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www.ildialogo.org Quando l'io diventa noi,di Aldo Bergamaschi

17 dicembre 2017
Quando l'io diventa noi

di Aldo Bergamaschi

Pronunciata il 13 dicembre 1987
Giovanni 1, 6-8.19-28
 

 
Giovanni Battista, sebbene sarebbe un personaggio ricondotto in area cristiana, nei testi che lo riguardano, e in questo che abbiamo letto, appare evidente lo sforzo di ricondurlo alle dimensioni di Gesù Cristo. Perché? Quest'uomo aveva molte cose in comune con Gesù Cristo, per esempio la contestazione al sistema mediante un segno di protesta, il battesimo contrapposto alla circoncisione. Le autorità costituite si allarmeranno e si domanderanno da dove viene questo battesimo, l'occhio del palazzo è sempre presente perché teme una qualche rivoluzione, una qualche insidia al proprio star bene.

Da qui la schiera di discepoli che avevano fatto di lui un leader, avevano fatto di lui una lettura totalizzante indipendente dalla figura di Cristo. Anzi, per alcuni versi superiore a Cristo, perché Giovanni si nutriva di miele selvatico e locuste, andava vestito di peli di cammello e simili, invece, Gesù Cristo no. Questo sarebbe un aspetto da considerare come il vero ascetismo che combacia con il massimo dell'uso razionale dei finalismi.

Gesù fu accusato di essere un mangione e un beone, unicamente perché andava in mezzo alla gente e non si era ritirato nel deserto a fare penitenza come Giovanni. Gesù andava vestito con una bella tunica bianca preparata da sua madre Maria, e dunque il rabbi, non aveva coltivato l'ascetismo, perché il vero ascetismo consiste nel sapere usare tutte le cose con il massimo della razionalità. Dunque, con il massimo della celebrazione e con il massimo dell'estetismo razionale, e quindi non ci sarebbe il rifiuto delle cose, ma ci sarebbe la loro celebrazione.

Con una battuta: è molto più facile fare dei digiuni, in alcuni periodi dell'anno, per darci la consolazione o per darci l'illusione di essere delle persone che fanno penitenza, ma è molto più difficile essere morigerati sempre nel mangiare, nel bere, nel vestire e così via. Le intenzioni dei vangeli erano di fare rientrare la novità di Giovanni nella novità di Cristo, perché i suoi discepoli, dico quelli di Giovanni, avevano creduto nel suo battesimo e quindi ritenevano superfluo quello di Cristo. Ecco l'equivoco della prima chiesa, e sembra che le cose si siano trascinate quasi per un secolo sempre con questo equivoco, il battesimo di Giovanni, il battesimo di Gesù. Certo il battesimo di Giovanni era una contestazione al palazzo, ma il battesimo di Gesù era la costruzione vera della casa dell'uomo, una costruzione che non fosse mai più il palazzo.

Ora, il personaggio Giovanni è emblematico perché, pur essendo stato per la massima parte modellato - o una costruzione dell'evangelista - per dimostrare la sua tesi, e cioè che Giovanni sarebbe in funzione di Cristo. Avete capito dove potrebbe entrare la deturpazione del personaggio emblematico? Nelle affermazioni qui riportate vi è un nucleo di autenticità che ci può aiutare a definire il cosiddetto “io”. Quando questo io diventa noi e si trasforma nel primo supporto psicologico e poi sociologico, si capisce l’etnocentrismo. Sappiamo che questo "io" contiene esattamente la forza del rumore delle cascate del Nilo, mentre invece, una goccia presa sola, quando cade non produce rumore. Eppure, quando questa goccia diventa fiume, produce un rumore che si sente lontano.

Il famoso “conosci te stesso” che aveva suggestionato anche Socrate, ha una lunga storia esegetica, viene giù fino ai nostri giorni, ma l'ultimo capitolo importante è stato scritto da Nietzche. Sentite cosa dice: Come può l'uomo conoscersi, egli è una cosa oscura e velata; se la lepre ha sette pelli l'uomo ne ha settanta per sette, e dopo aver raggiunto quelle quattrocentonovanta, non può dire questa non è più corteccia. Quindi è un tormento - egli dice - discendere con violenza nel pozzo del proprio io, perché non si sa dove abbia le sue radici. Bene, in questo pozzo Nietzche progetterà, come tutti sanno, per l'io la volontà di potenza. Traduciamo così: lo sforzo che l'individuo deve compiere per imporre la sua veracità e renderla universale. Il sogno profondo è quello di eliminare la distinzione fra bene e male e quindi diventare noi gli arbitri dell'uno e dell'altro. Ed ecco allora l'io che deve imporsi come verità universale.

Vogliamo citare e avvicinarci alla nostra storia? Scipione, Annibale, i due capitani, la notte prima della battaglia di Zama, ebbero un colloquio. I due - dice Livio - erano coscienti, e ogni soldato delle due parti era cosciente che nel giro di ventiquattro ore - tale era la durata delle battaglie all'epoca - si sarebbe deciso chi dei due avrebbe imposto al mondo le leggi della convivenza. Potrei proseguire con Cesare, Napoleone, fino a Reagan e Gorbaciov. Se non siamo cristiani con gli occhi aperti, rischiamo di diventare le pedine di merce di scambio di una storia, purtroppo, che continua per la sua strada.

Adesso vi farò l'analisi manzoniana per dimostrare come la definizione del nostro io sia alla radice di tutti i nostri guai. Alessandro Manzoni si era posto il problema dei cosiddetti odii nazionali. L'uomo, ognuno di noi, faccia i propri calcoli: i genitori, che hanno intenzione di mettere al mondo dei bambini si ricordino che la educazione non è gratuita, non si nasce uomini ma si diventa, non si nasce cristiani, ma si diventa, dunque nulla di gratuito. Vediamo la violenza ai bambini, probabilmente ci siamo messi in testa che sia sufficiente mettere al mondo un uomo per avere già compiuto un opera meritoria.

L'uomo tende a riferire tutto a se stesso, e anche quando entra in società coi suoi simili, prolunga soltanto l'amore di se e lo estende a una società particolare, a quella con cui ha comuni gli interessi e l'orgoglio. Non estende il suo amore a tutti gli esseri umani, perché gli sembra che l'eccellenza propria cresca con il confronto, giacché con il confronto può attuare l'abbassamento altrui. Quando l'uomo dice noi dice sempre io.

Tu sei Elia, il profeta, il Messia? Ecco la tentazione, l'uomo quando dice noi dice sempre io, per cui la parzialità relativa alla propria nazione è una ingiustizia che non fa stupore, e che Dio ha fondato le nazioni, ha istituito i popoli e gli esponenti delle religioni: amen amen amen. E Gesù Cristo era venuto esattamente ad azzerare tutto questo, se foste veramente i suoi “rappresentanti”, dovreste tenere vivo nella storia questo principio: che non si deve mai allungare l'io fino al noi e poi a un certo punto mettere la barriera e dire là ci sono gli altri. Ma questo non è stato fatto e allora bisognerebbe tornare indietro.

Ultima domanda: perché l'uomo cerca l'identità di gruppo? (Ecco che cosa sarebbe l'etnocentrismo) Risposta: per fare esplodere la sua volontà di potenza. Singolarmente preso è piccolo, ma siccome dentro al cervello c'è la volontà di potenza, egli si aggrega ad altri per poter attuare questa maledetta volontà, rovesciandola contro un bersaglio qualificato come l'altra nazione, l'altro popolo, e tentare così il dominio del tutto, in un tempo senza tramonto. Questo è il serbatoio che alimenta lo spirito missionario di tutte le religioni e di tutte le ideologie.

Concludiamo: chi vuol salvare la propria vita deve perderla e deve perderla a causa del Logos. Giovanni dice io sono una voce, una voce a servizio fedele di un pensiero. Il rapporto è rigido, la voce è al servizio di un pensiero. Voce non è altro che l'aspetto più apparente fenomenico di quello che noi chiamiamo la parola, quello che io sto dicendo qui, sentite, la mia è una voce. Ora mettersi nella condizione di definirsi una voce vuol dire definirsi una persona in servizio, perché quando la parola si emancipa dal pensiero che la fonda, diventa presto una menzogna e quando la menzogna si afferma ahimè, l'io è disgregato e perduto per sempre.
 
 



Domenica 17 Dicembre,2017 Ore: 11:16
 
 
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