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www.ildialogo.org Simone di Giovanni, mi ami?,di Padre Aldo Bergamaschi

10 aprile 2016
Simone di Giovanni, mi ami?

di Padre Aldo Bergamaschi

Pronunciata il 25 Aprile 2004
Giovanni 21,1-14
Questo passo è un’appendice al Vangelo già compiuto, però appare in tutti i codici e le versioni antiche. Mi spingo in questa ricerca per farvi notare che questo passo è di una importanza strategica, per cui doveva far parte del Vangelo, prima che esso fosse divulgato oltre il luogo di composizione. L’autore – è chiaro – è Giovanni. Domanda: perché ha scritto questo episodio? Perché in Occidente – Giovanni si trovava a Efeso – correva il passo di S. Matteo dove si dice: “Ti darò le chiavi del Regno dei cieli…”, lì i teologi trovarono il fondamento dell’autorità papale secondo quei canoni che poi si sprigioneranno nel Medio Evo.
Ritorno alla domanda: perché Giovanni ha scritto questo episodio? Perché nella Chiesa di Corinto era avvenuta una spaccatura, i laici si erano sollevati contro i chierici e ne avevano fatto deporre alcuni di vita santa. Santi personalmente sì, ma simbolo di un potere che Gesù non aveva dato nella Chiesa. Di quell’episodio si tace l’oggetto della contesa, si dice solo che si trattò di gelosia o di invidia, da cui un ricorso a Roma, dove era Papa Clemente Romano; romano di Roma. Costui è il terzo successore di S. Pietro, quindi il quarto Papa che opera dal 90 al 100. Giovanni è ancora vivo, muore più o meno in quel periodo. Clemente Romano scrive una lettera alla comunità di Corinto, dove si dice di riconsiderare l’obbedienza del creato a Dio: “Vedete come è bello il creato, c’è il giorno, la notte, le stagioni”.
Dalla natura si passa al sociale: “Vedete i soldati, militano sotto i nostri capi, guardate la disciplina, la sottomissione, non tutti sono proconsoli o tribuni, ma ognuno al proprio posto esegue i comandi dell’Imperatore. Ciascuno sia sottomesso secondo il grado di grazia in cui fa posto: il ricco aiuti il povero, il povero ringrazi Dio di avergli concesso chi sovviene alla sua miseria. Al Pontefice sono state conferite mansioni liturgiche speciali, ai sacerdoti è stato dato un posto speciale, ai leviti spettano servizi particolari: il laico è legato a regolamenti laici”. È qui dove nasce la spaccatura nella Chiesa tra chierici e laici. Vi chiedo allora: ditemi, in questa lettera che ho sunteggiato per linee portanti, v’è qualcosa che richiami il Vangelo? Purtroppo c’è una Chiesa modellata sull’Impero Romano, ma non sul messaggio Evangelico.
Dopo questa lettera molti cristiani si rivolgono a Giovanni per sentire la sua versione, per sapere come realmente stanno le cose e per fortuna è ancora vivo. Il suo intervento, che abbiamo letto, tende sì a confermare il primato di Pietro, ma racconta i particolari e si scoprono gli altarini gettando acqua sul modo di concepire il primato. Egli dice a quali condizioni è stato dato questo primato a Pietro. Clemente Romano accentua la piramide, Giovanni, invece, riferisce particolari che la smontano. Tendo a credere che questo passo, autenticato da tutti i codici, sia l’autentico, relativo al racconto della consegna del primato a Pietro e molti teologi di grande statura tendono a dire che il passo di S. Matteo è veramente spurio. Non è problema che posso decidere io, però mi pare che questo di Giovanni sia il vero racconto: mette le cose in chiaro, essendo lui presente ai fatti.
Gesù sceglie Pietro, ma dopo un esame sull’amore, Pietro aveva infatti protestato che non Lo avrebbe abbandonato nemmeno se gli altri Lo avessero fatto, ricordate prima della Passione? “Io non…” Poi i tradimenti che conosciamo: “Prima che il gallo canti…”. Qui Pietro cade in contraddizione e c’è aria di sarcasmo psicologico nelle parole di Gesù quando dice: “Mi ami tu più di costoro?”. Prima della Passione Pietro aveva preso a confronto gli altri, adesso si guarda bene dal dire più di costoro, dice solo: “Tu sai che io ti amo”.
Per chi è il richiamo? È per il terzo successore di S. Pietro, è per Clemente Romano, come dire: Bada che il primato è legato all’amore e non al concetto di autorità pagana. Poi l’immagine: “Pasci i miei agnelli, le mie pecorelle”. Blaise Pascal, grande scienziato, fa l’osservazione: “Gesù dice, pasci i miei agnelli, i miei, non i tuoi”, terribile!
Noi siamo agnelli di Cristo, non del Papa, poi le mie pecorelle. Chi pascola – Pasci i miei agnelli – è lui pure un garzone, non è il padrone, il padrone del gregge è Gesù, il Pastore è Lui, gli agnelli e le pecorelle non sono di Pietro: Pietro è in servizio, non in comando. Tra noi niente piramide, ma fratellanza, perché apparteniamo direttamente a Cristo Pastore, non a Lui per il tramite di scansioni gerarchiche, che non siano un puro servizio.
Nella storia – lo so – i papi hanno abusato del potere non perché non credessero in Cristo, ma perché non Lo amavano. Pietro sarà vicario di Cristo solo se Lo amerà, diversamente sarà un capo tra capi e la Chiesa sarà una società come le altre, più simile a una multinazionale che alla città sul monte.
Nella prima lettura viene espresso da Pietro e compagni, il principio che bisogna ubbidire prima a Dio che agli uomini. Questo principio è stato formulato per la prima volta da Socrate, il quale disse agli amici, che lo pregavano in tribunale di non continuare a fare il critico nei confronti della Polis: “Mi chiedete una cosa impossibile, perché io debbo ubbidire prima a Dio che agli uomini”.
Per raccordare l’obbedienza “prima a Dio che agli uomini” e il mandato “pasci le mie pecorelle”, vi citerò come è avvenuta la morte di Girolamo Savonarola. Voi saprete (finalmente i Padri Domenicani stanno pubblicando tutta la sua predicazione), che era teologo di prima grandezza. Si scopre che fu condannato non perché eretico, ma unicamente perché aveva puntato il dito verso Roma. Aveva detto che qualcosa non funzionava, dalla storia vediamo che il comportamento dei papi di quell’epoca era ben lontano dal Vangelo.
Il rogo è pronto sulla piazza della Signoria a Firenze, Savonarola è già legato, arriva il messo papale, il teologo, gli annuncia la scomunica. Poi, con in mano il suo taccuino dice: “Girolamo, io in nome del Papa ti dichiaro eretico e fuori dalla Chiesa e sei destinato all’inferno”. Savonarola ribatte: “Teologo, piano, non andare oltre i tuoi poteri, mi puoi dire che sono messo fuori dalla Chiesa - la storia giudicherà se questo è stato ben fatto o meno - e vi concedo questo potere. Quanto poi al dire che io andrò all’inferno, questo no! Non spetta né a te, né a chi ti manda; il decidere se io andrò all’inferno spetta unicamente a Dio, al quale io mi appello in questo momento”. Il teologo scappò umiliato e le torce diedero il via al rogo.



Sabato 09 Aprile,2016 Ore: 21:25
 
 
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