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www.ildialogo.org ECCO PERCHÉ IL CRISTIANO DEVE ESSERE PLURALISTA (II),di Paul Knitter

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ECCO PERCHÉ IL CRISTIANO DEVE ESSERE PLURALISTA (II)

di Paul Knitter

VERSO UNA NUOVA TEOLOGIA CRISTIANA DELLE RELIGIONI

CHE SIA PLURALISTA E LIBERATRICE

(…) Bene, se nessuno di questi modelli è perfetto, mi piacerebbe esporre (…) la ragione per cui uno di essi realizza un lavoro migliore degli altri per ciò che riguarda il dialogo. Sto parlando del “Modello di Reciprocità” o, come è generalmente chiamato, del “Modello Pluralista”.

Una delle più forti critiche a questo modello - una critica che viene specialmente da Benedetto XVI – è che esso non può essere considerato come un’opzione valida per un cristiano. Come cattolico praticante e come teologo cattolico che cerca di restare fedele alle proprie responsabilità, mi piacerebbe stabilire rispettosamente un dialogo con il papa e con altri teologi cristiani sulla ragione per cui credo che si possa essere buoni cristiani e buono cattolici e, al tempo stesso, buoni pluralisti.

Ma vorrei anche mostrare come questa compatibilità tra l’essere buoni cristiani e l’essere buoni pluralisti possa intendersi e realizzarsi meglio quando teniamo presente che per essere l’una e l’altra cosa si debba anche essere impegnati a favore  della liberazione socio-economica. Per essere un cristiano fedele e un seguace di Gesù, bisogna anche essere coinvolti in un processo di liberazione. E per portare avanti un dialogo veramente pluralista tra le religioni, un dialogo che risulti significativo per il mondo attuale, è necessario anche l’impegno per la liberazione. (…).

Definendo i termini della questione

(…) La mia tesi è semplice: si può essere al tempo stesso cristiani e pluralisti. (…). Essenzialmente, i termini della mia tesi sono due: “cristiano” e “pluralista”.

 A. Cosa è necessario per essere cristiani/e?

Vorrei suggerire che esistono almeno quattro caratteristiche che devono segnare la vita di qualunque persona che si definisca cristiana:

1. Orto-prassica: La prima - anche se certamente non l’unica - caratteristica determinante di un modo di vita cristiano ha a che vedere con l’ortoprassi. L’identità cristiana è, prima di tutto, una questione di “agire correttamente”. Esistono altri tratti necessari in un cristiano, ma questo li precede. La realtà della fede cristiana si mantiene o collassa a causa principalmente del modo in cui operiamo, non di qualunque cosa si possa dire o credere (per quanto la fede sia anch’essa essenziale). “Sapranno che siamo cristiani” non dal nostro credo ma dal nostro amore. Quello che è più importante per l’identità e l’integrità cristiana non è la confessione, ma il discepolato, non il sapere ma il fare.

Malgrado ciò, voglio che sia chiaro che la conoscenza, per quanto il suo compito sia subordinato all’azione, svolge un ruolo assolutamente essenziale nell’identità cristiana. Ciò conduce alla seconda caratteristica dell’essere cristiani.

2. Cristomorfica: Una prassi, o una maniera di agire e di essere nel mondo, è cristiana se è cristomorfica, formata, modellata, guidata dalla visione del Vangelo e dalla presenza reale di Gesù Cristo risuscitato. Ciò che Gesù ha predicato, chi è stato Gesù – così come è stato compreso dalla prima comunità dei suoi seguaci e documentato nel Nuovo Testamento – fornisce le norme per il modo in cui i cristiani cercano di agire e di trasformare questo mondo.

Questa prassi cristomorfica è basata sulle affermazioni di verità cristologiche, affermazioni plasmate nella dottrina cristiana riguardo a Gesù come Figlio di Dio e Salvatore del mondo. La fede cristiana relativa al fatto che condurre una vita simile a quella di Cristo in questo mondo risulti significativo e imperativo è basata sull’affermazione che Gesù è realmente Figlio di Dio e Salvatore del mondo: realtà e rivelazione stessa del modo in cui Dio vuole essere presente nel mondo e condurlo alla salvezza. Pertanto, i cristiani sono persone che non solo agiscono come Cristo, ma fanno anche abbondanti affermazioni su chi Egli è stato ed è.

3. Biblica: Per essere cristiani, c’è bisogno che la nostra comprensione di chi sia questo Gesù di Nazareth provenga dalla testimonianza della prima comunità di seguaci contenuta nel canone del Nuovo Testamento. I cristiani sono essenzialmente persone bibliche. Credere in qualcosa che contraddice chiaramente la testimonianza del Nuovo Testamento annullerebbe la nostra appartenenza alla comunità cristiana. Ma devo aggiungere che per seguire il messaggio di Gesù nel Nuovo Testamento, è necessario chiedersi non solo “ciò che il testo ha significato”, ma anche “ciò che il testo significa nel presente/nell’attualità”. La parola biblica di Dio, a mio parere, non deve essere solo letta; deve essere interpretata. (…).

4. Kerigmatica: (…) La verità e la presenza salvifica di Gesù Cristo non possono mai essere una verità “per me” o “per noi”. Sono anche una verità per gli altri, per tutte le persone di tutte le epoche. Una verità che deve essere condivisa, comunicata, proclamata. I cristiani, in altre parole, sono essenzialmente missionari. (…).

 B. Che significa “essere pluralisti”?

Permettetemi di menzionare tre caratteristiche che definiscono il punto di vista di chi possiede quella che viene chiamata una prospettiva pluralista della diversità religiosa:

1. I pluralisti affermano che la diversità delle religioni non è semplicemente de facto (il modo di essere delle cose), ma de jure (il modo in cui devono essere). Un pluralista è chi è giunto alla conclusione che la pluralità o diversità delle religioni non scomparirà. (…). Teologicamente parlando, i pluralisti affermano che la molteplicità delle religioni è “volontà di Dio”, cioè qualcosa che fa parte dell’economia della salvezza.

2. (…) La principale preoccupazione dei pluralisti non è il pluralismo. Non si tratta semplicemente di riconoscere e preservare la diversità delle religioni. Si tratta di promuovere la reciprocità delle religioni (…). Ciò significa che i pluralisti sono impegnati non semplicemente con la diversità delle religioni, ma con il dialogo tra di esse. Riconoscono il pluralismo per promuovere così il dialogo. Il dialogo è il frutto atteso e cercato del pluralismo. I pluralisti, si potrebbe dire, ritengono che il dialogo sia un imperativo etico. Un dialogo autentico, che dà vita e costruisce giustizia tra le religioni (e tra le nazioni), è una forma di summum bonum etico, un “bene maggiore” che deve essere perseguito. Qualunque cosa impedisca questo dialogo è sospetta.

3. I pluralisti riconoscono il carattere relativo di tutte le affermazioni di verità. (…). Ciò non significa che, ontologicamente, neghino la realtà della “verità assoluta”. Semplicemente nutrono dubbi inestricabili riguardo al fatto che la verità assoluta possa essere articolata e intesa in maniera assoluta dagli esseri umani. Teniamo presente che la relatività delle affermazioni di verità non significa relativismo. Solo perché risulta impossibile conoscere “la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità”, non significa che non si possa affermare la “vera verità, la verità vincolante, la verità per cui siamo pronti a dare la nostra vita”. O, affrontando la stessa questione da un’altra angolatura, proporre che molte religioni siano vere non significa che tutte le religioni siano vere. “Molte” non significa “tutte”. E aggiungo che, per molti pluralisti (come John Hick ed io), il criterio per discriminare “molte” da “tutte” è principalmente (anche se non esclusivamente) questione di ortoprassi e non di ortodossia, di etica e non di dottrina.

Ragioni per cui i cristiani possono essere pluralisti

(…) L’ortoprassi richiede che Gesù sia veramente Figlio di Dio e Salvatore, ma non l’unico Figlio di Dio e Salvatore

(…). Usando l’analogia del matrimonio, per prendere la decisione di sposarci con qualcuno dobbiamo avere la certezza che possieda veramente le virtù dell’onestà, dell’integrità, della bontà, ecc. che sentiamo essenziali per una relazione impegnativa, ma non dobbiamo credere che lui o lei siano l’unico uomo o l’unica donna a possedere tali virtù, l’unica possibile persona con cui potremmo sposarci.

Ritengo possibile – credo che questa sia oggi una sfida centrale per l’identità cristiana – che noi cristiani si sia completamente impegnati con Gesù e con il Vangelo e allo stesso tempo veramente aperti a ciò che lo Spirito possa rivelarci mediante le altre comunità religiose del mondo. Dobbiamo capire come un’apertura genuina allo Spirito universale non ponga in rischio il nostro impegno personale totale con il Verbo incarnato in Gesù (allo stesso modo in cui la completa divinità dello Spirito non mina la completa divinità del Figlio nella vita della Trinità).

Uno degli strumenti più promettenti per sviluppare questa comprensione di Gesù Cristo come vero ma non necessariamente unico Salvatore può essere individuato in quella che è stata chiamata “teologia pneumatologica delle religioni”. (…). Una teologia dello Spirito, che opera in altre religioni in un modo genuinamente distinto dall’attività del Verbo Incarnato nel cristianesimo, è il punto di partenza e la base su cui, come passo successivo, il ruolo di Gesù Cristo può essere inteso. (…). Tale sforzo, considero, può liberare la teologia cristiana dall’antica subordinazione dell’attività universale dello Spirito all’attività particolare del Verbo incarnato in Gesù Cristo.

Gesù è regnocentrico, non cristocentrico

Tra gli studiosi contemporanei del Nuovo Testamento, si accetta in generale il fatto che il centro del messaggio di Gesù, il nucleo del suo impegno e il fine da lui perseguito sia stato il Regno di Dio, Basileia tou Theou. In altre parole, una cristologia biblica non necessariamente colloca Gesù al centro di tutto, perché Gesù stesso non si è collocato al centro. Come afferma Jon Sobrino, Gesù non fu ecclesiocentrico, né cristocentrico. Potrebbe persino dirsi, strettamente  parlando, che neppure fu teocentrico. Egli fu “basileiocentrico” .

Ciò che più gli importava non era che tutti si unissero alla sua comunità o che tutti cantassero le sue lodi, neppure che tutti riconoscessero il Padre. Per quanto queste cose siano di grande importanza, per Gesù quello che contava di più era che le persone credessero nel Regno di Dio e lavorassero per esso. «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21), cioè coloro che alimentano l’affamato, vestono l’ignudo, visitano il progioniero..., per quanto non conoscano Gesù, faranno parte della Basileia (Mt 25,31-46).

Allora, credo che i cristiani, con Gesù, possano riconoscere la validità di qualunque persona o di qualunque religione che contribuiscano a quello che per Gesù era il Regno di Dio, un mondo di reciprocità, dignità e giustizia per tutti. (…).

 Il linguaggio esclusivista del Nuovo Testamento è confessionale, non ontologico

Ma che succede con tutto quel linguaggio della Bibbia che pone Gesù al centro, con l’apparente esclusione di tutti gli altri: «Non c’è altro nome» (At 4,12)... «uno solo il mediatore» (1Tim 2,5)... «il Figlio unigenito» (Gv 1,18)... «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6)? (...). Dobbiamo prendere sul serio questo linguaggio. Il che significa, come ho suggerito prima, che dobbiamo interrogarci non solo su “quello che ha voluto dire” ma anche su “quello che vuole dire”.

L’erudito del Nuovo Testamento che più mi ha aiutato a chiarire ciò che tutto il linguaggio esclusivista biblico esprime per noi oggi è Krister Stendahl, il quale ha indicato che questo discorso su Gesù come “l’unico” è essenzialmente confessionale, non filosofico o ontologico. Egli lo ha definito, in modo più personale, «linguaggio d’amore». I primi seguaci di Gesù parlavano del Gesù di cui erano innamorati, che aveva trasformato le loro vite, che essi volevano fosse conosciuto da altri. Le persone innamorate (…) impiegano naturalmente un linguaggio superlativo: «sei il più bello, il più adorabile, l’unico».

Questo tipo di linguaggio è esclusivista per il fatto di essere superlativo! L’intenzione (…) di questo tipo di linguaggio è di dire qualcosa di positivo su Gesù, non qualcosa di negativo su Buddha. Facciamo un uso scorretto di questo linguaggio quando lo usiamo per ridimensionare o escludere Buddha o Maometto. (…).

Il kerigma è universale, non escludente

Il kerigma che noi missionari cristiani dobbiamo annunciare al mondo è necessariamente universale, ma non necessariamente escludente. (…).

Di fatto, oltre a proclamare, dobbiamo anche ascoltare. Ascoltare è un compito essenziale del lavoro del missionario. I missionari sono quelle persone della comunità cristiana che partono per insegnare ad altri riguardo a Gesù e al Regno e così convertirli a questo Regno (non necessariamente alla comunità cristiana). Ma i missionari sono anche persone che partono per ascoltare e apprendere in modo da arricchire la comunità cristiana.

In ciò che sto suggerendo è implicita l’idea che in realtà esistono due tipi di kerigma con cui i missionari si relazionano: il kerigma del Logos incarnato e il kerigma dello Pneuma universale (…). I missionari proclamano il primo e ricevono il secondo. I due tipi di kerigma, allo stesso modo che la seconda e la terza persona della Trinità, sono realmente diversi l’uno dall’altro, ma sono essenzialmente relazionati tra loro. Nelle loro differenze e nelle loro coincidenze sono complementari. Gli antichi teologi cristiani chiamarono questo arricchimento mutuo perichoresis - ballare insieme -. I missionari “ballano” tra le loro responsabilità duali di proclamare e di ascoltare. E attraverso questo ballo, tanto la Basileia dello Spirito come l’Ekklesia di Cristo si trasformano in grandi realtà del nostro mondo.

Un cristiano non solo può, ma deve essere pluralista

La mia conclusione, pertanto, è che i cristiani non soltanto possono essere pluralisti, ma devono esserlo. Per essere fedeli al Vangelo, alla testimonianza del Nuovo Testamento, alle implicazioni della nostra fede cristiana in un Dio che è trinitario, noi cristiani abbiamo una sfida e una missione duali: essere impegnati con Gesù particolare ed essere aperti allo Spirito universale.

Questa è la ragione per cui la definizione di Gesù data da John Cobb ha influito su di me in modo tanto potente, intellettualmente come teologo e spiritualmente come credente cristiano: Gesù è il cammino aperto ad altri cammini.

Quando Gesù disse «Io sono la via… Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14, 5-7), credo che volesse dire questo.

Paul Knitter

Articolo tratto da:

FORUM Koinonia 293 (6 febbraio 2012)

http://www.koinonia-online.it

Convento S.Domenico - Piazza S.Domenico, 1 - Pistoia - Tel. 0573/22046



Martedì 07 Febbraio,2012 Ore: 19:53
 
 
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