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www.ildialogo.org La tentazione del bene,di p. Aldo Bergamaschi

La tentazione del bene

di p. Aldo Bergamaschi

Luca (9,28-36)
Questo Vangelo è una tentazione, una tentazione di portare la nostra attenzione sul fatto in se, senza capire le motivazioni per cui Gesù ha fatto questo. Non discuto qui la veridicità di ciò che è accaduto, lascio la responsabilità a S. Luca, che racconta, dopo avere sentito raccontare. Quello che qui crea problemi è la grave tentazione molto sottile che chiamo “la tentazione del bene”. Ho visto anche alcuni autori credere che questo monte sia il medesimo sul quale Gesù è stato tentato nel Vangelo di domenica passata con le tre tentazioni. Quelle tentazioni le chiameremo “le tentazioni del male”: “ti darò i regni se mi adorerai….”
Quando non ho il pane sono nella tentazione di rubarlo, di fare la rivoluzione per averlo: “..di a queste pietre di diventare pane”; questa è la tentazione del male.
Ma quando ho il pane c’è la tentazione di farne una indigestione, ecco la tentazione del bene. Questo portatelo in tutti i campi e vedrete che purtroppo ci troviamo di fronte a tutti i beni ricevuti e alla tentazione del bene.
Gesù chiarisce perché riserva quella sorpresa ai tre discepoli: per rendere concettualmente sopportabile la crocifissione, dando loro un poco di ossigeno. Pietro, invece, si ferma a ciò che è strumentale e lo trasforma in un fine. Ecco la grande tentazione e il grande peccato. Vi porto alcuni esempi di come agiamo nella nostra vita compiendo questa operazione delittuosa, che è poi la causa di tutti i nostri mali. Pietro si ferma a ciò che è strumentale e lo trasforma in un fine: vuole entrare nella gloria per una via spuria, senza passare attraverso il dolore e la sofferenza.
Vi cito due esempi che mi riguardano personalmente: quando ero piccolo, mia madre per farmi mangiare il pane, lo spalmava di marmellata. Il motivo era quello di farmi mangiare il pane. Io voltavo l’angolo, mi mangiavo la marmellata e buttavo via il pane. L’ho fatto poche volte, perché mio padre quando eravamo a tavola, raccoglieva le briciole del pane e mi ricordava che era “sudato”. Da lì ho cominciato a ragionare. Questa è la tentazione del Tabor: ho tramutato un mezzo in un fine. Quando andavo a scuola, mia madre a volte mi dava cinque lire per fare colazione in un piccolo bar. Io facevo quello che molti ragazzi al mondo fanno: spendevo solo tre lire, le altre le tenevo in tasca e finita la scuola andavo con alcuni amici a giocare alla slot machine. Non arrivavo mai a casa e mia madre un giorno mi trova in quel luogo, mi porta a casa e mi da una bella lezione e tutto finito. Anche qui scambiavo un mezzo per un fine, davo a questo mezzo un mio fine che si poteva definire delittuoso.
Altro esempio: nell’esercito i capitani e i tenenti avevano un attendente, il quale secondo le leggi statali aveva il compito di collaborare ed essere ai loro ordini. Senonché, il capitano utilizzava l’attendente per andare a prendere il cibo e portarlo a casa sua, o lo mandava ad accudire i bambini; lo deviava dal fine. In una società, moltiplicate questi peccati e vedete tutti i disastri di cui parlano i giornali.
Poi la questione dell’uso del telefono: ho lavorato in una università e di tanto in tanto arrivava la lettera del Rettore che lamentava le spese delle telefonate per uso privato. Il fine era quello di usare il telefono per rendere più snello il lavoro in università, invece il mezzo diventava un fine deviato. Il governo stanzia dei danari per aprire una fabbrica, c’è chi li prende i danari e poi dichiara fallimento.
Per ritornare al Vangelo, la tentazione di Pietro: facciamo qui tre tende, Pietro vuol fare la villa a Gesù e agli altri - quando invece Gesù è in viaggio per andare a Gerusalemme a salvare anche lui - bloccando la redenzione.
Vorrei parlare ora di un caso che riguarda la donna, proprio perché ha delle mansioni relativamente alla vita più delicate dell’uomo, ed è possibile la tentazione di deturpare questi finalismi. Un giorno mi trovo di fronte a due sposi in difficoltà. Vengono da me per vedere di accomodare le cose. A un certo momento mi accorgo che da parte di lei c’è qualcosa che non funziona per quanto riguarda questi finalismi e mi è venuto il dubbio che quel cervello fosse “partito” su cose essenziali. Si metteva in dubbio la fedeltà del matrimonio e si andava nel delicato. Chiedo alla signora se può rispondere a una domanda delicata davanti al marito, acconsente. Ho chiesto: Perché hai i seni? Tu ammetti che il buon Dio abbia creato l’uomo e la donna e per voi donne avere la caratteristica di questi seni. Anch’io ho avuto una mamma e ho preso il latte dai suoi seni. I seni sono due dispensine dove c’è dentro del latte per dare da mangiare al bambino. Questa signora sosteneva che i seni li aveva per farli vedere agli uomini. Stessa cosa con le gambe. Se i finalismi vanno a picco, abbiamo deturpato tutto il senso della nostra esistenza.
Vi ho portato l’esempio del sesso, nello stesso modo dovrei portare quello del danaro e del potere. Pietro è tentato, con quella sua affermazione – facciamo qui tre tende – di trasformare il cristianesimo in una religione, dove l’istituzione è fine a se stessa: facciamo qui la villetta, onde passare allegramente la nostra vita. In tal caso, Gesù non sarebbe più stato il Redentore, poiché doveva salire al calvario per salvarci. Il fine ultimo sarebbe stato interrotto qui, per inchiodarlo alla pura animalità.
Pronunciata il 7 marzo 2004



Sabato 20 Febbraio,2016 Ore: 23:26
 
 
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