Domini, è mano di Dio, è tralcio della Vite indispensabile a Lei per portare frutto nella terra dei viventi.

Il figlio è della stessa natura del padre, ed è la continuità del padre stesso; quando ama, serve e condivide, sta dando esistenza, vita, operatività allo Spirito dandogli corpo, vita, esistenza nel mondo attraverso la propria esperienza esistenziale. L’Amore incarnato da noi trasforma la nostra realtà, ancora imperfetta e satura di ingiustizia, sofferenza, violenza e dolore, nel Regno dell’Amore tutto compiuto in tutti.

Se uno crede, quindi, in quello che ci ha detto Gesù, non riconosce più se stesso come servo, ma si ritrova nella condizione di figlio; e le conseguenze di questo cambiamento di sostanza sono enormi. Il Padre fa sapere al figlio che della sua adorazione non gliene cala nulla; che non deve ringraziare Lui, ma coloro che hanno incarnato il Suo amore per lui in quanto figlio; che deve chiedere perdono non dei peccati nei Suoi confronti, ma nel male recato agli altri viventi; che è inutile che il figlio preghi il Padre, perché Lui, come ogni padre, tutto il possibile per il figlio l’ha già fatto, e fatto non perché sollecitato, ma gratuitamente, solo per amore.

L’unica cosa che il padre chiede a lui, e a tutti noi, è che ci amiamo fra noi, come Lui ci ama, perché noi siamo contemporaneamente strumento e fine dell’amore stesso: siamo strumenti indispensabili, altrimenti si manifesta il terribile silenzio di Dio di Auschwitz; siamo fine in quanto destinatari dell’amore incondizionato del Creatore per le proprie creature.

Ecco, quindi, che il servizio a Dio non può che determinarsi nel servizio all’uomo; che l’incarnazione dell’Amore non può avere altro destinatario che l’uomo stesso; che l’amore, il servizio, la condivisione non possono determinarsi se non nella dimensione laica dell’impegno dell’uomo a favore dell’uomo e di tutti i viventi, i minimi inclusi. Questa nostra condizione di figli, che ci è stata rivelata dal Signore, se ci pensiamo bene, non si rivela però e affatto come un privilegio, come uno sarebbe portato a credere.

Essa ci carica di enorme responsabilità, perché ci assegna il compito di ridare vita al Risorto; di rendere efficace e operativo lo Spirito-Amore fra noi, (è molto più facile e fisiologico porci come mani di mammona); di porci alla sequela di Uno che ha finito la sua carriera inchiodato ad una croce; di schiodarLo dalla croce e di farlo rivivere e operare per portare a compimento la creazione, che è ancora in atto, e trasformare questo nostro mondo nel Regno-corpo di Dio compiuto secondo Amore.

Mario Mariotti



Sabato 14 Luglio,2012 Ore: 14:53
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Massimo Vaj Grandola ed Uniti 16/7/2012 06.23
Titolo:Punti di vista limitati
Nessuno può fare per ognuno quello che spetta a ognuno compiere, nemmeno il Cristo. Non la beatitudine, ma la conoscenza che comprende la beatitudine è il fine e il mezzo per soddisfare le esigenze dell'esistenza. L'Assoluto non ha destra e sinistra, un sopra e un sotto, un dentro e un fuori; è indiviso e, a rigore, sarebbe contraddittorio chiedersi se esiste, perché l'esistenza è un effetto dell'Assoluto e nessun effetto partecipa alla propria causa la quale dai suoi effetti non può essere modificata. Se l'Assoluto esistesse non sarebbe assoluto. I punti di vista dai quali ci si chiede se l'uomo è servo o figlio dell'Assoluto sono limitati punti di vista, ognuno dei quali non soddisfa la domanda dalla quale nasce che in modo parziale e incompleto. L'uomo è parte dell'universo, una parte per nulla privilegiata, e ancor meno di pregio è la sua pretesa di far parte di un popolo eletto. L'Assoluto è oltre l'essere ed è indiviso, dunque in Esso potenza e atto sono un'unica Realtà. Noi esistiamo perché possiamo esistere, dal momento che la Perfezione del nostro stato dell'essere lo chiede. Non domandiamoci se sia il caso di trasformare la magnificenza della realtà in servi e padroni o padri e figli; chiediamoci piuttosto quanto siamo disposti ad amare, a essere amati e a servire la Verità che conosciamo essere sacra. Sacralità che fonda se stessa sulla radice che affonda nel Mistero assoluto e si nutre del sacrificio di sé.

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