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www.ildialogo.org Una riflessione sul vangelo del "povero Lazzaro",di don Aldo Antonelli

Una riflessione sul vangelo del "povero Lazzaro"

di don Aldo Antonelli

«Come dobbiamo accogliere l'insegnamento di questa straordinaria parabola? Come un messaggio di consolazione per tutti i lazzari di questo mondo che devo­no essere sicuri che Dio è dalla loro parte e che una volta chiuso il gioco della vita saranno consolati per i mali che hanno sopportato? È un messaggio di con­solazione per i poveri? Dobbiamo certo dire: è anche questo. Ma secondo i modi e l'espressione del lin­guaggio profetico questa raffigurazione dell'esito ul­timo della vita del ricco e del povero va assunta co­me un giudizio sul nostro tempo, sul presente. Di­versamente dalle raffigurazioni religiose, in cui la spinta consolatoria è l'unica spinta — per cui esse servono molto al mantenimento dell'ordine, a far sì che i lazzari stiano tranquilli alle porte e non faccia­no baccano, a far sì che gli epuloni abbiano benevo­lenza verso i lazzari ma senza inquietudine per la propria situazione — il linguaggio profetico investe invece in radice questa sperequazione, la condanna e quindi ci obbliga a rimettere in questione il nostro presente. So bene che la funzione consolatoria della rappresentazione dell'aldilà è sotto giudizio. Spesso, questo messaggio è stato usato per contenere l'in­quietudine degli esclusi offrendole il miraggio di un capovolgimento delle cose dopo questa vita. Ben in­sediati nei loro privilegi, i ricchi epuloni — “gli spensierati” come li chiama Amos — non si danno grande inquietudine di questo capovolgimento oltre la vita. Per lo più il loro cuore è ben radicato nell'a­teismo sostanziale. Essi utilizzano il linguaggio reli­gioso in funzione della legittimazione del disordine presente. E tuttavia non mi sentirei tranquillo in co­scienza se non riconoscessi il valore altamente uma­no, di grande misericordia che ha questo messaggio per gli esclusi. Noi potremo poi, da persone colte, abituate ad addentrare l'acume critico in tutte le manifestazioni culturali e sociali, vedere in questo l'op­pio del popolo e tuttavia, come sanno coloro che li conoscono, i poveri senza l'oppio non vivrebbero. Il problema si pone a chi li nutre di oppio, a chi non lascia loro altra alternativa che quella di morire di­sperati o di tirare avanti con un lume di speranza nel cuore».

Faccio mie queste osservazioni di Balducci e le tengo solo come premessa ad un discorso allargato.

Per dirla con un linguaggio attuale e laico, è chiara in questa parabola la condanna senza appello di quel mondo di ciechi che sono i benestanti, gli epuloni, quelli che noi chiamiamo borghesi.

Sì, ciechi, più che con gli occhi bendati. Qui del ricco non viene detto che è “cattivo”, “ingiusto”, “egoista”, “non devoto”, “poco religioso” o quant’altro…! Lui non vede! Semplicemente non vede! Non si accorge dell’esistenza di Lazzaro. Così come i ricchi di oggi (come quelli di sempre), i Berlusconi di turno e i Bossi di ritorno: non vedono i disoccupati, non vedono i cassintegrati, non vedono i precari, non vedono gli immigrati, non vedono gli sfruttati nei campi di pomodoro in Campania e nelle coltivazioni di caffè in Brasile e nelle piantagioni di banane in Africa.

Ciechi perché non vedono nemmeno i pozzi di sangue da cui vengono estratte le loro ricchezze, le violenze e i soprusi che sono all’origine del loro benessere.

Nel piccolo Principe di Saint-Exupery, nel dialogo tra la volpe e la rosa si legge: «Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi».

Freddi calcolatori di personali interessi, ragionieri spietati di convenienze immediate, tengono il cuore blindato nei caveau dei loro fortilizi, impossibilitati dalla loro soggettiva situazione a guardare fuori e lontano.

Carissimi, lascio a voi proseguire la meditazione, ma non prima di segnalarvi un altro ricco spunto di riflessione.

In questa parabola il povero ha un nome: “Lazzaro”. Mentre il ricco, senza nome, viene indicato con un aggettivo (o attributo)….

Sarà che nel povero vediamo la sola, purtroppo, nuda umanità, mentre nel ricco affastelliamo attributi, titoli e qualifiche in un deserto di umanità?....

E il nostro compito non dovrebbe essere quello di rivestire il povero dei suoi aggettivi (che sono i suoi diritti come il lavoro e il pane) e sottrarre ai ricchi tutti quegli orpelli che coprono le loro vergogne perché appaia, finalmente, che il re è nudo?

Buona domenica.

Aldo



Sabato 25 Settembre,2010 Ore: 17:33
 
 
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