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www.ildialogo.org Il contrario del peccato è la fede,a cura di padre Aldo Bergamaschi

7 maggio 2017
Il contrario del peccato è la fede

a cura di padre Aldo Bergamaschi

Pronunciata il 10 maggio 1981
Giovanni 10, 1-10

 
Il passo di oggi non lo potrò spiegare, poiché avevo un conto aperto con voi, avevamo lasciato in sospeso un discorso. Il passo di san Giovanni fa venire dei sospetti, che proprio sia un richiamo al vero pastore, che sia Gesù Cristo, facciamo attenzione perché poi, pastori che dicono di avere avuto il mandato da Lui, probabilmente non erano del tutto in linea con Lui. Se noi perdiamo il contatto col vero Pastore, andiamo addietro a questi altri pastori i quali dicono di essere pastori. Gesù dovrebbe conoscere le sue pecore una per una, invece i pastori che abbiamo purtroppo non le conoscono.

Cerchiamo se riusciamo di condurre a termine il discorso aperto due domeniche fa, ed eravamo arrivati al momento delicato della confessione. Siamo partiti dalla frase di Gesù: A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi. La prima parte riguardava coloro che entravano nella Chiesa, la seconda riguardava coloro che sono dentro alla Chiesa, per esprimerci con molta semplicità. Non c’è sventura peggiore per l’uomo che credere al peccato quando non c’è altro credo che la remissione dei peccati. Frase un po’ difficile e contorta, vediamo di esplicitarla: il contrario del peccato non e la moralità, ma la fede, e la fede deve rivoluzionare tutta la nostra esistenza e tutti il nostri rapporti per essere fede a Cristo o in Cristo risorto. La moralità, che cosa fa? tiene in riga. Ognuno di noi pensi ai casi prima per vedere se è in questa condizione, cioè di uno schiavo che va in riga perché c’è una moralità da osservare. La moralità tiene in riga e crea l’illusione psicologica di essere in ordine. E poi la strumentalizzazione del confessionale, come surrogato meccanico della conversione.

Paolo Diacono, ha scritto tutta la storia dei Longobardi, vissuto all’epoca di Carlo Magno dice che un certo papa Valeriano, manda in Britannia l'arcivescovo Teodoro, vissuto nell'anno 668 circa e che costui espose con mirabile e retto discernimento i giudizi dei peccati. Cioè quanti anni di penitenza ciascuno debba fare per uno od altri peccati. Voi vedete che cosa accade quando cade la ecclesia prevista da Gesù. Voi avete una forma di tassazione che ridà tranquillità alle coscienze nella singolarità. Certo se noi concepiamo il confessionale come un rendiconto rispetto a una lista che é stata stabilita, è ovvio che non costruiremo mai la ecclesia. Allora in questo caso nessuno pensa più a diventare una nuova creatura, ma ognuno pensa come salvarsi restando quello che é. Il lupo non smette di mangiare le pecore, il lupo mangia le pecore, poi dice le preghiere perché questo gli produce la salvezza di là, ma egli resta lupo non muta. Ecco cosa produce l'elenco dei peccati tracciato in questo modo.

Miei cari confratelli sacerdoti, noi gestiamo un gruppo religioso, ma non la conversione evangelica. Non solo, caduta la confessione come conversione, nasce come puro sacramento, vale a dire come un bene in sé, quindi come une strumento assai pericoloso perché somiglia più a una pastiglia che all’alto forno, se mi é lecito restare appunto nell’immagine. Ecco a che cosa potrebbe ridursi una confessione, ecco in quale trappola potrebbero cadere coloro che consigliano la confessione frequente senza consigliare la conversione che invece è volta ad eliminare l'ingordigia, che oramai si è identificata con il nostro essere. Il vero cristiano deve rendere inutile la confessione, perché la sua sarà una progressiva conversione. La caccia alla conversione evidentemente non è la ricerca dei peccati scritti nella tabella, è la riforma di tutto il nostro essere.

D’altra parte Gesù ha mandato i suoi discepoli non a confessare, ma ad annunciare la novella e si riprende da capo il discorso con quelli che vivono nella caduta dei valori. Si frequenta troppo perché si è nevrotizzati, schiavi del peccato come infrazione cioè per paura dell'inferno. Vedete che non è il timore di non essere all'altezza della al di là, cioè di non essere degni del Regno dei cieli, ma di non essere in ordine seconda una certa tabella per poter entrare alla festa perché alla festa ci piace tutti essere presenti. Questa sarebbe la psicologia che ci porta appunto a questo tipo di confessione frequente.

I peccati che si confessano sono peccati di religione non peccati di vita. Cioè quelli che vanno contro la tabella non quelli che annullano l'attuazione del messaggio. Allora faccio adesso una domanda alle donne: preferite un marito che avendo una relazione con altre donne tende al largo dalle confessioni, perché capisce che lì bisogna andarci per convertirsi, o invece un marito che continua a tradirvi con il sorriso sulle labbra e ogni settimana va a confessarsi per questo peccato per dimostrare a voi che lui è un uomo che osserva i riti? Io non so quale risposta potreste darmi, certo il meglio sarebbe non avere né l'uno né l'altro.

Dal punto di vista del mio discorso preferisco il primo uomo, il quale sa benissimo e si tiene al largo dalla confessione. All’altro il sacramento non gli fa nulla, perché lui tutte le settimane trova la sua allegra psicologia, il confessore gli ha tolto via l'erba dalla superficie, ma la gramigna fra quindici giorni è lì più prepotente di prima perché le radici non le ha tolte.



 



Sabato 06 Maggio,2017 Ore: 10:35
 
 
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