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www.ildialogo.org L'omelia del 18 maggio 2014,di p. Aldo Bergamaschi

L'omelia del 18 maggio 2014

Pronunciata il 24 aprile 2005


di p. Aldo Bergamaschi

Giovanni 14,1-12
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “Non sia turbato il vostro cuore, abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del padre mio vi sono molti posti. Se no, ve lo avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me perché siate anche voi dove sono io. E nel luogo dove io vado voi conoscete la via”.
Gli disse Tommaso: “Signore, non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via? Gli disse Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscete anche il Padre; fin da ora lo conoscete e lo avete veduto”.
Gli disse Filippo: “Signore mostraci il Padre e ci basta”. Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre é in me? Le parole che vi dico, non le dico da me; ma il Padre che é in me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre é in me.; se non altro credetelo per le opere stesse. In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi perché io vado al Padre.
Oggi, vediamo come Gesù parla ai suoi discepoli e precisa il significato della sua persona all’interno della fede. Egli si presenta come Via, Verità, Vita e risolve così il famoso dissidio di fondo della educazione, la quale educazione pone dei fini e poi discorre di mezzi per attuarli, come la crisi della famiglia, i giovani...
Certo, questa distinzione è sembrata mortificante a una certa pedagogia laica, perché porre dei fini, in un certo senso, è condizionare tutto l’iter della educazione.
Vi cito ora una frase di un educatore laico, il quale ha scritto, verso gli anni trenta, un’opera che ha come titolo Il mio credo pedagogico, costui si chiama Dewey. Ecco, più o meno, la frase: “Il costituire qualsiasi fine esterno alla educazione come tale, che dia ad essa il suo fine e la sua norma, equivale a privare il processo educativo di gran parte del suo significato”. Dunque, processo e fine della educazione sono una sola ed identica cosa. Certo sono affermazioni rigide di principio, molti di voi avranno disagio, spero di sbloccare la situazione citandovi qualche esempio.
In questa identificazione c’è un’anima di verità, questo l’ho sempre difeso anche quando insegnavo pedagogia, è uno dei tragitti più difficili da superare per chi ha la fede cristiana.
L’anima di verità è questa: se si pone il fine della vita nella salvezza dell’anima, si possono poi anche disprezzare tutte le attività storiche e finire in un ascetismo fatto di pure negazioni.
Se si dice – e qui mi riferisco al catechismo di Pio X, che è stato quello nel quale io sono cresciuto – “Il fine della vita è amare, servire Dio, per andare poi a goderlo in paradiso” si dà una indicazione clericale perché l’amore e il servizio a Dio viene specificato dalla nostra visione del mondo, vale a dire dalla Chiesa dell’epoca.
È stata fatta una richiesta dei non credenti al nuovo Papa e ve la riferisco perché è interessante agli effetti del nostro discorso, ed è stata fatta in un dibattito prima che diventasse Papa: “Lei, come custode della fede, potrà insegnare le vie dell’ortodossia ai cattolici, ma non imporle a chi non è cattolico”. Sotto ci sta tutto il dibattito su ciò che sta accadendo in alcuni paesi cattolici, vedi la Spagna, ma questi problemi li affronteremo in altri passi evangelici che ci aiuteranno a districare questi nodi.
Ebbene, se la distinzione tra fini e mezzi in educazione è un prodotto della civiltà occidentale, contro cui Dewey si è ribellato, non è una suggestione evangelica, io prendo posizione con lui contro una certa visione occidentale cristiana, e dico che non è evangelica.
Qualcuno si chiederà: il mondo greco come si trovava? Certo meglio di coloro che hanno fatto quelle richieste al Papa, e meglio della posizione cristiana corrente.
Il mondo greco – mi riferisco a Platone – aveva dichiarato che il dover-essere dell’uomo non si identifica con l’essere: no, l’uomo, così com’è, è disgustoso, questa è la lezione di Socrate e di Platone, dunque, bisogna distruggere questo tipo di io e mettere il suo dover-essere. Vi ripeto il famoso climax di Platone: “Io, fin da piccolo, non ho mai visto dei buoi guidare altri buoi; né ho mai visto delle capre guidare altre capre, ma ho sempre visto che a guidare i buoi e le capre ci sono gli uomini e i pastori, dunque una stirpe superiore. E gli uomini da chi potranno essere guidati? (guardate la babele della vita politica, è una situazione disperata) Allora, ecco l’idea di Platone: “gli uomini saranno degni della loro definizione se ci saranno le divinità a guidarli”, ecco l’aggancio con la posizione cristiana. Noi cristiani diciamo che Gesù è venuto in mezzo a noi, esattamente per guidare gli uomini verso la Verità.
Se la distinzione tra fini e mezzi in educazione è un prodotto della civiltà occidentale, non è una suggestione evangelica, perché Gesù tende a una unificazione rigida dai fini ai mezzi, tenendo vivo il dinamismo dell’assoluto progresso o rinnovamento dell’uomo. Cristo si pone come Via, Verità e Vita; se il fine dell’uomo è il possesso della verità, Cristo è questa Verità. È il tema che ho affrontato nel presepio di quest’anno con la domanda di Pilato: “cosa è la Verità?” Gesù aveva detto di essere Lui la Via, la Verità e la Vita, ecco il motivo per cui Gesù non ha risposto a Pilato non perché – come pensa qualcuno – la verità non esiste, ma esattamente perché Pilato – è Kierkegaard che lo rileva – è come se domandasse a un orologio che cosa è, l’orologio potrebbe semplicemente dire: guardami. Gesù intende dire: devi soltanto guardarmi, vedere quello che ho fatto e vedrai cosa è la verità.
Esiste una fetta di non credenti che negano l’esistenza della Verità. In Italia, c’è un solo filosofo che sostiene questa tesi desolante, al quale io ho detto che in realtà, se è vero che non esiste la verità, allora non è vero neppure quello che lui dice. Questa è la posizione aristotelica, lui ha sostituito il concetto di verità con la sua negazione. Ecco come combattere affermazioni di questo genere.
Certo resta fermo un punto e cioè “che la verità non è una cosa”, ecco il punto guadagnato. Gesù si pone come via, verità e vita, se il fine dell’uomo – dicevo – è il possesso della verità, Gesù è quella Verità e cioè in equazione perfetta col Padre, tant’é che a un laico che mi domandava quale fosse la distinzione fra Dewey e il pensiero cattolico autentico nella mia visione – ho risposto: noi dobbiamo diventare perfetti come il Padre nei cieli. Questa frase vi confesso che mi perseguita tutti giorni, qualsiasi cosa io faccia l’ho sempre presente e ad ogni mia reazione ho la mano del Padre che mi ferma da eventuali errori e mi chiarisce eventuali dissensi.
Gesù non ha mai fatto riferimenti storici, non ha preso a modello nessun uomo, neanche del V. T., l’unico modello è il Padre che sta nei cieli, ma il Padre che sta nei cieli è infinito, dunque, lungi da me l’idea di stabilire la perfezione in un punto qualsiasi della mia esistenza.
Ecco un’altra frase che mi ha colpito: “…chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi…”. Allora, ecco come siamo diventati un popolo religioso: si fanno cerimonie quando invece dovremmo fare delle cose più grandi per essere perfetti come il Padre che sta nei cieli.
Quindi, i cristiani sono colpevoli perché si accontentano di diffondere i valori cosiddetti cristiani, contro gli attacchi altrui senza preoccuparsi minimamente di mostrare che Cristo è: Via, Verità e Vita e come risolvere i problemi della convivenza quotidiana.


Venerdì 16 Maggio,2014 Ore: 08:17
 
 
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