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www.ildialogo.org Non potete servire Dio e mammona,di Padre Aldo Bergamaschi

Omelia del 18 settembre 2016
Non potete servire Dio e mammona

di Padre Aldo Bergamaschi

Pronunciata il 18 settembre 1983

Luca 16, 1-13

Entriamo subito nel vivo del discorso: un amministratore disonesto fu accusato…, ma attenzione, se allarghiamo la denuncia oltre una certa soglia, gridiamo all'abuso. Chi ha accusato, secondo voi, ha fatto bene o ha fatto male? Ecco, questo è il rompicapo sociale entro cui noi ci troviamo. É ovvio che qui c'è - alla radice - un fenomeno mafioso: badate che colui che ha avuto il coraggio di fare l'accusa è da supporre che abbia mostrato la faccia. Sono d'accordo: le denuncie anonime non stanno bene, ma quando c'è qualcuno che ha questo coraggio, voi cosa dite?

Io pure sono perplesso, perché se il principio si allarga può diventare un disastro; però, se tutti tacciono, l'ingiustizia si perpetua senza possibilità di sanzione. E allora il pericolo è che si denunci per mettersi al posto del denunciato. Ecco quello che paventiamo nella logica della denuncia. Ma d'altra parte, si può fare  denuncia perché colpiti personalmente: in quel caso dobbiamo preoccuparci dell'ingiustizia solo quando ci riguarda personalmente, oppure anche quando riguarda altri e riguarda tutta la collettività? Vedete la ramificazione di questo problema?

Certo, l'ideale sarebbe di sentire una unità biologica, economica e mistica, per cui la giustizia dovrebbe essere al servizio della carità, e questo dovrebbe essere l'ideale cristiano. Con tutta riserva, resto dell'avviso che quei signori che hanno denunciato la sequela di rapine (che erano poi rapine a tutta la collettività) e hanno mostrato la faccia, sono da lodare.

Probabilmente nel passo di S. Luca si vuole adombrare questa capacità di denuncia all'interno della ecclesìa. Primo rilievo su cui torneremo, è uno dei due punti più difficili o caratterizzanti del passo evangelico. Gesù loda la strategia, diciamo la intraprendenza di chi è astuto, ma l'intelligenza, che i buoni filosofi antichi chiamavano prudenza, non è una virtù morale, uno che è intelligente non è virtuoso, ma ha la capacità di raggiungere il fine quale esso sia.

Qui è lodata la capacità di mettere al sicuro il proprio futuro. Il fine - mi dispiace - è egoistico: tu io, al sicuro, cocchiumando (chiudere in una botte) gli altri come se fossero insetti. Il fine è egoistico, i mezzi sono disonesti, come lo sono le false ricevute (scrivi cinquanta anziché cento, ottanta anziché cento...), ma l'intelligenza con cui è condotta l'operazione resta un capolavoro, dobbiamo ammetterlo. Un capolavoro da imitare qualora, appunto, i fini siano obiettivamente giusti e buoni, e i mezzi onesti. Questo dovrebbe essere il caso del cristiano con un fine altruistico, costruire, in termini più generali, il paradeison, usare mezzi onesti, lavoro produttivo.

Eppure non si vede intelligenza nel portare a termine questo genere di operazione. Quelli senza fini e con mezzi disonesti costruiscono torri, il cristiano con fini buoni e con mezzi onesti non riesce a costruire: probabilmente è questo il richiamo dell'evangelista alla prima generazione cristiana. Forse siamo incerti sul fine e sui mezzi, e allora siamo tentati di andare a prestito da altre ideologie.

C'è una frase di Gesù che fa riflettere: usate anche voi le ricchezze disoneste per farvi degli amici. Traduco: tutto il nostro danaro è sporco, anche quello delle banche vaticane, tutto danaro sporco. Ecco, l'arte del cristiano dovrebbe consistere nel farlo diventare pulito. Se proprio non riusciamo a farlo diventare pulito nella sua sostanza e alla radice, almeno facciamolo a questo livello. Che non è il giusto, perché certe frasi non mi piacciono: il dire per esempio che Dio ama il povero ... no, Dio non vuole che ci sia il povero! Non accetto il discorso a questo livello! Non l'accetto perché qui c'è proprio il richiamo a costruire una ecclesia in cui non ci sia spazio per il povero storico. Giacché, laddove ci sono dei poveri di spirito, cioè dei ricercatori di valori spirituali, non ci devono più essere i poveri storici. E allora facciamo attenzione: anche il passo di Amos, che non voglio spiegare alla radice, ha questo vizio. Come se Dio dovesse entrare a parteggiare. No, Dio non vuole che ci siano le parti.

Adesso riaffrontiamo più analiticamente i due punti cardini del discorso, un parlamentare - ho letto l'episodio su un giornale - alla domanda: Come è riuscito lei a mettere insieme tante case e tanti terreni? ha risposto: Col frutto del mio lavoro. Lì accanto, un operaio che potrebbe essere mio o vostro padre, eleva un solo lamento: Ho lavorato tutta la vita e non ho una casa, e anche la pensione è insidiata, serve appena ad affrontare le spese quotidiane.
Nel primo caso c'é un signore che ha capito che la ricchezza - certa ricchezza - la si ottiene non col lavoro, ma operando sul danaro, e il danaro è non solo un valore scisso dal lavoro, lo vedete anche voi: è ovvio che, in teoria, il volume del danaro non dovrebbe essere superiore al volume del prodotto corrispondente. Ma a livello mondiale, la cosa certa è che questo volume di danaro, dovendo essere pari al prodotto, riesce a creare delle sacche di povertà in un mondo che potrebbe dare da mangiare a quaranta miliardi di uomini, mentre non riesce a sfamarne quattro, dal momento che un miliardo muore di fame.
Allora, frutto del mio lavoro? Anche il fattore lavora, ma su false ricevute; certo, è un lavoro anche questo, ma su false ricevute, per non voler lavorare direttamente a produrre capitale. Il capitale c'è già: allora lavora per fare arrivare a casa sua il capitale esistente, il capitale altrui, prodotto da qualcuno che è anonimo, la cui faccia non vede, le cui braccia non vede, non vede produrre il capitale.

Per controllare il ladrocinio giuridico abbiamo un nucleo di poliziotti, ma chi riesce a fare la guardia al ladrocinio sociale? Chiara la distinzione: altro è il ladrocinio giuridico, e altro è il ladrocinio sociale, che nessuno vede, contro cui nessuno protesta. Ecco probabilmente questo il richiamo di S. Luca e di Gesù.

Qualche tempo fa si parlava del quartiere come momento molecolare della convivenza: ci andate voi alle riunioni di quartiere? Credo che sia diventata anche questa una moda decaduta. Siamo sinceri, l'idea guida del quartiere è l'antico divide et impera, seziona e domina. Credo che sia una legge anche per il buon medico, che non può aggredire con le medicine e in maniera vaga tutto il corpo; no, deve analizzare bene, poi trovare il punto in cui il corpo è malato, e per fare questo deve sezionare col principio del divide et impera dei Romani.

Credo che non ci sia altra strada, dal punto di vista civile, per vincere la delinquenza giuridica e quella sociale, direi che è la strada pedagogica preventiva. Ma c'è chi teme il controllo sociale, come il fattore infedele. Nel quartiere tutti sanno chi ha un certo reddito, chi ha detto la bugia, chi nasconde, e chi ha dei traffici. Pensiamo che a fermarci sia un certo concetto della carità cristiana, ma ho paura che invece ci fermi l'idea che anche noi potremmo fare la stessa cosa se ce ne capitasse l'occasione, e gradiremmo che nessuno facesse il delatore nei nostri confronti.

Sicché noi diventiamo piuttosto degli invidiosi di coloro che armeggiano, fanno, brigano e poi un bel giorno comprano qui e là come quel signore che elencava case e terreni e le diceva frutto del suo lavoro e non dei suoi traffici, con le mani sul danaro come se il danaro fosse una cosa. Allora si dice, questo controllo così ravvicinato potrebbe esasperare la tensione sociale e lo scontro politico. E già, perché il fattore di cui ci narra il Vangelo sarebbe stato pronto a prendere tutte le tessere di partito o dei sindacati pur di avere la copertura.

Quando uno si iscrive a un partito, ha la copertura dell'amicizia, e allora cade la verità, naturalmente, e in nome dell'amicizia si fanno le festa dell'amicizia e dell'unità... direi che sotto quelle due parole c'è una visone filosofica del mondo. Bisognerebbe fare la festa dell'amore, ma la parola è ambigua; la festa della verità, ma la parola potrebbe diventare sciupata; dobbiamo limitarci a fare la festa dell'amicizia, a meno che l'amicizia non calpesti la verità, o la festa dell'unità, a meno che non sia la festa della unità di coloro che vogliono conquistare il potere e imporre poi la propria etica agli altri.

Ecco la domanda su cui dobbiamo riflettere: i criminali sociali, parola forte me ne rendo conto, sono una minoranza neutralizzabile, oppure essendo tutti in cuor nostro dei criminali sociali ci muoviamo poi solo quando la condizione non è più riassorbibile? Ecco la condizione in cui ci troviamo.
Ebbene la ecclesia di Gesù dovrebbe essere il luogo in cui c'è sì la banca, ma non il segreto bancario. Un luogo dove c'è la banca perché la banca ha una duplice valenza, può essere la razionalizzazione di una eccedenza oppure l'uso della scoperta che il danaro può produrre danaro. Se noi accettiamo che originariamente la banca sia stata inventata, e ognuno di noi la inventerebbe, perché si tratta di razionalizzare una eccedenza, allora dovrebbe cadere, in una buona ecclesìa, il segreto bancario. Ma quello resta, quindi la ecclesia non c'è. Dunque, lungi da noi la possibilità di eliminare la delinquenza sociale.

La delinquenza giuridica probabilmente la elimineremo perché la fronteggiamo col moltiplicare il contingente poliziesco, ma per quanto riguarda la soluzione del problema, non lo demando più alla società civile, e non lo demando più a nessun partito. Il mio sogno, la mia utopia resta solo la ecclesia, ma a quelle condizioni.

Concludiamo così: a mio avviso la cultura marxista è nata perché la fede dei cristiani non ha saputo risolvere il rapporto fondamentale dell'esistenza, che è il rapporto fra capitale e lavoro. Abbiamo dimenticato che il padrone è solo Dio, ecco l'altro aspetto della parabola: è che noi siamo tutti servi, gli uni degli altri a servizio di lui. Dimenticando questo, ecco che c'è qualcuno che dice: signori vediamo di dare una nuova struttura al mondo per vedere di tirarci fuori da questa situazione.

Io non dico che ci siano riusciti, anzi, purtroppo hanno ottenuto il rovescio rispetto a quello che si proponevano di ottenere, perché la fede non ha saputo risolvere quel rapporto.

Sia l'acculturazione marxista della fede - lo concedo a questi cristiani smaniosi di cercare appunto dei metodi - sia la ricerca di una cultura cristiana, ho paura anche di quella, perché storicamente sappiamo cosa è successo, sarebbero due errori di metodo già compiuti nel passato. Allora è sufficiente attuare la fede nei rapporti sociali per servire la causa dell'uomo e per fare questo non c'è bisogno che un cattolico riversi le sue energie in un partito quale che esso sia, ha già la sua fede che lo deve guidare in queste scelte. E ciò potrà avvenire, come primo movimento, come punto di partenza, solo fra cristiani.

Ecco allora come vedo la unità dei cristiani: per risolvere, non per opporsi agli altri. Questo vorrei che fosse capito da quei critici che parlano di integrismo. Io l'integrismo lo rifiuto, io parlo di unità per risolvere. E perché sono così geloso di questa unità dei cristiani? Perché le rinunce che si prevedono sull'egoismo di fondo dell'io, solo un vero cristiano le può fare.



Sabato 17 Settembre,2016 Ore: 16:48
 
 
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