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www.ildialogo.org L'omelia del 21 giugno 2015,di p. Aldo Bergamaschi

L'omelia del 21 giugno 2015

di p. Aldo Bergamaschi

21 giugno 2009 –

Pronunciata il 27 giugno 1982
Marco 4, 35-41

Noi ci estasiamo di fronte a questi, “miracoli”, ma vorrei poi sapere quali sono o quali dovrebbero essere le conclusioni che un credente deve o dovrebbe tirare.

Questa concezione di Dio è uguale in tutte le religioni, mi seguite? Se avessi qui dei musulmani farei loro lo stesso discorso, così come se avessi altri seguaci di altre religioni. Crediamo che Dio possa intervenire nel mondo attraverso il miracolo? Voi sapete che già questa proposizione crea difficoltà, perché dal punto di vista razionale il miracolo crea dei problemi. Gli illuministi dicevano che Dio non ha bisogno di tornare sulla sua creazione, sarebbe un Dio tappabuchi.

Allora “Civiltà Cattolica” comincerà a dirvi: se Dio esiste, ed è sapiente, ed è libero, ed è amante, non vediamo nessuna contraddizione né inconvenienza nel fatto che, oltre a mantenere il mondo nel suo corso ordinario, intervenga alcune volte in maniera straordinaria e diretta, proprio a motivo del suo amore per le creature.

Quale sia la diversità tra il teista e il deista mi pare di avervelo già detto un'altra volta, ma lo ripeto: il deista è colui che ammette l'esistenza di Dio, colui che crede in Dio, ma nega la rivelazione e nega che Dio possa intervenire nel mondo secondo quella logica che per noi è la logica dei miracoli. In quanto cristiano, non sono deista soltanto, sono teista perché il teista ammette che oltre a credere in Dio, si debba anche credere nella rivelazione. In quanto teista io credo esattamente che Dio sia intervenuto nel mondo, ma nella maniera regale, che si sia incarnato e che abbia annunciato un messaggio, però resto dubbioso su quell'altro intervento che noi chiamiamo appunto miracolo.

Io intendo esattamente non un intervento estrinseco di Dio (come se Egli avesse la bacchetta magica), ma come Colui che si è introdotto nel mondo per mutare l’uomo, affinché l'uomo mutato, attraverso la sua rivelazione, possa diventare capace di fare ciò che l'uomo naturale, abbandonato a se stesso, non è capace di fare, almeno nell'ordine morale. Credo che non intervenga nell’ordine fisico a fare ciò che un uomo convertito, potrebbe essere capace di fare. È mia convinzione che il vero miracolo sia il mutamento dell’uomo, perché se l'uomo si divinizza, diventa cioè una creatura nuova perché accetta il messaggio di Gesù, è in grado di fare “cose più grandi di me”.

Nessuno sa cosa può fare l'intelligenza umana trasformata dalla grazia, nessuno sa che cosa può fare la natura umana, attinta dalla santificazione della grazia. Se la fede producesse miracoli in senso volgare, anziché trasformare l'uomo nell'intimo, non farebbe più piovere e sorgere il sole sui buoni e sui cattivi. È più importante che Gesù si occupi dei sofferenti con “miracoli” o che faccia miracoli con i sofferenti? Il vero miracolo è l'attenzione, l'amore all’Altro, fino a tentare di risolvere i suoi problemi. Quei problemi, si capisce, che lo crucciano nell’attualità.

Un Gesù concepito come una specie di Mago Merlino, che fa miracoli or qui or là, sarebbe  come un ricco che facesse elemosine ai poveri, ma lasciasse intatto l'assetto che produce la povertà. Sarebbe come che il ricco lasciasse intatto l'assetto del lavoro, il rapporto fra capitale e lavoro, e non avesse nulla da dire per queste “centrali” che producono il povero, e continuasse e fare l'elemosina al povero senza cambiare questo stato di cose. Voi capite che il povero resterebbe tale fino alla fine del mondo e la giustizia non ci sarebbe mai. Ecco perché è da escludere che si debba concepire Gesù come un facitore di miracoli, secondo questa logica.

Il miracolo non da importanza a se stesso, ma in quanto è prova a carico, come la scrittura, a una bella calligrafia. In sé può essere un capolavoro di simmetria, o se volete un capolavoro di arte, ma vale per ciò che significa, non per ciò che è. Il miracolo, o porta alla conversione, oppure è la divinizzazione dell'eroe. Gesù uguale a Ercole, Gesù uguale a Orfeo. O porta a far credere nel suo messaggio, oppure resta la struttura coprente o di copertura alla nostra psiche di credente, vale dire di teisti - ma teisti strani - molto vicini cioè al deismo, che credono in Dio alla maniera di un giocoliere e trascurano invece il messaggio che Dio ha voluto introdurre nel mondo allo scopo di far diventare gli uomini delle nuove creature.

Oggi nessuno si attarda a dimostrare la divinità di Cristo a chi non crede, perché questo discorso non è più di moda, ma probabilmente nasconde una certa maturità. Avete capito perché diventa desueto questo discorso? Credo che sia perfettamente inutile che noi si vada in giro con il vangelo in mano a dire: ecco, voi che non credete, non capite che Gesù è Dio, guardate qui che miracoli ha fatto!

Colui al quale io faccio il discorso dei miracoli di Cristo per dimostrare che Cristo è la Verità, è sottinteso, se Cristo è Dio e credo in Lui, io sono sulla scia della verità. In genere ognuno difende il fondatore della propria religione, perché è ovvio che deve trovare anche la giustificazione di se stesso e non della propria fede. Allora i casi sono due, o la vostra fede è falsa, o voi non la praticate oppure non sapete come va praticata.

Voglio chiudere con il rimando alla lettera di San Paolo dove abbiamo dei principi sociali che vorrei rifilare a tutti i nostri operatori in campo economico, e anche soprattutto rifilare ai sindacalisti cristiani, non parlo degli altri perché partono da principi diversi. San Paolo, ai cristiani delle sue comunità, dice di aiutare economicamente i cristiani di Gerusalemme. Vi faccio presente che lo dice solo una volta, perché quella comunità non sarà mai più ripetuta, giacché quella comunità aveva fondato la sua struttura sul lavoro. Paolo non chiede di fare il trasbordo (cioè: trovo un povero, le 1000 lire che ho in tasca le passo a lui che diventa ricco e io divento povero), essendo questa concezione del trasbordo certamente non cristiana.

Quello che deve essere cristiano è il concetto dell'uguaglianza: non vi chiedo di fare questi trasbordi radicali, vi chiedo soltanto di fare l'eguaglianza. Poi Paolo in un altro passo della scrittura: “Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno”. Nella prima parte abbiamo la correzione del capitalismo, nella seconda parte abbiamo la ricompensa di coloro che pure lavorando, non sono riusciti a produrre quanto coloro, che in altre condizioni, hanno prodotto più di loro, ma indipendentemente da quello che noi chiamiamo l'accidia.

Colui che raccolse poco non ebbe di meno, sottinteso non è che avesse di meno perché non ha lavorato, ma perché pure avendo lavorato si è trovato in condizioni tali per cui il suo prodotto non ha raggiunto il livello dell'altro. Ecco allora la maniera di eliminare da un lato il capitalismo e dall'altro lato la maniera di combattere quello che noi chiamiamo l'assenteismo.



Sabato 20 Giugno,2015 Ore: 19:26
 
 
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