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www.ildialogo.org Nessuno che sia profeta è bene accetto in patria,di p. Aldo Bergamaschi

Nessuno che sia profeta è bene accetto in patria

di p. Aldo Bergamaschi

31 gennaio 2016
 
Pronunciata il 28 gennaio 2001
Luca 4,21-30
Non so quale effetto abbia prodotto o produca in voi la lettura di questo passo. All’inizio Gesù, nella sinagoga, prende la parola e cita il passo di Isaia, si identifica con quel passo e la gante esclama: ho che bravo, le lodi, poi alla fine lo vogliono uccidere. Come mai? Questo cambiamento di umore? La domanda a cui tenterò di rispondere, anche perché è una risposta che vale anche per me stesso, visto che questo passo ha fatto tribolare gli esegeti, e anzi pare che quando la gente si domanda se è il figlio di Giuseppe, questa domanda è di meraviglia oppure è di dubbio. Come dire che dice delle cose interessanti, ma da dove viene? Non è un profeta che viene dalle nuvole; è figlio di Giuseppe, questo per declassare la meraviglia relativa alle parole, oppure in realtà c’è uno stupore perché il figlio di un falegname in realtà non può dire cose di questa specie o di questa levatura.
Poi c’è la citazione del proverbio che è posteriore, non si riferisce al medesimo periodo ed è un passaggio che non voglio commentare perché qui si tratta di una sfida che i suoi paesani avevano nei suoi confronti. Siamo già a un periodo successivo, erano arrivate voci in cui lui a Cafarnao aveva fatto “miracoli” guarito ammalati e così via, invece qui al paese natio dove abitavano la Madonna e S. Giuseppe; non fa nulla. “Nessun profeta è ben accetto in patria” , la traduzione che propongo sarebbe questa: Nessuno che sia profeta è bene accetto in patria, perché il vero profeta trascende la patria, non ha patria, parla in assoluto. Quindi la traduzione dovrebbe essere questa: Nessuno che sia profeta è bene accetto in patria per la motivazione che vi ho detto e non come di solito si dice: nessuno è profeta in patria. Come se lì uno fosse per una contingenza particolare. La caratteristica del profeta è proprio questa: di non essere bene accetto in patria, perché la patria non lo può più accogliere senza rivedere se stessa.
Vorrei che fosse ben chiaro, perché poco o tanto attinge tutti quelli che noi chiamiamo profeti, modestamente anch’io vorrei essere di questa partita, proprio perché il profeta trascende qualsiasi collocazione e la patria deve rivedere se stessa e direi che il concetto di profeta è opposto al concetto di patria, dove il profeta veicola la verità, la patria invece è la parte che tenta di diventare il tutto. Sotto ci sarebbe la concezione dello stato che si conclude con Hegel e così via. Per un profeta la realtà ha la precedenza sull’amicizia, amico Platone, ma prima di tutto amica la verità. Vediamo ora la motivazione per cui in questa sinagoga gli animi passano da A a non A, cioè passano dall’amore o da una proclamazione di stima a una presa di posizione che nasconde oggi; rifiuto, disprezzo, ma come è accaduto? Le due frasi che provocano il disastro psicologico: “Vi dico c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi, e ci fu una grande carestia in tutto il paese, ma a nessuna di esse fu mandato Elia se non a una vedova di Zarepta di Sidone”. Come mai questa affermazione può provocare un rifiuto così radicale? La seconda, sempre sulla stessa linea: “Cerano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman che era un Siro”.
Sidone e Siro sono fuori di Israele e un Gesù che dice: voi credete che Dio ami solo Israele – sentite il profeta guastafeste – io vi dico che Dio ama tutti allo stesso modo. Voi siete degli illusi credete che Dio sia con voi; il Dio degli eserciti ecc., parole che udiamo spesso nel leggere i salmi e alcuni libri della scrittura. Circa la guarigione di Naaman di Siro da parte del profeta Eliseo e quello di Elia alla vedova Zarepta di Sidone, tutto questo serve per mostrare che il vero Dio, il Dio più potente è il Dio di Israele e questa era l’interpretazione dei rabbini e questa era la mentalità che circolava dentro al cervello della gente.
Per Gesù invece, questi due esempi – ed ecco il motivo per cui lo cacceranno – servono per dimostrare che non esiste il Dio di Israele, ma un Dio che ama tutti senza distinzione. Io non ho mai riconosciuto che ci siano degli ebrei, delle razze e questo sarebbe già mettere un rimedio a tutta quella “memoria” di cui i giornali hanno parlato ieri. Gesù cerca di chiarire le idee a coloro che crederanno in lui, non ci sono distinzioni di razza per nessun motivo e per nessuna causa, questa bisogna sempre tenerla distinta e mi auguro che tutti quelli che hanno salvato gli ebrei durante la guerra, lo abbiano fatto tenendo conto proprio che - almeno pare che sia così da parte di alcuni – i quali non hanno mai accettato né la convinzione degli ebrei, di essere una razza a parte perché questa è la prima affermazione negativa inaccettabile e neanche da parte degli altri da parte nazista ecc., i quali credevano fosse una razza da estinguere.
Coloro che hanno fatto questa opera di carità l’hanno fatta con questa convinzione precisa, se io ho accolto un ebreo non l’ho certamente accolto in quanto ebreo, ma in quanto mio fratello, non accettando quella distinzione che era e nella testa loro e nella testa di coloro che la combattevano. Allora Gesù sottintende che la sua attività, può avere presso gli estranei al popolo di Israele, una accoglienza migliore che presso i suoi compaesani. Dio non conosce patria né vincoli di parentele, siamo tutti figli allo stesso modo e questa è la dichiarazione di Gesù e del cristianesimo, guai se voi che siete cristiani vi sentite cristiani “allo stesso modo che un ebreo si sente ebreo, sarebbe una eresia”. Mi sento cristiano perché ho creduto e credo nel messaggio di Gesù il quale è venuto ad azzerare tutti questi aggettivi che abbiamo aggiunto alla natura umana.
La specificità di Gesù consiste nel rompere questo modello culturale, che sarebbe la concezione di Dio, è questa concezione di Dio che va chiarita e riassestata. Ecco allora le reazioni: tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno, si levarono, lo cacciarono fuori, lo condussero sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata per gettarlo giù dal precipizio, ma egli passando in mezzo a loro se ne andò. Su questa frase ci sono tanti ricami, egli passando in mezzo a loro se ne andò. Come ha fatto? Non l’hanno legato a quanto pare no? Sarà che Gesù aveva 30 anni a un certo momento ancora agile è riuscito a sottrarsi alle loro grinfie. Questo è un passo che va meditato frequentemente dai credenti e io stesso ve lo dico è uno dei passi in cui mi fermo in meditazione sul vangelo più di una volta, proprio perché mi ha stupito il passaggio da una lode a una condanna. La motivazione deve caratterizzare, definire la visione del mondo del cristiano.
Dovrei dire ancora qualcosa sulla lettera di S. Paolo, sull’elogio della carità. Una sola annotazione rapidissima. S. Paolo distingue il fare la carità al prossimo quantitativamente con l’amore al prossimo. Se io dessi tutti i miei averi ai poveri, se io mi facessi bruciare, ma non avessi la carità sarei nulla. Noi siamo stupefatti, come mai? Noi abbiamo sempre pensato che il fare la carità al prossimo fosse il culmine, no. Bisogna andare a prendere il testo evangelico: “Ama il prossimo tuo come te stesso” e non quanto te stesso. Noi Cappuccini facciamo la carità alla porta, ma siccome sono io il responsabile, vi dico con quale animo la faccio. Ringrazio tutti che ci danno una mano a fare questo, ma so bene che quella attività è transeunte, noi diamo il pezzo di pane, ma vi confesso che io li guardo negli occhi e dico: la tua concezione del mondo quale è?
Tu prendi il pezzo di pane e mi odi interiormente, questo non lo posso accettare da parte mia, però mi rendo conto che siamo costretti a fare questa carità perché non c’è giustizia e la giustizia non riuscite a farla voi con la vostra concezione di Dio – sto parlando dei musulmani colti – e non siamo riusciti a farla noi che crediamo di credere nel Dio vero. Questo dovevo dirlo per mettere a punto questa strana affermazione di S. Paolo che tiene la distinzione fra l’amore quantitativo al prossimo e l’amore qualitativo. Ama il prossimo tuo come te stesso, non quanto te stesso, perché sul quanto siamo pronti a transigere, uno che vuole raggiungere la gloria fa delle penitenze e rinunce – sto parlando degli atleti – ma c’è un punto a cui non rinunciamo: amarci profondamente, li non si manca mai.
Quando i musulmani mi chiedono 5000 lire per comprare un pacchetto di sigarette: no, do il pezzo di pane di cui hai bisogno, ma i soldi per comperare le sigarette no, perché questo non sarebbe un amore verso il prossimo, sarebbe un modo per deteriorarlo e diminuirne la qualità. Il mio amore è questo e non quest’altro, ama il prossimo tuo come te stesso, perché così ho fatto con me e così faccio con te. E in questo caso credo di avere anche raggiunto la definizione di Paolo tenendo la distinzione fra la carità materiale e il vero amore al prossimo, che deve essere più profondo del pezzo di pane che noi diamo, perché quel pezzo di pane è transeunte e non il fine dell’amore al prossimo.



Venerdì 29 Gennaio,2016 Ore: 21:03
 
 
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