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www.ildialogo.org Il fine dell'uomo è la risurrezione,di Padre Aldo Bergamaschi

18 gennaio 2015    
Il fine dell'uomo è la risurrezione

Omelia pronunciata il 20 gennaio 1985


di Padre Aldo Bergamaschi

Giovanni 1, 35-42


Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: Ecco l'agnello di Dio! E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: Che cercate? Gli risposero: Rabbì (che significa maestro), dove abiti? Disse loro: Venite e vedrete. Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due, che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo) e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: Tu sei Simone, il figlio di Giovanni;  ti chiamerai Cefa (che vuoi dire Pietro).
 

In questo testo evangelico, abbiamo l'incontro originario tra Gesù e i discepoli. C'è qualcuno che ha l'occhio così profondo da scorgere in Lui l'Agnello di Dio. Il quale appellativo ha le sue radici nella Bibbia. Poi abbiamo aspetti molto terrenistici, per la prima volta veniamo a sapere che Gesù abita da qualche parte. Mentre in altra circostanza aveva detto, nel Vangelo, che non aveva un luogo dove riposare il capo, era più o meno come le volpi? Probabilmente sarà stata una capanna, o un luogo simile a quello di Socrate, nel quale luogo si discutevano i problemi dell'epoca. Ma è ovvio che i problemi dell'epoca, per Gesù, erano i problemi dell'uomo tout court, i problemi dunque che riguardano l'uomo in tutto il suo passato, e l'uomo in tutto il suo futuro.

Per meritare questo appellativo di Agnello di Dio, che cosa bisogna essere? Bisogna essere puliti nella persona a tutti e tre quei famosi livelli di cui vi ho sempre parlato: sesso, danaro, potere. Trovatemi un uomo pulito relativamente a questi tre punti, e allora vi dirò che quegli è Cristiano. Non a caso Paolo, nella seconda lettura, parla del rapporto fra la nostra persona fisica e Gesù Cristo, di cui vi parlerò al termine di un episodio che debbo raccontarvi. L'episodio lo prendo dal Convito di Platone, laddove un discepolo di Socrate vuole saggiare la consistenza religiosa di questa personalità, Socrate, che con i suoi discorsi banali eppure altamente filosofici, aveva messo in scacco tutta la Grecia, e indubbiamente Atene prima di tutto.

Cercherò di essere morigerato nei toni, ma non voglio nascondervi nulla. Alcibiade finalmente ci dice la struttura intimistica di questo uomo, come è da supporre che fosse tale, la figura di Gesù, certo con qualche cosa in più, che noi chiamiamo “la divinità”. Ma sarebbe già sufficiente se tutti i Cristiani capissero ciò che aveva capito Socrate, senza avere la rivelazione e senza avere il testo di Paolo, per quanto riguarda la concezione del nostro corpo. Dunque, nel Convito di Platone, Alcibiade fa l'elogio di Socrate.

Alcibiade, il giovane più bello di Atene, cosciente della sua bellezza, vuole mettere alla prova colui che invece ha la pretesa di avere la bellezza del pensiero. Verità contro Estetica, si potrebbe dire, forzando lievemente i termini. Socrate, parla indifferentemente con i belli e con i brutti. Dunque, questo fenomeno, questo dono o questa realtà, non influisce in nulla su di lui per quanto riguarda i rapporti con l'altro o, come si dice, con il prossimo.

Perché, bello o brutto, portatore della bellezza o della bruttezza, per Socrate è sempre l'uomo, ed egli si rivolge all'uomo. Così che, a Socrate non fanno effetto le ricchezze e men che meno il potere. Alcibiade vuole metterlo alla prova sul primo punto. Tutti vedevano che Socrate era povero, tutti vedevano che Socrate si era ritirato dal potere maledetto per diventare educatore della città, mentre invece si credeva che solo coloro che hanno il potere possono essere gli educatori della città. No, Socrate è l'educatore della città, e non i politici, giacché anch'egli aveva fatto quell'amara esperienza della politica, poi aveva capito che per educare il popolo o gli uomini, bisogna uscire da quel maledetto incastro politico per il quale molti addirittura perdono l'anima.

Sui due punti era chiaro che Socrate non era attaccato né al potere, né ai danari. Ma, l'altro punto, il sesso? Problema intimo, che conosciamo soltanto noi e quelli, naturalmente, con cui pecchiamo. Ecco la prova di Alcibiade, rimase un giorno con lui, solo. Vi premetto che Alcibiade è all'attacco con la sua bellezza per vedere se Socrate è robusto anche sotto questo profilo. Direi che nel giovane c'è anche il senso della sfida per vedere fino a che punto quella saggezza non perde la testa per ciò che è contingente, o che appartiene al puro momento estetico. Solo a solo, dopo avere licenziato il servo. Nulla accadde di sconveniente. Alcibiade lo invita a fare ginnastica. Cosa vuol dire invitare Socrate a fare ginnastica? Andare a fare ginnastica vuol dire mettersi nudi, tanto per intenderci. Nulla di male, si capisce, finché si fa ginnastica come oggi, nulla di male.

Attenzione, perché Alcibiade è sempre con il turcasso pieno di frecce. Nulla di ambiguo accade, tutto è pulito. Allora lo invita a cena, dice Alcibiade: Gli gettai la rete, la rete della cena. Socrate sulle prime non accetta, perché non era suo costume andare a cena a far delle bisbocce, ma poi, sempre perché in lui prevaleva l'idea di dovere educare questo giovane, Socrate va a cena. Si mangia, si beve, si parla. Nulla di meno che onesto. Dopo cena, lo intrattiene in conversazione fino a notte fonda. A questo punto l'ora è troppo avanzata dice Alcibiade, e lo costringe a restare. Socrate si riposa sul lettuccio accanto a quello di Alcibiade, quello sul quale aveva cenato. Ma nulla di sconveniente accade, Socrate è Socrate e Alcibiade è Alcibiade.

Ma Alcibiade non demorde, è troppo sicuro della sua bellezza, e pensa di fare crollare Socrate. E  riaccende il discorso della parità: Tu mi dai la saggezza, dice, io voglio darti il fascino della bellezza fisica. Ma Alcibiade aggiungerà poi che la filosofia è come una specie di veleno, quando entra dentro al sangue. Infatti il giovane alla fine è assetato di Verità, e udendo certi discorsi si appassiona, perché vuole sapere il fondo delle cose, e paragona appunto la ricerca della Verità a una specie di veleno che entra dentro al sangue. A questo punto, ecco il momento più delicato: Alcibiade lo abbraccia. Cito le parole precise, perché è Alcibiade che sta raccontando agli amici, sta facendo agli amici l'elogio di Socrate. Avviticchiai con queste braccia quell'uomo divino e meraviglioso, ma egli vinse la mia bellezza sprezzandola, ironizzando su di me, sbeffeggiandola, svillaneggiandola per l'uso che io ne volevo fare. Alcibiade conclude: Sappiate bene, per tutti gli dei, che io, dopo aver dormito con Socrate, mi levai non altrimenti che se avessi dormito con mio padre o con mio fratello maggiore.

Ecco la grande riflessione. Domanda: perché Socrate si comporta così, nonostante le incertezze morali dell'epoca? (Badate che sono anche le nostre incertezze). Credo di avere capito perché. In Socrate è vivo il concetto di finalismo. Guardava le sue mani, quel filosofo, di fronte agli scettici e diceva: No, non posso ammettere che queste mani siano opera di caso. No, queste mani sono opera di Provvidenza. Ecco, un uomo che è capace di compiere un ragionamento di questo genere, ha già capito la finalizzazione che egli deve dare al proprio corpo. É ovvio che se io guardo le mani non posso non concludere a quell'affermazione, ma guardando tutto il mio corpo, le cose diventano ancora più esaltanti. Dunque io devo rispondere di questo corpo.

Vediamo di concludere su questa affermazione. Paolo, il quale naturalmente razionalizza il messaggio di Gesù,  dice: L'uso indebito del sesso (indebito, attenzione! quindi mettiamo a parte il matrimonio) è una ingiustizia. Verso chi? Verso colui al quale apparteniamo corpo e anima. É un sacrilegio verso Gesù Cristo di cui siamo membra. É una solenne profanazione, perché il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo. Non c'è più nulla da discutere sotto questo profilo. Lo stesso discorso, il cristianesimo lo fa per il danaro; lo stesso discorso lo fa per il potere. Ripeto: l'uomo cristiano è colui che è in ordine su tutti e tre questi livelli. E anzi, mi viene un brutto sospetto: che chi non è in ordine in uno, non può essere in ordine negli altri due.

Un'ultima considerazione. Voi sapete che il discorso circa i finalismi esterni è ancora aperto in casa dei filosofi. Per esempio: perché c'è la rosa? É una domanda senza risposta, se voi non accettate il concetto di creazione. Ma quando arriviamo a noi, perché ci siamo? Vale a dire: quale è il fine ultimo di noi? sia pure considerati in maniera corporea. Ebbene, la risposta di Paolo è questa: Il fine dell'uomo è la risurrezione. Partendo da questo principio (che fra l'altro racchiude la risurrezione di Cristo, che è il punto fondamentale e decisivo della rivelazione cristiana), sarà poi più facile capire anche le altre deduzioni che Paolo fa, relativamente appunto all'uso del sesso per quanto riguarda il nostro corpo. Attenzione! dice, i peccati li facciamo tutti fuori dal corpo, ma questo si rivolta sul corpo.

Il mio esempio: è triste che una matita, fatta per scrivere dei poemi, oppure per tracciare dei disegni, si autoconsumi nel fare la punta a se stessa. Al termine, che cosa resta? Resta semplicemente un mucchietto di polvere.


 



Sabato 17 Gennaio,2015 Ore: 22:01
 
 
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