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www.ildialogo.org Obbedienza o povertà?,di Mario Mariotti

Obbedienza o povertà?

di Mario Mariotti

La gerarchia cattolica, per quel che ne so io, vescovi e sacerdoti, vincolano sé stessi coi voti di ubbidienza e castità, mentre ci sono degli ordini religiosi che fanno voto anche di povertà. Questi ultimi proteggono se stessi in questo modo: il salesiano o il francescano, come persone, rinunciano all'accumulo, ma a questo provvede l'Ordine, che non fa voto di povertà ed accumula per sopperire alle esigenze dei singoli, delle persone consacrate.
Tornando ai sacerdoti diocesani, vescovi inclusi, essi, per accedere all'ordine sacerdotale, si limitano a far voto di ubbidienza, il sacerdote al vescovo e quest'ultimo al papa; e a far voto di castità.
Ecco qualche riflessione in merito: Per prima cosa, del voto di castità di coloro che dovrebbero rappresentarlo in terra come degli “alter Cristus” a Cristus non interessa proprio niente! Fra i dodici apostoli c’erano quelli sposati e quelli no, e tutto questo, per il Signore non costituiva problema. Io penso che il voto di castità impoverisca l'umanità dei preti, e che sia stato introdotto, e soprattutto mantenuto per farne una casta a parte, separata dal popolo (vedi velo del Tempio), concentrata a contrastare le pulsioni sessuali naturali e alienata rispetto ai problemi reali degli individui e della società.
Un prete che avesse famiglia e un figlio che cerca lavoro e non lo trova, farebbe prima ad aprire gli occhi sulla malignità della forma di organizzazione economica e della cultura che improntano la nostra società. Qualche canchero al capitalismo, al mercato ed alla competizione lo manderebbe anche lui, soprattutto se non avesse i soldi necessari per arrivare alla fine del mese. Ma tant’é, il prete non ha famiglia, gode dei vantaggi del socialismo reale all'interno della struttura capitalista, questi vantaggi gli derivano dall’8x1000, dalle rendite e dalle entrate derivanti dalle offerte volontarie degli allocchi, che pensano, aiutando il prete, di aiutare i poveri; lui porta avanti una pastorale disincarnata e promette alle anime delle proprie pecorelle il socialismo nell'al di la, e tutto procede regolarmente: i ricchi ed i potenti possono procedere tranquilli nel proprio pio esercizio di fottitura del prossimo.
Passiamo, ora, al voto di ubbidienza. Qui io ho paura che stiamo inciampando in un grosso casino! Se uno fa voto di ubbidienza, lui deve ubbidire sempre. Se lui ubbidisce sempre, non é più lui stesso con la propria coscienza aperta al libero arbitrio, ma diventa un terminale, il braccio di colui che comanda, e al quale il soggetto che ha fatto il voto deve ubbidienza. In questa situazione rimane ancora la persona, il soggetto individuo, con la propria coscienza, dato che si verifica l'evento pericoloso in cui la persona rinuncia al proprio libero arbitrio e si trasforma in un esecutore, in un semplice esecutore della volontà altrui?
A questo punto il casino arriva a delle dimensioni micidiali: siccome i Tedeschi avevano giurato ubbidienza a Hitler, l'Olocausto era uno dei frutti, delle conseguenze di questa obbedienza al Fürer; tutte le persone che avevano contribuito a materializzarlo, a concretizzare, l’Olocausto, stavano ubbidendo al capo, e quindi il responsabile del casino, era lui, solo lui, esclusivamente lui!
Dato poi, in subordine, che Hitler era pazzo, e quindi malato, sarebbe andata a finire che, di colpevole, non c'era più nessuno, e che quindi una delle più grandi tragedie, dei più grandi crimini contro l'umanità non era più imputabile neanche al dittatore in quanto malato! Un crimine blasfemo senza nessun colpevole! Per fortuna non é andata a finire così, e, a Nerimberga, per lo meno i pezzi grossi del regime nazista furono considerati complici e corresponsabili, e quindi pagarono con la corda al collo la loro ubbidienza cieca al loro duce.
Altro discorso andrebbe fatto per quei milioni di Tedeschi che fecero funzionare la macchina, il cancro nazista, partendo dai ferrovieri che facevano funzionare i treni che portavano gli Ebrei ad Auschwitz, come bestie al macello, con coscienziosa: professionalità; e arrivando a quei dottori che pianificarono e portarono a termine l'eliminazione di tutti i portatori di handicap e dei malati mentali, perché costavano troppo alle casse delle stato e, in aggiunta, inquinavano la razza ariana che doveva dominare il mondo. Costoro si sono salvati facendo appello proprio al giuramento di ubbidienza, ma nel profondo di loro stessi qualche tarlo a rodere la loro coscienza é sperabile che abbia attecchito, se uno vuol continuare ad avere speranza nel futuro della umanità.
Tornando al voto di ubbidienza dei sacerdoti, io penso che questi ultimi si debbano trovare davanti ad un grosso problema: vale di più il voto di ubbidienza, o la propria libertà di coscienza? Se le direttive che arrivano dal vertice sono sbagliate, (favorire sempre e comunque, ora e sempre, per tutti i secoli dei secoli, da qui a1l'eternità, i ricchi ed i potenti, l'ordine costituito, ogni autorità che sia anticomunista), bisogna in ogni caso ubbidire, e si deve fare obiezione di coscienza? A me sembra che la risposta dovrebbe essere facilissima: se uno, seconde la propria coscienza, reputa di star ricevendo un input sbagliato, siccome alla fine del tempo egli stesso sarà giudicato come persona, e non come terminale del vescovo, mi sembra giusto ed ovvio che dovrebbe mandare l’ubbidienza a farsi friggere, e scegliere secondo coscienza, contravvenendo alle direttive del suo superiore.
Nella realtà il lavoro non funziona così: nella testa del prete é stata instillata la tesi che, se lui fa una cavolata perché gliel'ha ordinata il vescovo, anche se mette in atto il negativo sta acquisendo dei meriti, perché ha rispettato il voto di ubbidienza. A causa di questo tipo di logica é rarissimo, quasi impossibile trovare dei preti che mettono in atto obiezione di coscienza, (povero vescovo, che dovrà pagare per le cavolate proprie e per quelle degli esecutori delle sue direttive sbag1iate...)
E arriviamo finalmente, al termine della riflessione, al grande assente, a quelle che dovrebbe essere considerato una priorità e che invece viene ignorato ed eluso, cioè al voto di povertà. Quest'ultimo, in rapporto a coloro che si spacciano per annunciatori e seguaci di Dio-Amore, e quindi di Dio-Condivisione, non dovrebbe essere un elemento accessorio, ma una componente strutturale del proprio modo di essere e di determinarsi.
Coloro che si considerano alla sequela di Colui che ha indicato come beati coloro che scelgono il necessario, i poveri per scelta, e che ha denunciato la ricchezza come condizione maligna, in quanto rende ciechi di fronte alle sofferenze dei poveri Lazzari, (oggi i due terzi degli abitanti del Pianeta), ebbene costoro non possono eludere il voto di povertà: è lui ed è solo lui che può rendere coerenti e credibili in rapporto al Dio che essi dicono di annunciare e di servire. E se questo non avviene, come purtroppo non avviene, e la casta rompe l'anima al Signore coi due voti, ubbidienza e castità, che sono perfettamente inutili, ed in aggiunta anche alienanti, strutturalmente si manifesta il passaggio dalla sequela a Nostro Signore a quella di mammona, e S.R.Chiesa continua ad annunciare un Dio nel quale essa stessa per prima, con le proprie ricchezze, privilegi ed omissione di condivisione, dimostra di non credere.
Mentre il piccino nella grande favela del Sud succhia il biberon vuoto, si trova affamato, ricoperto di mosche, con la diarrea che lo porta a morire perché ha bevuto acqua infetta, il vicario di Colui che si é incarnato perché noi incarnassimo amore, e quindi condivisione, si affaccia al balcone della sua spelonca per benedire le Ferrari ed i proletari ivi contenuti, e per invitare il prossimo a quel “Beati i poveri” di cui la sua stessa immagine da faraone egizio é una bestemmia.
S.R.Chiesa deve prendere coscienza di questa realtà, che la colloca collaterale e connivente con la trinità maligna, che ne uccide la credibilità e la mette in simbiosi con mammona, e deve trovare la forza per fare il salto di qualità del passaggio al voto di povertà. Solo vivendo del necessario si può educare a vivere del necessario. E in più, oltre a diventare credibili, ci si sente anche liberi.
Altrimenti, senza il salto, il passaggio, la conversione, “Nulla salus”, nessuna salvezza, non extra, cioè fuori, ma in ecclesia, dentro la chiesa stessa!
Mario Mariotti


Sabato 16 Ottobre,2010 Ore: 19:58
 
 
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