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www.ildialogo.org "La favola ed il Progetto".,di Mario Mariotti

"La favola ed il Progetto".

di Mario Mariotti

Per forza la religione vince. Siccome abbiamo tutti paura della morte, delle disgrazie, del dolore, e siccome tutti sperimentiamo la sofferenza straziante della perdita di persone che ci sono care, se uno ci viene a dire che dopo la morte c'e una vita perfetta, che noi siamo eterni, che tutto il negativo di cui da vivi facciamo esperienza non ci sarà più, che avremo la possibilità, che è certezza, di riincontrare coloro che amavamo ed avevamo perduto, e che il passaggio della morte ci introduce in una dimensione di completa gioia e felicita; per forza rimaniamo incantati da queste parole, per forza siamo tentati di trovare riposo in questa prospettiva più che seducente.
Anch'io ho paura della morte, e per tenere a bada tale paura dico a me stesso che vivrò, morendo, l'esperienza che hanno gia vissuto i miei cari, quelli che oggi non ho più. Io andrò da loro, ci riincontreremo, potremo colmare ciò che non eravamo riusciti ad esprimere compiutamente nei rapporti fra noi quando eravamo vivi, vedrò, nella morte, un momento di solidarietà con loro che l’hanno già sperimentata, avrò la possibilità anche di trovarmi con tutte le bestioline che hanno allietato, e rattristato la mia vita arricchendola, anche loro, di tenerezza e di affetto.
Questa è la parte bella, seducente, che riesce a vincere ogni resistenza che viene dalla razionalità, la quale ci rammenta che la precedente visione è una pura ipotesi, non suffragata dalla conoscenza che ci viene dal pensiero scientifico sperimentale. La parte brutta, pericolosa, micidiale, viene non di seguito, ma collaterale alla prima: per accedere a quel regno dei cieli, che accoglierà l'eternità della nostra vita beata, bisogna dare retta al Dio che ci viene proposto dalla casta sacerdotale, e bisogna soprattutto praticare quelle virtù: umiltà, rassegnazione, ubbidienza e fedeltà, che permettono di superare le tragiche prove che incontriamo nella nostra vita terrena, la quale, più é angariata e tribolata, più ci purifica e ci rende degni di accedere alla patria celeste, alla quale, se diamo retta, siamo destinati.
Con questa operazione la casta sacerdotale costruisce un Dio funzionale alle proprie esigenze, si unisce con legame indissolubile al potere politico, si pone in simbiosi con lui sacralizzando coloro che sacralizzano lei stessa, e il periodo di prova, cioè questo nostro concreto mondo, diventa, o si mantiene, il terribile luogo dominato dalla violenza, dallo sfruttamento, dalla miseria, dalla sofferenza, dall'oppressione che il gregge dei fedeli-credenti deve digerire se vuole sperare in una sua felicità eterna nell’al di la.
Questa e la caratterizzazione di quella che è la visione religiosa della realtà, che si é venuta costruendo sui desideri, sulle debolezze, sulle speranze del genere umano, e che da sempre permette ai pochi di dominare, ai molti di subire la violenza e l'oppressione dei pochi, che rende faticosissima, quasi impossibile, un’evoluzione positiva delle condizioni esistenziali degli oppressi, dato che la religione per prima li rende funzionali, attraverso la proposta delle virtù summenzionate, all'oppressione ed alla violenza che essi si trovano a subire.
Come contrastare, cari fratelli, la precedente bellissima ipotesi, più favola che ipotesi, spacciata come certezza, del nostro meraviglioso futuro se saremo credenti ed ubbidienti, dato che tutti temiamo la morte, vorremmo vivere sempre, vorremmo non perdere mai coloro che amiamo? In aggiunta a questo, la perversione della simbiosi Tempio-Impero, della religione a del potere, é talmente radicata, sedimentata nei secoli dei secoli, che essa passa come fisiologica, naturale, scontata. E, in aggiunta, ci si mettono anche i miracoli a complicare la cosa, perché tutti, ad un certo punto, ne avremo bisogno, e perfino nel Vangelo dicono che il Signore fa miracoli, e chissà che uno di essi non si possa ripetere in rapporto a noi se siamo colpiti dalla disgrazia e dalla malattia.
Io non credo nei miracoli, e secondo me essi indeboliscono la Parola, cha dovrebbe essere sostenuta solo dalla Verità. (il miracolo é intrinsecamente ingiusto, perché é per uno a non per tutti; ed anche la prima e più semplice determinazione di Dio le concepisce come Giustizia, come Javè il Giusto).
Forse le prime comunità cristiana volevano mandare dei messaggi derivanti dalla loro esperienza del Signore e li hanno formalizzati come miracoli. Ad esempio, il messaggio: la condivisione anche dal poco riesce a saziare tutti, raccontato come miracolo, diventa l'episodio della moltiplicazione dei pani a dei pasci. Questo, per rispondere ai desideri degli interlocutori, che, come tutti noi, avevano bisogno e speravano nel miracolo.
Fatto sta cha anche la speranza nella possibilità del miracolo arricchisce e da forza alla visione religiosa della realtà, e quindi alla casta sacerdotale, e quindi al potere col quale essa fraternizza e convive. La visiona laica di Gesù é molto meno accattivante, e molto più impegnativa. Non si parla di al di la, di uno che paga per tutti, di interventi miracolosi, di mondo come periodo di prova, L'amore e la condivisione vanno incarnati da noi nell'al di qua; ognuno deve spendere sé stesso facendosi pane par gli altri; i miracoli li facciamo noi se attiviamo l'intelligenza a la ragione per trovare gli strumenti che rendano possibile all'amore di diventare efficace; il Regno non é nell'al di la, ma va costruito nell’al di qua, trasformando il nostro concreto e schifoso mondo attuale secondo Dio, secondo Amore, in modo che tutti i viventi abbiano il necessario a la gioia, anche i minimi, anche i minimissimi.
E poi, nella religione, si parla di noi cha entriamo nella vita eterna, e l'"io" va tranquillo; mentre nella visione laica, noi siamo segmenti dell'eternità della vita, siamo tralci provvisori della Vita, e nessuno parla di tralci perpetui, ma solo di Amore che si materializza nell'Amare quando noi amiamo e condividiamo, e di una nostra partecipazione all'eternità dello Spirito-Amore nel momento stesso in cui le facciamo, di amare e condividere.
L'"io" si perde in questo. L’amore, quando é gratuito, é tutto proiettato sull’oggetto del proprio amore; e la nostra gioia é nel portare a lui il necessario a la gioia. L'"io" si perde in questo, e il desiderio di continuità si sperimenta proprio per poter continuare a portare il necessario a la gioia a chi ne é assetato. Alla fine noi cederemo, ma ci saranno altri tralci a dare frutto....ci saranno altri corpi a dar vita allo Spirito...ci saranno altri a tradurre l'Essenza in esistenza... Questa la nostra speranza, atomo della speranza di Dio stesso, Dio stranissimo e misterioso, che può essere "vissuto" senza essere "conosciuto", perché vive ed opera nella prassi dall'amare e condividere superando la conoscenza stessa, resa secondaria ed accessoria dal sentimento metarazionale della compassione.
"Quand'é, Signore, cha ti abbiamo fatto questo, cioè saziato e dissetato?”. Quando l’avete fatto gratuitamente ai minimi…” Dio, se c’è, non ci chiede altro che questo, o meglio, essendo noi in Lui, cerca di fare questo con le sue mani, cioè con noi, strumenti di un Dio che comunque, anche se non ci fosse, va costruito in Regno, il che si traduce nel togliere la sofferenza e nel portare il necessario e la gioia a tutti i viventi, praticando giustizia, amore, condivisione.
 
Mario Mariotti


Martedì 04 Maggio,2010 Ore: 22:34
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 04/5/2010 23.12
Titolo:Grande Mario
Bellissimo

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