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www.ildialogo.org L'omelia del 2 novembre 2014,di p. Aldo Bergamaschi

L'omelia del 2 novembre 2014

Pronunciata il 2 novembre 2002


di p. Aldo Bergamaschi

Giovanni 6,37-40
In quel tempo, Gesù disse alla folla: “Tutto quello che il Padre mio mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno”.
Oggi più che affrontare il passo evangelico, affronteremo il tema della morte. L’unica riflessione utile è quella che trovo nel Manzoni sul finire del Cap. XXI. Il grande romanziere parla della conversione dell’Innominato, il quale ha una crisi esistenziale. Certo non riuscirò a fare il parametro di confronto con tutti i drammi che accadono oggigiorno: le motivazioni per cui uno si toglie la vita, lo farete per conto vostro.
1) L’Innominato fa l’esame retrospettivo delle sue cattive imprese e conclude che la sua vita è fallimentare. Certo, molte persone arrivano a questa conclusione di fallimento totale e, di fronte a questa prima conclusione, la vita diventa insopportabile. Questa è la motivazione individuata dal Manzoni di fronte a un cattivo personaggio. Dice il Manzoni che, a questo punto, dopo un primo ragionamento, staccò la pistola dal chiodo, con l’intenzione di uccidersi.
2) Egli avverte che il tempo continuerebbe a scorrere anche dopo la sua fine. Non tutti possono fare questo ragionamento, cioè capire che il mio io è un punto nel tutto. Morto tu, finito la tua vita, il tempo continuerà a scorrere come scorreva prima che tu nascessi e continuerà a scorre dopo morto.
3) L’Innominato orgoglioso, comincia a pensare alle reazioni che si sarebbero succedute attorno al suo cadavere. “Io in balia del più vile sopravvissuto, pensare i villani attorno al mio cadavere” (villani che secondo lui non valevano nulla), questo gli dà fastidio. Poi, tutta la confusione nel castello, la gioia dei nemici e pensa: “Coloro che mi sono nemici, godranno di me quando sarò morto”. Aggiungo io, che questa è una componente freudiana cioè anche lui desidererebbe la morte dei suoi nemici, componente che ci tocca tutti. Il motivo freudiano è lo specchio davanti a cui egli si guarda.
4) Tenebre, silenzio, questa è la conseguenza della morte. Allora dice: “Meglio buttarsi in un fiume e sparire per evitare la reazione attorno al mio cadavere”. Con ciò vi spiegate come molti seguano questa strada.
L’analisi del Manzoni è profondissima, egli prosegue: “l’Innominato andava alzando e ribassando il cane della pistola”. Poi un altro pensiero: “Se quell’altra vita – l’aldilà – di cui parlano sempre come se fosse una cosa sicura, se non ci fosse? Se è una invenzione dei preti; perché debbo uccidermi?” È di una profondità inaudita, Manzoni ha scavato nel profondo. Non gli importa più nulla di quello che ha fatto e la sua sarebbe una pazzia, cioè cadrebbe la distinzione tra il bene e il male. Questa è la prima osservazione relativa al dopo morte. E il dubbio se c’è quell’altra vita, gli crea una disperazione nera, perché da essa non può fuggire neppure con la morte. A questo punto dice il Manzoni che l’Innominato lascia cadere l’arma e rinuncia a uccidersi. Ed ecco le parole di Lucia che gli vengono alla memoria: “Dio dona tante cose per un’opera di misericordia”, che è quella di liberarla.
Andate a rivedere l’introduzione al romanzo che pochissimi leggono. Risulta che neanche quelli che insegnano il Manzoni hanno avuto la pazienza di leggerla. È un capolavoro di analisi. Ecco le prime due righe: “L’istoria si può veramente definire una guerra illustre contro il tempo”. Nella prima edizione, però, Manzoni aveva messo quest’altra parola: “L’istoria si può veramente definire una guerra illustre contro la morte”. Perché ha tolto morte e ha messo tempo? Perché la morte nella concezione illuministica era la fine radicale di tutto e questo non è accettabile per il Manzoni.
Faccio l’aggancio con il Vangelo, perché richiama alla nostra memoria gli anni passati e così li restituisce alla vita; cambiando morte con tempo. Gesù non predica il fatto della morte, non va in giro a dire di fare i buoni perché morirete. La morte è un fatto di cui si erano accorti i grandi pensatori, Platone ha un dialogo proprio sulla morte e si chiama Assioco, che è il padre di Crizia, il quale sta morendo e ha paura della morte. Socrate va e gli dà alcune nozioni, che non posso spiegare oggi.
Gesù non predica i fatti della morte, perché i fatti non sono prova di nulla, finché non sono interpretati. Moriremo e andremo tutti là dice il materialista, il fatto per sé non dice ancora nulla, ma bisogna interpretarlo. Gesù non dice soltanto: stolto, questa notte morirai (non è una minaccia) egli aggiunge, dopo il fatto, la interpretazione del fatto: “ti sarà richiesta la vita”. Dovrai rendere conto e, per rendere conto, uno non è morto, ma deve essere vivo.



Sabato 01 Novembre,2014 Ore: 20:47
 
 
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