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www.ildialogo.org “…chi vuol essere grande si faccia servitore…”,di p. Aldo Bergamaschi

18 settembre 2015
“…chi vuol essere grande si faccia servitore…”

di p. Aldo Bergamaschi

Pronunciata il 19 Ottobre 2003

Marco 10,35-45
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli:
Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo”. Egli disse loro: “Cosa volete che io faccia per voi?”. Gli risposero: “Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”.
Gesù disse loro: “Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?,”. Gli risposero: “Lo possiamo,”. E Gesù disse: “Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato,”.
All'udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: “Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.
Sembra inaudita questa autoraccomandazione o un avance dei due fratelli. In un altro brano di Matteo in realtà è la madre di loro che chiede a Gesù ed è anche più sopportabile; una mamma ha sempre piacere di vedere i propri figli collocati al primo posto, fare carriera ecc. Ma qui sono loro e non so se Marco lo faccia maliziosamente per tenerli in umiltà, per cui nel Vangelo racconterebbe questo loro limite molti anni dopo, quasi a contestarne l’aspetto aggressivo. Costoro chiedono un tipo di grandezza mondana che contrasta con tutto l’insegnamento di Gesù, un insegnamento all’umiltà, alla rinuncia, alla fedeltà al proprio compito, dico parole che non riassumono tutto il Vangelo, ma almeno rispondono a questi due Apostoli.
Si tratta di una richiesta apparentemente spirituale, direi che è molto migliore quella del “buon ladrone” il quale si rivolge così a Gesù: “Ti prego quando sarai nel tuo regno ricordati di me”, ma qui invece: “Ti chiediamo di essere uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. La spiegazione poi sarà quella medioevale: alla destra andava il più anziano e alla sinistra il cadetto. Queste sono formule che avranno la loro concretizzazione nella Chiesa medioevale. Apparentemente è una richiesta spirituale, sostanzialmente è una richiesta carnale e purtroppo storicistica che contamina il concetto stesso di Regno: venga il tuo Regno, e costoro vogliono che venga il loro regno.
Domanda: se questa stessa domanda fosse rivolta a noi, avremmo credo abbastanza pudore per non chiedere dei ducati o delle contee, però non resisteremmo alla tentazione di dare un genere di risposta che più o meno si riassumerebbe così: Signore, dammi un pezzo di paradiso. Anch’io sono vissuto in questa mentalità per parecchi anni, poi finalmente ho aperto gli occhi.
Gesù annuncia il Regno per onestà professionale e i due e tutti ne fanno oggetto di cocente desiderio: sarebbe la sublimazione dell’egoismo della proprietà privata. Abbiamo scambiato il paradiso in una proprietà privata: moriamo dalla voglia di arrivarci, di averlo a tutti i costi; il mondo vada dove vuole anche a catafascio. Adesso capite dove è la disonestà cristiana di quella domanda. Il paradiso sarà una conseguenza, non può mai diventare uno scopo. C’è chi dice Rosari per farsi dei meriti per andare in paradiso – certo non rompo la testa alla vecchietta che è in questa mentalità e lo fa in buona fede – parlo a voi: mettere il paradiso come scopo delle nostre opere buone saremmo dei cristiani in veste pagana.
Gli apostoli si sono perduti mentalmente a inseguire o a volere ottenere il paradiso, senza però pensare come lo si conquista. Gesù, invece è lo specialista del “come” e annuncia il paradiso solo per onestà professionale. Egli è l’esecutore del piano Divino e non è neanche l’arbitro.
Vi racconto ora un episodio personale che riguarda coloro che sono presi dal traguardo della vocazione, sia fanciulle, sia giovani. Un giorno fui chiamato in una commissione dove si doveva fare un esame a un giovane che voleva diventare frate. Il superiore domanda a questo giovane: perché vuoi farti frate? Costui, sui ventisette anni risponde: mi faccio frate per salvarmi meglio l’anima. Sono impietrito a questa risposta e ho osato dire: l’anima te la puoi salvare stando nel mondo, sposandoti ecc. Risposta: io me la voglio salvare meglio. Più di tanto non potè dire. La commissione lo ha fatto ritirare per un attimo, e i miei confratelli hanno ammesso che la motivazione portata dal giovane era inaccettabile.
Ho detto allora ai miei confratelli il perché mi sono fatto frate: ho scelto di emettere i tre voti: povertà, castità, obbedienza. O questo lo faccio perché conosco una frase di Gesù, che poi vi dirò, o diversamente le altre motivazioni non reggono. Lo vediamo da quanti abbandonano o non si comportano secondo quello che avevano giurato.
Ecco la frase di Gesù in un dibattito con gli Apostoli: Beati coloro che “qui se castra verunt propter regnum Dei”. Gesù dice: Ci sono delle persone che sono eunuchi per natura, altri fatti dagli uomini e altri che si sono resi eunuchi propter regnum Dei (per il regno dei cieli), non per andare in paradiso, questa è la brutta traduzione che non fa per me, perché se fosse la vera traduzione lascerei l’ordine. Propter regnum (a causa del Regno) non per andare nel Regno, questa sarebbe una forma di egoismo, va fatto per cominciare a costruire il Regno quaggiù. Per fare questo occorre una dedizione totale. Questo non deve creare problemi a quelli che hanno scelto il matrimonio che è sacrosanto allo stesso modo, anche se resta vero che non ci si deve sposare per curiosità o solo per esercitare il sesso, ma lo si deve fare per cominciare a costruire il Regno quaggiù.
Ora vi citerò un episodio tratto dalla vita di un grande filosofo E. Husserl (1859-1938) il quale ha avuto il merito mediante ricerche fenomenologiche di ricucire il disastro creato da Cartesio che aveva detto: Cogito ergo sum (penso quindi sono). Con questa frase Cartesio aveva perduto l’essere. Noi non siamo sicuri che quel mattone sia mattone, perché potrebbe essere una modificazione del nostro io e l’esempio che lui portava era il caso di un bastone che messo in una vasca con acqua lo vediamo spezzato, ma se lo tiriamo fuori dall’acqua non è spezzato. Quindi l’errore dei sensi fa si che non siamo mai sicuri di essere sulla realtà.
In letteratura Pirandello mette l’incertezza sulla realtà della persona: è, non è, è così se vi pare, sono tutti titoli di sue opere. Il nome tecnico è la “perdita dell’essere”, non abbiamo mai la certezza di essere di fronte a quella cosa. Questo è un fiore, ma potrebbe essere qualcosa d’altro. Si è creato un disastro che andrà a finire nell’idealismo.
Husserl non so se era protestante o agnostico, ma dall’episodio probabilmente era credente in un Dio. Egli scriveva moltissimo e migliaia sono le pagine ancora da decifrare, ha impiegato la vita a mettere in ordine questo problema. Dice Husserl: bisogna che noi distinguiamo la coscienza e i contenuti della coscienza. Non è vero che sia la coscienza a creare i contenuti – ecco l’errore di Cartesio – altro è la coscienza e altro sono i suoi contenuti. Se io dico – dopo avere bene esaminato -: quello è un libro, il libro è un contenuto della mia coscienza, non è un prodotto della mia coscienza.
Resterebbe la domanda: questo fiore è un contenuto della mia coscienza? Tra la mia coscienza e quel fiore c’è una distinzione, per cui il fiore esiste là e io sono qui. Il fiore da dove deriva? L’idealismo annulla tutto. Io che credo dico che è opera di creazione Divina, ma l’idealista non ammette che ci sia un cervello al di fuori di tutta la realtà: a questa domanda non risponde, non sa da dove venga quel fiore.
Ecco l’episodio: a un funerale di un professore un teologo cattolico dice a Husserl: professore, che cosa pensa della immortalità? Risposta: “Io sono una monade (unità semplice e indivisibile) che il buon Dio ha destato alla coscienza affinché io consapevolmente compia il servizio che egli mi ha affidato. Se avrò compiuto fino alla fine il mio servizio, il buon Dio saprà bene che cosa fare di me”.
Parole che andrebbero scritte a caratteri d’oro. Il teologo cattolico risponde: Spero di ritrovarla presso il trono di Dio. Il trono di Dio, ha risposto il filosofo, sarà raggiunto dopo che hai fatto quelle cose, per cui il paradiso sarà una conseguenza della tua vita rinnovata, che non può mai diventare uno scopo.



Sabato 17 Ottobre,2015 Ore: 19:30
 
 
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